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Al femminile

Quattro temi da Doha

La supremazia delle giovani, le qualità di Sabalenka, i delicati equilibri di Ons Jabeur e la maturazione di Zheng Saisai

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Ons Jabeur - Doha 2020 (via Twitter, @Ons_Jabeur)
 

2. Aryna Sabalenka
Il 2019 era stato un anno contraddittorio per Aryna Sabalenka. Aveva aperto la stagione vincendo l’International di Shenzhen, e questo l’aveva resa una delle favorite dello Slam australiano; invece a Melbourne era stata sconfitta seccamente in due set da Amanda Anisimova. Da quel momento si era eclissata per molti mesi, incapace di ripetersi ai livelli del 2018, l’anno che nel quale aveva compiuto un salto di qualità eccezionale, fondamentale per raggiungere la Top 10 (numero 9 all’inizio di febbraio 2019).

Se si esclude la finale a San Josè nel mese di agosto, solo nella trasferta in Cina di fine calendario si è rivista la giocatrice che in molti pronosticavano sicura protagonista ai massimi livelli WTA. Proprio in extremis, Aryna aveva risollevato la stagione grazie ai successi nel Premier 5 di Wuhan e nel masterino di Zuhai.

Shenzhen, Wuhan, Zuhai: a conti fatti sembrava che Sabalenka riuscisse a esprimersi in pieno solo in Cina, mentre altrove scendeva in campo la sua versione sbiadita, una brutta copia che mostrava esattamente tutti i difetti che sottolineavano i suoi detrattori. Da una parte la giocatrice che nei momenti migliori è capace non solo di sprigionare potenza, ma anche di costruire scambi più articolati e ragionati, e che serve con grande efficacia ad alte percentuali. Dall’altra la versione in negativo: una tennista che sparacchia a destra e a sinistra senza controllo, e con una pericolosa tendenza al doppio fallo.

Nel 2018 era riuscita a chiudere il bilancio contro le Top 10 in attivo (8 vinte, 4 perse); nel 2019 il rapporto si era rovesciato (3 vinte, 5 perse). Con la drastica flessione nella parte centrale dello scorso anno, si erano fatte più frequenti anche le critiche di media e appassionati. A questo aggiungerei una caratteristica del tutto particolare di Sabalenka, che non aiuta a valutarla correttamente: Aryna è una giocatrice che comunica agli appassionati un forte impatto iniziale, così forte che poi è difficile andare oltre le sensazioni che si percepiscono immediatamente, in modo quasi irrazionale.

Prima di tutto colpisce per la fisicità, per una sensazione di energia quasi straripante, che finisce per lasciare in secondo piano tutto il resto. E invece ci sono altri aspetti del suo tennis che sono convinto meritino di essere sottolineati. Ne avevo citati alcuni in questo articolo: “La capacità di utilizzare il rovescio slice, staccando la mano e cambiando ritmo allo scambio. Ma anche la naturale abilità nell’effettuare la transizione verso la rete; sia approfittando dei colpi più corti dell’avversaria, sia ricorrendo a uno schema di gioco classico: proprio l’approccio con il colpo in back per avere più tempo a disposizione nella corsa in avanti. E in più, una volta presa la posizione, Aryna dimostra di possedere una discreta mano nei colpi di volo: non è solo una tennista da “schiaffi” a tutto braccio, ma anche da volèe classiche, eseguite piuttosto bene.

Proprio tenendo presenti questi aspetti, direi che fra le tenniste attorno ai 20 anni è forse quella che si muove sulla verticale nel modo più ortodosso, secondo i canoni più vicini al tennis del secolo scorso. Insomma, a volte davvero l’apparenza inganna. Sabalenka non è affatto una tennista banale, liquidabile tecnicamente in due parole (“potenza bruta”): è al contrario una giocatrice piena di sfaccettature, ancora in evoluzione, con tanti aspetti interessanti e tante potenzialità da sviluppare”.

L’ultimo Premier 5 giocato nel 2019 era stato Wuhan (vinto da Sabalenka). Nel 2020 il primo Premier 5 disputato è stato Doha, e Sabalenka è tornata a vincere, liberandosi anche della scomoda nomea “geografica” che la voleva incapace di giocare bene fuori dalla Cina. La vittoria di Doha è ancora più significativa se si tiene conto che nel mese di novembre è morto il padre di Aryna, a soli 44 anni. Un trauma del genere non può non aver segnato la sua vita, sportiva e non, incidendo inevitabilmente anche sulla preparazione per la nuova stagione.

Forse è presto per trarre conclusioni definitive sul suo modo di intendere il tennis, ma personalmente comincio a pensare che molte sconfitte, più che da problemi tecnico-tattici, siano determinate da cali mentali. Giornate-no che la portano a svilppare i match con un atteggiamento di frustrazione, che sembra quasi spingerla a “buttare via” i punti, accelerando troppo gli scambi, ed entrando in spirali negative difficilmente arrestabili.

Quando però è ispirata, allora dimostra anche una sorprendente duttilità, che le permette di vincere con modalità differenti. Nella settimana di Doha ha gestito il confronto di finale contro Kvitova (6-3, 6-3) a partire da un rendimento al servizio quasi perfetto: il 78% di prime in campo per una tennista che batte con regolarità sopra i 180 km/h è un dato assolutamente eccezionale. In più ha distribuito gli ace nei momenti decisivi: grazie a un ace ha chiuso il primo set, con due ace consecutivi ha messo fine al game più combattuto del secondo set, scongiurando un pericoloso break.

In semifinale contro Kuznetsova ha faticato un po’ nei primi turni di battuta (con due controbreak subiti che le hanno impedito di fare subito il vuoto), ma quando ha carburato non ha praticamente più concesso nulla, sino al 6-3, 6-4 conclusivo.

Ma che fosse la sua settimana lo si è capito nel confronto con Zheng Saisai, giocatrice che in precedenza l’aveva sconfitta 2 volte su 3, e che stava esprimendosi a livelli notevolissimi (e infatti aveva eliminato Kiki Bertens). In questo caso Aryna ha accettato che la sua avversaria sarebbe stata in grado di allungarle più del solito gli scambi grazie alle straordinarie doti difensive, e ha affrontato con più pazienza la situazione. Alla fine è riuscita ad avere la meglio al termine di una vera lotta, durata due ore e 22 minuti (3-6 7-6(2) 6-3).

Grazie al successo di Doha, Sabalenka è salita al settimo posto nella Race, rimediando alla delusione dell’ultimo Slam. Ennesima delusione a livello Major, visto che a Melbourne aveva perso al primo turno, sconfitta da Carla Suarez Navarro con un doppio 7-6. Al momento direi che proprio gli scarsi risultati negli Slam rimangono il principale punto interrogativo sulla sua ancora breve carriera: un solo quarto turno raggiunto, allo US Open 2018 (sconfitta dalla futura vincitrice Osaka).

È vero che ha alle spalle solo dieci partecipazioni nei Major, ma nove volte è uscita al primo o al secondo turno: un rendimento non all’altezza delle sue possibilità. Penso sia questo il limite più importante da superare nel prossimo futuro.

a pagina 3: Ons Jabeur

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