US Open 2020, scontro generazionale - Pagina 2 di 5

Al femminile

US Open 2020, scontro generazionale

Naomi Osaka e Jennifer Brady da una parte, Victoria Azarenka e Serena Williams dall’altra. A New York la gioventù ha prevalso sull’esperienza

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Naomi Osaka - Finale US Open 2020 (via Twitter, @usopen)
 

Serena Williams
Per un curiosa combinazione di risultati, man mano che lo US Open si è sviluppato, il tabellone si è caratterizzato per due situazioni molto differenti. La parte alta era quella delle giocatrici che avevano dimostrato di essere le più in forma nei tornei di preparazione: penso per esempio a Kontaveit, Rogers, Brady, oltre a Putintseva e Osaka. Tutte ampiamente sotto i 30 anni.

La parte bassa era invece quella delle giocatrici esperte, tre delle quali con un passato uno stop per maternità. Nei quarti di finale, oltre a Mertens, c’erano infatti Pironkova, Azarenka e Williams. Lasciando da parte gli aspetti extracampo, le tre mamme erano anche tre giocatrici ultratrentenni con tanti anni di circuito alle spalle e una grande esperienza di Slam, anche se naturalmente con risultati differenti.

In questa occasione le partite hanno confermato che l’esperienza può aiutare a dare il meglio di sé nelle situazioni che contano, compatibilmente però con i limiti determinati dall’età. Sottolineo questo aspetto perché credo che questa volta Serena Williams (39 anni fra una decina di giorni) sia uscita dal torneo senza avere molto da rimproverarsi. Poco spazio per rimpianti: al momento non è più la giocatrice stradominante di qualche stagione fa, in grado di avere sempre il destino dei match nelle proprie mani. La attuale Williams deve accettare che oggi, contro certe giocatrici, può anche perdere.

Serena è una giocatrice al crepuscolo? Probabilmente sì, ma sta vivendo il crepuscolo con immensa classe. Semplificando al massimo, direi che ogni grande campione di tennis è grande perché riesce ad esprimersi ad altissimi livelli sotto tre aspetti: quello tecnico, quello fisico e quello mentale. Oggi Serena è calata sul piano fisico, e questo la rende anche più vulnerabile sul piano mentale, visto che è consapevole di non avere più un netto margine rispetto alla concorrenza.

Però rimane la dote che si “porta da casa” grazie al talento: la qualità tecnica. Ecco perché non credo sia un paradosso se dico che per gli amanti della parte tecnica del tennis i suoi match sono quasi più godibili oggi rispetto a qualche anno fa, quando dominava il circuito. Ricordate la Williams delle Olimpiadi di Londra 2012? Semifinale contro Azarenka vinta per 6-1, 6-2. Finale contro Sharapova vinta per 6-0, 6-1. Partite quasi non sviluppate per manifesta superiorità.

Oggi però Serena non ha più un servizio così incontenibile (era capace di battere costantemente sopra le 120-125 miglia orarie), e anche la risposta non è quella di allora. Capita quindi che debba accettare di entrare più spesso nello scambio, e in questi casi emerge tutta la sua eccezionale completezza tecnica: la capacità di giocare ogni palla in modo differente, a volte affidandosi alla profondità, altre volte agli angoli stretti, altre ancora ai topspin più carichi, ma anche alle palle più tese e filanti. E ogni tanto, naturalmente, arrivano anche i colpi-bomba, ma senza più la continuità di una volta.

Confesso che un tempo raramente guardavo i primi turni di WIlliams negli Slam, perché erano quasi sempre a senso unico. Negli ultimi tempi invece, ho cominciato a seguirla ed apprezzarla sin dai primi turni perché non passa incontro nel quale non offre qualche piccola-grande chicca tecnica. Dove non arriva più con la potenza, arriva con la sensibilità di braccio, che rimane superiore.

In questo US Open su sei match disputati, quattro volte ha dovuto ricorrere al terzo set. Contro Stephens ha prevalso su una avversaria in crisi di risultati, in questa fase incapace di disputare un intero match ad alti livelli (2-6, 6-2, 6-2). Contro Sakkari (che l’aveva sconfitta nel torneo precedente), ha avuto la meglio, secondo me, proprio per ragioni tecnico-tattiche: nella stretta finale ha gestito meglio e con più creatività le geometrie degli scambi, finendo per comandare il gioco come lei preferiva (6-3, 6-7, 6-3).

Contro Pironkova la mia sensazione è che abbia, per una volta, prevalso perché con più benzina nel serbatoio delle energie rispetto a una avversaria reduce da un lunghissimo stop agonistico per maternità (4-6, 6-3, 6-2). Poi però di fronte a una Azarenka in grande spolvero, Serena non è riuscita a mantenere il ritmo dell’avvio e quando Vika ha invertito la tendenza negativa del primo set, la partita è sembrata avviarsi a una conclusione inevitabile (1-6, 6-3, 6-3).

Forse Williams non arriverà più a raggiungere il record di 24 Slam (ma non me la sento di escluderlo al 100%), però proprio nei match più recenti sta dimostrando perché è stata così dominante in passato: perché oltre alle sue speciali qualità fisiche e mentali, possiede una tecnica eccezionale. Piccola curiosità in proposito: nel match contro Pironkova è arrivata a colpire due volte con la mano sinistra, ricorrendo al colpo reso famoso da Maria Sharapova. Vale a dire un dritto mancino che non è un vero dritto, quanto piuttosto un rovescio bimane impugnato a metà manico, eseguito senza l’ausilio della mano dominante. Una soluzione estrema, utile per poter guadagnare qualche centimetro in allungo o per ridurre i tempi di preparazione dello swing (nel video al minuto 2’01”)

a pagina 3: Jennifer Brady

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