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Al femminile

La conferma di Ashleigh Barty

Al via dei Championships c’era una giocatrice che partiva come numero uno per i pronostici ma anche per le gerarchie ufficiali. E questa volta è stata all’altezza delle aspettative

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Ashleigh Barty con il trofeo - Wimbledon 2021 (credit to AELTC_Thomas Lovelock)
 

Ashleigh Barty ha vinto Wimbledon da testa di serie numero 1, da numero 1 del ranking, numero 1 della Race e da favorita numero 1 per i bookmaker. Quindi tutto semplice e ineluttabile? Certo che no: non è mai semplice vincere Wimbledon per la prima volta, e per diversi motivi.

Innanzitutto sul torneo di Barty aleggiava alla vigilia un elemento di incertezza determinato dalle condizioni fisiche. Infatti era reduce dal ritiro al secondo turno del Roland Garros per un problema all’anca, e sappiamo quanto l’anca possa essere una parte critica per i tennisti. Nella conferenza stampa successiva alla vittoria dei Championships è stata lei stessa a raccontare che il problema non era una cosa da poco. Anzi, chiacchierando con il suo team subito dopo la premiazione, aveva appena scoperto che le avevano tenuto nascoste le valutazioni più pessimistiche dei medici.

Le cose erano andate in questo modo: fatte le radiografie, erano state inviate in Australia per raccogliere i pareri di diversi radiologi, con valutazioni che parlavano anche di due mesi di prognosi. Tra il Roland Garros e Wimbledon però c’erano solo due settimane… Ma i trattamenti a cui si è sottoposta hanno funzionato sorprendentemente bene e, come ha detto Ashleigh, “alcune volte gli astri si allineano”: sono le volte in cui la possibilità di vincere si concretizza.

Superate le questioni fisiche, rimanevano però quelle mentali. Perché se ci si presenta al via del torneo da numero 1 in tutto (ranking, testa di serie, quote dei bookmaker) significa che si dispone di una grande base di valori tecnici, ma bisogna dimostrare di essere all’altezza di un ruolo scomodissimo: il ruolo della giocatrice per la quale ogni risultato che non sia la vittoria rischia di apparire un insuccesso.

E gestire la tensione per Barty non sempre è risultata una cosa facile. Sappiamo per esempio che finora non ha mai brillato come avrebbe potuto all’Australian Open, il grande torneo di casa dove partecipa con tutti i riflettori della nazione puntati su di lei. Sul problema della gestione dello stress da parte di Ashleigh aggiungo qualcosa che ho verificato di persona. Mi rifaccio a una sensazione colta proprio a Wimbledon tre anni fa.

Parliamo del 2018 e per la prima volta Barty si presentava ai Championships con la concreta possibilità di fare bene. Giusto per dare una idea: partiva da 17ma testa di serie, ma era data come dodicesima favorita del torneo dai bookmaker, perché si capiva che sull’erba il suo gioco poteva rendere molto. Del resto quell’anno aveva vinto a Nottingham ed era arrivata nei quarti ad Eastbourne.

Terzo turno, avversaria Daria Kasatkina, in quel momento testa di serie numero 14, eppure si pensava che la superficie avrebbe potuto rovesciare le gerarchie. Da inviato avevo seguito parte del primo set dai monitor ma poi per il secondo set mi ero spostato sul campo, il Court 3. Il Court 3 per la stampa offre posti in una posizione che consente di valutare da vicinissimo le esecuzioni dei singoli colpi: davvero nulla può sfuggire, nemmeno il respiro al momento di colpire.

Ebbene, dal vivo si capiva quanta fatica facesse Ashleigh a esprimersi come sapeva. Ecco cosa avevo scritto: “Al di là del risultato (vittoria di Kasatkina per 7-5, 6-3) ho ricavato impressioni non positive da Ashleigh Barty. Chissà, forse non era la sua giornata, ma devo dire che fino a ora è stata la tennista che in questo Wimbledon mi ha dato la più evidente impressione di giocare con il freno a mano tirato. (…) Ad esempio nell’eseguire lo slice di rovescio: un conto è imprimere al colpo una blanda rotazione, un altro è caricarlo di backspin velenoso. Il primo tipo di esecuzione anche sull’erba rimbalza quasi innocuo, il secondo diventa temibile come un serpente. In tutto il set che ho seguito dal vivo, solo una volta Barty ha davvero “spinto” il colpo, facendo schizzare via la palla. Gli altri sono stati tutti slice interlocutori. Affrontando in questo modo un grande torneo come Wimbledon, temo che difficilmente riuscirà ad arrivare in fondo. E infatti anche se Kasatkina non è una erbivora, ha ugualmente saputo approfittarne. Era quasi inevitabile”.

Gestire la pressione. È una tema che nel tennis si propone costantemente: le questioni mentali sono fondamentali, e sotto questo aspetto è davvero lo sport del diavolo. Da quella sconfitta di Barty sono passati tre anni, e non sono passati invano.

Ashleigh è nata nell’aprile del 1996, quindi ha appena compiuto 25 anni. Si trova nella fase di picco della carriera, quando al periodo delle migliori prestazioni atletiche comincia ad affiancarsi una notevole dose di consapevolezza tattica e agonistica, determinata dall’esperienza. E sì sa che l’esperienza si raggiunge grazie ai successi ma anche attraverso le sconfitte. Inclusa quella con Kasatkina di tre anni fa.

Per gli osservatori esterni, emerge un altro aspetto interessante: a 25 anni, superati gli alti e bassi che quasi sempre caratterizzano i primi anni nel circuito, cominciano anche a delinearsi in modo più chiaro gli aspetti più profondi della personalità di ogni tennista. E sicuramente anche l’ultimo Wimbledon ci ha fatto scoprire qualcosa in più su di lei.

a pagina 3: I primi turni di Barty a Wimbledon 2021

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