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Al femminile

Quattro temi da Doha

La supremazia delle giovani, le qualità di Sabalenka, i delicati equilibri di Ons Jabeur e la maturazione di Zheng Saisai

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Ons Jabeur - Doha 2020 (via Twitter, @Ons_Jabeur)
 

4. La maturazione di Zheng Saisai
Questa settimana due giocatrici comprese fra le prime 50 della classifica hanno raggiunto il proprio best ranking: Ons Jabeur (numero 39) e Zheng Saisai (numero 34). Jabeur è stata una delle maggiori protagoniste a Doha, non solo perché ha sconfitto una Top 3 come Karolina Pliskova, ma anche perché è stata la beniamina del pubblico, raccogliendo un tifo inedito per il torneo del Qatar.

Ma sarebbe ingiusto trascurare ciò che ha saputo fare Zheng Saisai, che ha giocato quattro match in crescendo. A Doha ha esordito sconfiggendo una giocatrice in un momento non facile, Marketa Vondrousova. Marketa è reduce dalla operazione al polso, che si è resa necessaria per superare i problemi che le avevano impedito di giocare dopo Wimbledon 2019. Dà l’impressione di essere è ancora in fase di rodaggio agonistico, e non si può quindi ritenere una impresa impossibile averla eliminata.

Così come era alla portata di Zheng anche Vera Zvonareva: nome di grande prestigio, ma che non è più quella dei tempi d’oro, e che a Doha era in tabellone grazie a una wild card.

Le cose però sono diventate molto difficili quando Saisai si è trovata di fronte Kiki Bertens; numero 6 del mondo, fresca del successo a San Pietroburgo. Zheng ha vinto in rimonta 3-6, 6-3, 6-4, offrendo un saggio di tennis estremamente intelligente, in cui ha messo in difficoltà Kiki oltre ogni aspettativa. Pur disponendo di una potenza chiaramente superiore, Bertens in molte occasioni non è riuscita a chiudere i punti, perché le doti difensive permettevano a Saisai di prolungare lo scambio sino a mandare Kiki fuori giri.

Zheng si è rivelata fenomenale in difesa, tanto che mi domando chi oggi sia così rapida negli spostamenti. Sinceramente penso che fra le prime 50 del ranking alla sua altezza ci siano solo Simona Halep e Sloane Stephens (quando ha voglia): non credo esistano altre giocatrici altrettanto agili, coordinate e scattanti. Ma Zheng ci aggiunge una tigna caratteriale quasi unica, oltre che la consapevolezza che per lei il sacrificio e la lotta sono elementi imprescindibili per riuscire ad affermarsi ad alti livelli.

Ma liquidare il suo tennis come se si trattasse solo di “gambe”, sarebbe profondamente limitativo. Nel match contro Bertens, per esempio, Zheng ha dimostrato di saper interpretare meglio la verticalizzazione. E così mentre Kiki spesso si trovava a picchiare da fondo senza riuscire a trovare i tempi di gioco giusti per scendere a rete a raccogliere i frutti della sua pressione, al contrario Saisai era molto più pronta ad approfittare delle situazioni favorevoli per venire avanti e conquistare di volo alcuni quindici fondamentali.

Guardate per esempio che prova di duttilità in questo scambio, in cui Zheng prima difende con un dritto in chop scivolato, colpito in totale open stance (colpo che sul cemento è una specialità di Djokovic) per poi chiudere il punto addirittura con una veronica:

Queste prestazioni pongono sotto una luce differente anche il successo dell’agosto scorso nel Premier di San Josè, il primo titolo raccolto da Saisai in carriera. Allora quella vittoria poteva essere catalogata come la classica “settimana della vita”, unica e irripetibile per la qualità di gioco offerta. Ma la Zheng di Doha non è stata inferiore rispetto all’estate californiana. E lo ha dimostrato nel match successivo, anche se perso, contro Aryna Sabalenka.

Curiosamente Sabalenka era stata proprio l’avversaria di Zheng nella finale di San Josè, e quindi il loro match era anche un rivincita. Questa volta il successo è andato ad Aryna, ma non credo che Saisai abbia giocato molto peggio di allora: è stata piuttosto Sabalenka a dimostrare di avere una condizione invidiabile; e che avesse trovato una forma quasi incontenibile lo ha dimostrato nei due impegni successivi, quando ha eliminato in due set Kuznetsova e Kvitova, finendo per vincere il titolo.

Contro Zheng, invece, ci sono voluti tre set (2-6, 7-6, 6-3), e tanta capacità di soffrire da parte di Aryna, perché ancora una volta Saisai ha messo in campo tutte le sue doti senza cedere di un centimetro.

Zheng è nata il 6 febbraio 1994. Significa che ha appena compiuto 26 anni e sta probabilmente raggiungendo la piena maturità fisica e tecnica. Avevo scritto di lei nel 2016, in un articolo intitolato “Le straordinarie avventure di Zheng Saisai nel circuito WTA”. Anche se non ho i dati per confermarlo, penso sia stato uno degli articoli meno letti della rubrica, un po’ perché uscito in dicembre un po’ perché Zheng non è certo un nome molto popolare, e lo era ancora meno quattro anni fa.

Eppure sono convinto che Saisai meriti attenzione. Diverse volte, per esempio, si è trovata protagonista di partite fuori dalla norma, ricche di pathos e di intensità eccezionali. Solo che, mentre agli inizi della carriera faceva leva soprattutto sulla capacità di lottare in difesa, nel tempo ha dimostrato di essere cresciuta, e molto, sul piano tecnico, tanto che oggi è capace di offrire punti particolarmente ben costruiti. Certo non possiederà mai la potenza per spazzare via le avversarie, ma si è costruita un arsenale di soluzioni alternative degne di nota.

Insomma, l’esordiente che nel 2015 si era letteralmente barricata a ridosso dei teloni di Flushing Meadows facendo ricorso alle moonball per resistere ai dritti di Lucie Safarova, si è trasformata in una giocatrice completa, che conosce davvero bene il tennis di difesa e contrattacco. Al punto che oggi la si può ritenere la giocatrice cinese in attività tatticamente più sofisticata.

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