È dal 2019 che Stan Wawrinka manca a Wimbledon. Non proprio il suo Slam preferito, considerando il massimo risultato dei due quarti di finale consecutivi raggiunti nel 2014 e nel 2015. A 37 anni, rientrato a marzo dopo il lungo stop dettato dal doppio intervento chirurgico al piede sinistro, l’ex numero 3 del mondo è stato accolto a Church Road da una wild card dal forte valore simbolico. Debutterà contro Jannik Sinner in un incrocio che vede ovviamente favorito l’azzurro, a sua volta però – immaginiamo – non proprio felicissimo del sorteggio. Non tanto per i precedenti (vinti entrambi dallo svizzero nel 2019, è però passata una vita sotto ogni punto di vista), ma perché l’animale da competizione che troverò dall’altra parte della rete rimane di razza pregiata. Nonostante gli acciacchi. Rientrato a marzo col ranking protetto (oggi è 267 ATP), da quel momento Wawrinka ha vinto solo tre delle dieci partite disputate. Al Queen’s – primo torneo su erba dal 2019, appunto – è crollato al secondo turno per mano di Tommy Paul, ma nella sfida precedente aveva lanciato bei segnali uscendo a braccia alzate dalla battaglia di tre tie break contro l’amico Francis Tiafoe. Adesso, proprio alla vigilia della sfida con Sinner, il tre volte campione Slam ha pubblicato un lungo pezzo scritto di suo pugno su The Player Tribune (QUI la versione integrale) in cui ha ripercorso il viaggio che l’ha riportato sul campo quando la sua carriera – e nessuno glielo avrebbe rimproverato – si sarebbe potuta anche chiudere qualche mese fa.
AL LIMITE – “Dato quanto poco tennis ho giocato, so che sarà difficile per me andare lontano a Wimbledon – le sue parole -. In ogni caso, ciò che conta è il lavoro quotidiano e se riuscirò ad affrontarlo bene ne sarò felice. Se mi sentirò in buona forma verso la fine dell’estate, fisserò degli obiettivi tipo scalare la classifica o vincere di nuovo un torneo. Non sto parlando di un Grande Slam; potrebbe essere un ATP 1000, 500 o 250. Ma non sono ancora pronto per pormi questo obiettivo“. Spensieratezza, ma anche un minimo di prospettiva. “So che questa è la parte finale della mia carriera – argomenta con lucidità – un ultimo capitolo. Non posso giocare per sempre. Penso che mi restano al massimo due o tre anni. Voglio godermeli e l’unico modo per farlo è darmi la migliore possibilità possibile di vincere un trofeo. Come lo faccio? Mi spingo al limite. In questo momento, mi sento bene ma ho molto lavoro da fare. Ho bisogno di giocare le partite, perché l’allenamento è sempre un’altra cosa. Ci sono ancora alcuni pezzi del puzzle che mancano“.
IL SECONDO RITORNO – Nel lungo racconto, Wawrinka ha ripercorso tutti i momenti più significativi della sua carriera leggendoli anche attraverso il filtro delle emozioni. Una trama da intendere con una chiave interpretativa: il confronto tra il suo primo grande ritorno post infortunio (nel 2017, con il meglio del suo percorso già alle spalle, l’operazione al ginocchio sinistro) e quello più recente, rimettendo piede in campo a marzo nel Challenger di Marbella quando appena a dicembre – come racconta – ancora non camminava bene. “Già nel 2017 mi sono ritrovato a passare da numero 4 del mondo a zoppicare con le stampelle, al rientro non sono tornato ai livelli di prima ma ero comunque felice. A 37 anni, mentalmente, pensavo sarebbe stato troppo difficile ritrovarmi in quella situazione. Il mio più grande talento, però, è stato sempre provare gusto per il duro lavoro e per spingermi oltre il limite. Dopo il mio secondo intervento, sapevo cosa volevo. Era ora di smettere? No. Amavo ancora il tennis. Amavo ancora allenarmi. Credevo ancora di poter giocare a un buon livello. Ma la cosa più importante era che non volevo finire la mia carriera infortunato. Non era così che volevo dire addio. Amo troppo il tennis per non provarci“.