Da junior a pro: la strada di Edberg e quella di Sinner

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Da junior a pro: la strada di Edberg e quella di Sinner

Analisi approfondita del passaggio al professionismo dei vincitori Slam junior dal 1988 al 2020. Qualcuno si è confermato, qualcuno è sparito, qualcuno è finito a girare il mondo in barca a vela

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La vittoria di uno Slam Junior è l’inizio di una brillante carriera o di una grande illusione? Questo è il quesito che ci si pone sempre quando vediamo un 17enne di belle speranze che alza al cielo il trofeo. Proprio in quel momento inizia la fase più delicata per un giovane atleta che si avvicina al professionismo: si deve abbandonare la comfort zone del circuito giovanile, i volti noti dei coetanei che spesso sono anche diventati amici, il circolo che ti coccola, la Federazione che ti sostiene.

Finito tutto, ti trovi improvvisamente a dover fronteggiare da solo un mondo sconosciuto dove le tante attese (famiglia, media, il tuo ego) rischiano di caricarti di un fardello d’ansia insopportabile. A questo si aggiunga la necessità di una transizione tecnica per la quale è necessaria una guida solida che ti aiuti a lavorare sul tuo gioco, a costo di sacrificare il risultato immediato. 

EDBERG E GLI ALTRI – Nel corso degli anni si è visto davvero di tutto, da Stefan Edberg che nel 1983 fece il grande Slam junior per poi primeggiare anche tra i grandi, ai tanti che invece sono sprofondati nell’anonimato, ritirandosi talvolta precocemente. In questa sede non pretendiamo certo di dare una risposta definitiva ma piuttosto di analizzare da un punto di vista statistico quanto è successo negli ultimi 32 anni. Perché proprio 32 vi chiederete? Abbiamo scelto come inizio della nostra ricerca il 1988 perché è da quell’anno che gli Australian Open si giocano sul cemento, dopo che già nel 1987 avevano ricambiato data spostandosi da dicembre a gennaio (la collocazione originale del torneo fino al 1977) nel tentativo di recuperare quell’importanza che nel decennio precedente sembrava persa per sempre. Il torneo era diventato il brutto anatroccolo tra gli Slam, sia tra i grandi (pensiamo che Borg vi giocò una sola volta) che tra i ragazzi. Il cambio di data e poi il passaggio al cemento di Flinders Park contribuì a riequilibrare la situazione e a dare pari dignità allo Slam australe. 

Teniamo anche presente, come doverosa premessa, che spesso gli under 17 più forti snobbano i tornei giovanili, o per scelta tecnica o perché stanno già vincendo al livello superiore. Borg vinse il Roland Garros a 18 anni, Becker Wimbledon a 17 e Wilander Parigi a 17. Senza dimenticare McEnroe che a 18 anni arrivò in semifinale a Wimbledon partendo dalle qualificazioni. 

Ovvio, quindi, che non abbiano avuto una carriera junior, con l’eccezione di Mats Wilander che l’anno prima di vincere il Roland Garros dei grandi aveva vinto quello giovanile. Un vero record mondiale di velocità nella transizione al professionismo. In tempi più recenti Nadal e Djokovic non sono riusciti a far meglio di una semifinale, rispettivamente a Wimbledon e agli Australian Open. Decisamente meglio Federer (Wimbledon 1998 e semifinale US Open nello stesso anno) e Lendl (Wimbledon e Roland Garros 1978). Benissimo Stefan Edberg che, come si diceva, prese molto sul serio il suo percorso giovanile e nel 1983 centrò il grande Slam. Gli italiani? Possiamo ricordare la vittoria di Corrado Barazzutti a Roland Garros 1971 e la semifinale a Wimbledon 1968 di Adriano Panatta, nonché il trionfo di Diego Nargiso a Wimbledon 1987. Di Gaudenzi, Quinzi, Musetti e Sinner parleremo in seguito. 

Cosa ci racconta tutto questo? Trovate qui le tabelle con i vincitori dei quattro Slam junior dal 1988 al 2020. A partire da questi dati, abbiamo calcolato il rapporto con il best ranking ottenuto dai vincitori una volta passati professionisti, con l’avvertenza che abbiamo escluso dal computo i peggiori cinque per ogni torneo (quelli evidenziati in rosso) e di default i vincitori dei due Slam junior disputati nel 2020, ragazzi ancora troppo giovani. Abbiamo ritenuto fuorviante ai fini dell’analisi includere nell’analisi i risultati di chi ha completamente fallito, ritirandosi talvolta precocemente dall’attività.

Tenendo conto dei 27 migliori risultati per ogni Slam, ordinando i quattro Slam da quello in cui emerge la media del best ranking migliore al peggiore, emerge questo quadro:

  1. US Open: 37,55 (valore mediano 17)
  2. Roland Garros: 47,88 (valore mediano 21)
  3. Wimbledon: 63,85 (valore mediano 39)
  4. Australian Open: 77,29 (valore mediano 83)    

Sembra evidente che generalmente il vincitore dello US Open tenda ad avere una carriera migliore. Sugli altri dati ognuno può azzardare le proprie valutazioni, ma possiamo evidenziare come l’Australian Open sia l’unico Slam il cui la mediana – cioè il valore situato esattamente nel mezzo, ordinando i 27 best ranking dal migliore al peggiore – è più alta della media: significa che i giocatori che hanno ottenuto un best ranking peggiore della media sono di più di quelli che ne hanno ottenuto uno migliore.

Lorenzo Musetti – Australian Open Junior 2019 (foto Roberto Dell’Olivo)

L’OPINIONE DI SIMONE TARTARINI E FABIO GORIETTI

Sentiamo cosa ne pensa Simone Tartarini, coach di Lorenzo Musetti, che proprio adesso sta affrontando il problema della transizione al professionismo:

Gli Australian Open sono sempre stati un torneo un po’ trascurato (sia a livello grandi che junior), soprattutto per la complessità e l’onerosità della trasferta. Quest’anno proprio in Australia parlavo con Ljubicic e mi raccontava che quando venne qui la prima volta a 18 anni si entrava nelle qualificazioni con il numero 800. Adesso non ti farebbero fare neanche il raccattapalle. In ogni caso anche produrre una media di classifica di 80 non è disprezzabile perché uno che sta nei primi 100 riesce comunque a vivere di tennis“.

Per quanto riguarda Parigi non so se quello che dico abbia una base scientifica, ma mi è capitato spesso di veder arrivare dei ragazzi (soprattutto argentini e spagnoli) già molto strutturati fisicamente che si trovavano dall’altra parte della rete il ragazzino gracile che sembrava ancora in terza media. Poi spesso capitava che un paio d’anni dopo il ragazzino cresceva e li superava grazie al suo maggior talento“.

Lo US Open sta in cima alla graduatoria perché probabilmente potremmo definirlo il torneo più universale e dunque più ambito. Nessuno vuole mancare, e se il ragazzo ha predisposizione per il cemento una volta passato professionista è proprio lì che si disputerà la maggior parte dei tornei e su quella superficie costruirà la propria classifica. Per Wimbledon non saprei, probabilmente è lo stesso discorso rovesciato. Se a 17 anni scopri che sull’erba sei un fenomeno da grande avrai pochi tornei per far valere questo tuo talento“.

Una valutazione più generale: “Comunque sia, il momento della transizione è pericolosissimo ed io sono contento che Lorenzo se lo sia ormai lasciato alle spalle. Io definisco la classifica tra il 200 e il 500 ‘la palude’ e rimanervi impantanati è facilissimo. Tanto per dire lo scorso anno al Challenger di Pordenone c’erano ben sette vincitori di Slam Junior, gente di ormai 25/29 anni. Giocatori che non hanno coltivato il proprio tennis pensando di poter vivere di rendita. Senza capire che a livello junior spesso vinci per demerito dell’avversario. Da professionista devi colpire molto più forte e guadagnarti ogni punto“.

Sentiamo un altro parere autorevole, quello che ha espresso Fabio Gorietti, per due anni allenatore di Gianluigi Quinzi, in una recente intervista: “Gianluigi era conscio di avere un ottimo livello per il circuito junior e pensava sarebbe bastato allenare il proprio tennis per arrivare velocemente al professionismo. Invece avrebbe avuto bisogno di modificarlo il proprio tennis, di evolversi, di completarlo per avere più soluzioni in partita. Uno junior forte deve liberarsi degli schemi che da ragazzo gli portano tanti punti perché spesso scoprirà che tra i grandi non hanno la stessa resa. E questo deve farlo anche a discapito dei risultati nel breve periodo”.

I pareri sono autorevoli e le spiegazioni plausibili ma ovviamente il dibattito è aperto.

GLI ITALIANI

A questo punto un rapido accenno agli italiani, purtroppo troppo pochi per fare statistica. Abbiamo Andrea Gaudenzi che nel 1990 fece doppietta (Roland Garros e US Open) ed ebbe poi un’eccellente carriera professionistica. Forse un po’ meno di quello che i tifosi italiani si aspettavano ma, come dire, averne di giocatori che arrivano alla posizione 18 del ranking. Quinzi al contrario non ha mantenuto le promesse anche se, vista la giovane età, ha ancora tutto il tempo per costruirsi una carriera quantomeno dignitosa.

Per Musetti è troppo presto per fare un discorso articolato. Siamo convinti però che ci darà presto parecchie soddisfazioni. Sinner in questo discorso ci entra solo per contrapposizione in quanto Riccardo Piatti gli ha sempre evitato, salvo rare eccezioni, qualsiasi tipo di attività giovanile, ritenendola inutile o addirittura controproducente. Nel suo caso i fatti gli stanno dando ragione.

Ricordiamo che per curare questa fase cruciale nella maturazione dei ragazzi la FIT ha da qualche anno avviato il progetto over 18 coordinato da Umberto Rianna. L’intento è di supportare i ragazzi e i loro team in tutti i modi possibili: aiuto tecnico con preparatori atletici e fisioterapisti, wild card per i tornei, aiuto economico. Iniziativa lodevole che, a giudicare dai primi risultati (Berrettini e Sonego), sta avendo grande successo.

A pagina due, elenco più o meno esaustivo di chi ha vinto uno Slam junior e non ha confermato le aspettative

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