2019, il tennis a luglio: Djokovic vince una finale indimenticabile

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2019, il tennis a luglio: Djokovic vince una finale indimenticabile

I due match point annullati e le cinque ore di scambi straordinari: le emozioni della finale di Wimbledon tra Federer e Djokovic segnano il decennio

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Roger Federer e Novak Djokovic - Wimbledon 2019 (foto via Twitter, @ATP_Tour)
 

“Se riesci, incontrando trionfo e sconfitta, a trattare questi due impostori allo stesso modo”. Le parole scolpite sopra la porta d’accesso al Campo Centrale di Wimbledon incorniciano alla perfezione la partita più appassionante del mese di luglio, se non dell’intera stagione (che sicuramente si piazza alta anche nell’intero decennio). I versi della poesia ‘Se’ di Rudyard Kipling si adattano a gran parte delle situazioni che si affrontano nella vita di tutti i giorni e il 14 luglio 2019 Novak Djokovic e Roger Federer ne hanno incarnato alla perfezione il senso più profondo. Dopo un duello di 4 ore e 57 minuti hanno dimostrato di essere uomini, come scrive Kipling a chiudere il poema. Uomini veri, oltre che sportivi leggendari.

Ventiquattro ore prima che Djokovic alzasse al cielo il suo quinto Wimbledon c’erano tutte le premesse per un incontro dalle grandi emozioni, ma nessuno pensava sarebbe servito il tie-break del quinto set per decretare il vincitore. L’edizione 2019 è stata la prima a disputarsi seguendo le nuove regole sul punteggio. Ai Championships in caso di set decisivo a oltranza non si va più oltre il 12-12: un tie-break a 7 e si chiude la contesa. Detto fatto. Nella prima finale Slam dopo la sua introduzione la direttiva viene subito applicata in modo da scolpirla subito nella memoria collettiva.

Ma torniamo ai due gladiatori. Djokovic arriva all’ultimo atto abbastanza riposato avendo lasciato per strada soli due set. Dall’altro lato Federer ha sudato molto di più. Ha dovuto superare Nishikori e Nadal in quattro set per guadagnare la dodicesima presenza in una finale a Church Road, ma battere la sua nemesi dà sempre una carica straordinaria, soprattutto su questo campo. Tra le mille congetture che si sentono e si leggono nelle ore che precedono la finale poche riguardano la partita in sé, troppe si focalizzano sul possibile vincitore. Il mondo del tennis si squarcia perciò in due grandi fazioni. Una per lo svizzero, che a quasi 38 anni cerca di battere (per la prima volta negli Slam) Nadal e Djokovic nello stesso torneo, pronto alla vendetta sul serbo dopo le sconfitte nelle precedenti finali di Wimbledon (2014 e 2015). L’altra, un po’ meno numerosa, dalla parte di Nole, l’uomo più vincente degli anni ’10 del Nuovo Millennio, che ha dovuto per anni sopportare il duopolio Nadal-Federer e con una vittoria metterebbe a tacere per l’ennesima volta tutti i suoi detrattori.

Senza dare troppo peso alle lotte verbali trai tifosi, Federer e Djokovic si preparano alla loro 48esima sfida. Nella loro testa c’è senza dubbio la voglia di rivincita, la speranza mista a convinzione di poter fare meglio del rivale, il desiderio di prendersi (ancora una volta) tutto il palcoscenico e appannare il blasone dell’avversario. Sono queste le motivazioni che spingono i due fenomeni a mostrare sempre la loro miglior veste malgrado le tasse imposte da Crono. Ma mentre approcciano assieme il tradizionale percorso che porta dagli spogliatoi al Campo Centrale, passando per i maestosi e regali corridoi dell’All England Club (seguiti da una fastidiosissima telecamera, che quasi scoppia la bolla di sacralità che riveste quel momento), Novak e Roger sono soli con i loro pensieri, non esiste alcun avversario. Capiscono che la sfida è alla base della loro vita da professionisti, ed è proprio è vivere quei momenti unici che li lega in maniera ancora più intima al gioco e li convince a non abbandonarlo, specie nel caso dello svizzero che sta per 38 candeline.

Novak Djokovic e Roger Federer – Wimbledon 2019 (via Twitter, @ATP_Tour)

Quando Federer con un servizio vincente fa partire la finale dei Champioships 2019 questa riflessione si è cristallizzata nella mente dei giocatori: entrambi tirano fuori il meglio dalle racchette. A Federer, sei anni più “anziano”, serve qualcosa in più, non può farsi bloccare a fondocampo dalla ragnatela del serbo. Il gioco verticale dello svizzero è incantevole e ci mette poco per conquistare almeno il 70% degli appassionati sugli spalti, che vogliono vederlo per la nona volta con la coppa in mano. Tuttavia il miglior Djokovic viene fuori quando conta di più, nei tie-break del primo e del terzo set.

Trattare trionfo e sconfitta allo stesso modo forgia il carattere, lo sa bene Federer quando si alza dalla sedia per iniziare il quarto set, con il tabellone che recita due set a uno per Djokovic ma che forse sarebbe potuto essere tre set a zero in suo favore se avesse capitalizzato tutte le occasioni avute. Lo svizzero mantiene la stessa intensità delle ore precedenti e porta la partita al quinto. Nessuna reazione, nessun “come on” urlato, nessuno sfogo. È questa la finale di Wimbledon 2019, vissuta da entrambi con la massima concentrazione e la massima consapevolezza di essere protagonisti di un evento memorabile.

Le emozioni del set decisivo sovrastano tutte quelle dei precedenti quattro. Djokovic sembra a un passo dal successo sul 4-2 e servizio, Roger reagisce con classe e sul 5-5 va vicino al break. L’occasione ritorna quattro game più tardi, quando un passante di dritto sul 30-40 gli consente di servire per il titolo. Con due championship point sulla racchetta tutto d’un tratto sconfitta e vittoria non sono più lo stesso per Federer, che non gestisce al meglio il momento e manca l’appuntamento con la storia. Alla fine serve il terzo gioco decisivo del match, quello sul 12-12, per avere un vincitore. La freddezza e la solidità di Djokovic annullano anche nell’ultimo tie-break l’esplosività e la pulizia del gioco di Federer, che con una stecca di dritto chiude una delle finali più belle della storia dello sport.

Djokovic che non esulta e Federer che con un sorriso smorzato lo abbraccia a rete, i discorsi post-partita di mutuo rispetto per entrambi: il capitolo finale è coerente con tutto il resto della storia. Al termine della battaglia entrambi hanno affrontato trionfo e disfatta alla stessa maniera. E le lacrime di Federer nello spogliatoio sono solo la conferma del suo essere un uomo vero, riprendendo Kipling. Un discorso diverso va fatto per il pubblico, più concentrato sulla sconfitta di Federer che sulla vittoria di Djokovic, troppo sbilanciato nel tifo dal lato dello svizzero per tutte le cinque ore di partita.

Il dibattito in questione, imperversato nelle ore e nei mesi successivi al match, è però destinato a cadere nel vuoto. Si può discutere sui modi in cui manifestare la propria preferenza, ma per ogni essere umano è impossibile rinunciare ad averne una. In questo caso va presa a modello la gestione della partita di Djokovic. “Quando la folla urlava ‘Roger’ nella mia testa sentivo ‘Nole’” confesserà dopo la partita. Possiamo dire che è proprio qui che Djokovic ha vinto la sua battaglia.

Altre discussioni si accendono nei giorni successivi alla finale. È stata la finale più bella della storia a livello Slam? Meglio di Wimbledon 2008 o dell’Australian Open 2012? Era davvero l’ultima occasione per Federer di vincere un torneo dello Slam? Ora sia Djokovic che Nadal supereranno i suoi venti titoli? Questa vittoria di Nole scombussola la gerarchie nella classifica del più grande di ogni epoca? Dopo aver rivissuto in questi termini la finale di Wimbledon 2019 le risposte a queste domande (se davvero se ne possono dare) perdono di importanza. Ciò che rimane è un momento di sport allo stato puro, che non verrà mai dimenticato, né da chi l’ha vissuto sul posto o da casa, né da chi tra tanti anni ripercorrerà le cinque ore di emozioni che Novak Djokovic e Roger Federer sono riusciti a regalarci.

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