US Open 2020, scontro generazionale - Pagina 4 di 5

Al femminile

US Open 2020, scontro generazionale

Naomi Osaka e Jennifer Brady da una parte, Victoria Azarenka e Serena Williams dall’altra. A New York la gioventù ha prevalso sull’esperienza

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Naomi Osaka - Finale US Open 2020 (via Twitter, @usopen)
 

Victoria Azarenka
L’impresa di Tsvetana Prionkova (capace di arrivare ai quarti di finale pur essendo in tabellone solo grazie al ranking protetto) sarebbe diventata la storia più sorprendente dello Slam, se non ci fosse stata la vicenda di Victoria Azarenka a prendersi il centro della scena. Grazie a una serie di prestazioni tanto eccezionali quanto inimmaginabili sino a un mese fa. Vika ha davvero stupito tutti. Per la verità aveva già meravigliato con la vittoria nel Premier di preparazione (New York/CIncinnati), ma non era così scontato che si confermasse a livelli ancora più alti nell’evento più importante.

Invece abbiamo assistito a una vera e propria rinascita sportiva. Dopo gli infiniti problemi, fisici e non, successivi alla nascita del figlio, dopo avere quasi smesso di giocare a tennis (lei stessa ha ricordato che è stata cinque mesi senza toccare una racchetta), nel 2020 abbiamo ritrovato la giocatrice capace di arrivare in finale in questo stesso torneo nel 2012 e 2013. Le finali del 12-13 tra Williams e Azarenka hanno rappresentato due vertici tecnici del circuito WTA negli anni ’10. A distanza di sette anni Vika, è tornata protagonista con un gioco ancora di altissimo livello, anche se, a mio avviso, leggermente diverso.

La Azarenka più recente non ha più una palla pesante quanto allora. In parte perché il suo fisico è muscolarmente meno attrezzato, in parte perché la concorrenza oggi tira mediamente più forte. Questo non significa però che Vika non sia in grado di mettere in difficoltà le avversarie prendendo comunque in mano le redini del gioco. Perché dove non si arriva con la potenza, si arriva con l’anticipo.

Sotto questo aspetto abbiamo rivisto la Azarenka deluxe dei giorni migliori, la tennista in grado di mettersi con i piedi sulla linea di fondo e rimandare la palla giocandola quasi di controbalzo. Una capacità tecnica che finiva per togliere il respiro alle avversarie, soffocate da un ritmo vorticoso e insostenibile.

Già nei primi turni si è capito che sarebbe stato quasi impossibile mettere sotto Azarenka ricorrendo solo al ritmo e/o alla potenza. Due giovani come Sabalenka e Swiatek hanno provato a farlo e hanno raccolto le briciole (6-1 6-3, e 6-4 6-2). Respinta con perdite anche Elise Mertens, che in più ha avuto la sfortuna di trovare Vika in giornata di grazia ancora superiore, dando una sensazione di totale impotenza (6-1, 6-0). Utilizzare un tennis lineare contro questa Azarenka era un vero e proprio suicidio. Come quando si gioca contro il muro: più si colpisce forte e più la palla torna indietro rapidamente. Con i piedi fissi sulla linea di fondo, senza mai arretrare, Vika si appoggiava alla potenza altrui e rilanciava a sua volta, cambiando direzione al palleggio con un timing e una facilità disarmante.

Non credo sia un caso che solo Karolina Muchova sia stata in grado di reggere il confronto quasi alla pari (5-7, 6-1, 6-4). Perchè Muchova è tutto fuorché una giocatrice di ritmo: ama la variazione, non offre quasi mai un colpo uguale all’altro. Karolina alterna soluzioni di tocco ad altre di potenza, è capace di impostare uno scambio di piazzamento e poi di spingere improvvisamente; ma anche di avanzare e cercare la rete. Aggiungiamo una notevole varietà al servizio e si capisce perché sia stato l’ostacolo più complesso per Azarenka prima della semifinale contro Williams.

Per certi versi anche Serena ha evitato lo scambio di ritmo. Nel primo tratto di match Williams ha tolto sistematicamente l’iniziativa alla avversaria grazie alla efficacia nei colpi di inizio gioco e alla tecnica nel trattare le parabole in modo differente. Ma una parte del 6-1 iniziale credo che sia stato anche determinato dalla tensione con la quale Vika è scesa in campo. Sull’1-6, 0-1 secondo set, Azarenka ha salvato una palla break e da quel momento ha progressivamente ribaltato la situazione.

La sensazione che il match fosse girato in modo definitivo si è avuta nello sviluppo del secondo set. Nel terzo Serena è apparsa stanca e i troppi errori in risposta le hanno impedito di mettere pressione alla battuta di Azarenka (e si sa che Vika ha una seconda di servizio che in alcuni frangenti può non essere all’altezza). Ormai Williams aveva dato tutto, e per la prima volta in uno Slam ha lasciato strada alla antica amica e rivale. E così Azarenka è tornata in finale a New York a sette anni di distanza, a 31 anni compiuti.

a pagina 5: Naomi Osaka

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