Australian Open: contesto gli scatenati disfattisti. Berrettini e Musetti meritano più elogi che critiche

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Australian Open: contesto gli scatenati disfattisti. Berrettini e Musetti meritano più elogi che critiche

I social tendono a infierire. Berrettini è uscito daitop-20 dopo quasi 4 anni, ma ci rientrerà. L’alibi dei primi due set persi malamente per Matteo come per Lorenzo Musetti è serio. Fabio Fognini “Dottor Jekyll e Mister Hyde”

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Benedetti (?) social! Ho letto ovunque attacchi e critiche ingenerose e spropositate nei confronti dei due tennisti italiani, teste di serie coronate (n.13 Berrettini, n.17 Musetti) e precipitate al primo turno dell’Australian Open.

Quasi che non avessero perso soltanto al quinto set e al SuperTiebreak finale cui si erano ritrovati quasi da favoriti dopo che entrambi avevano avuto un pessimo inizio e perso piuttosto malamente i primi due set ed erano stati sull’orlo di perdere in 3 set, tutti e due a due punti dal k.o. prima di vincere terzo e quarto set in modo convincente. Tutti e due vincendo il quarto set al tiebreak e lasciando quindi presumere di poter vincere anche il supertiebreak finale. Berrettini è arrivato addirittura al matchpoint, ha sbagliato un rovescio a due metri da un Murray quasi certamente impotente – al punto che l’Equipe ha titolato la cronaca del suo commento così: “L’incroyable ratè de Berrettini sur balle de match contre Murray” L’Incredibile errore di Berrettini sul matchpoint contro Murray” –

con la palla che si è fermata sul nastro. Lo stesso nastro che invece si è lasciato sbattere e scavalcare sul matchpoint per Murray una mezzoretta dopo…. Due nastri che lo sfortunato Matteo non dimenticherà facilmente. Forse mai. Gli auguro di non sognarseli di notte.

Tutto ciò detto, e ricordato anche un dato piuttosto impressionante in relazione a Andy Murray – nei match in cui è trovato avanti per due set a zero lo scozzese non ha perso, su 129 match, che una sola volta e soltanto 18 anni fa con Nalbandian a Wimbledon 2005! – mi pare proprio di constatare un eccesso di disfattismo da parte degli aficionados italiani dei “nostri”, secondo me.

Lorenzo Musetti ha più di un alibi per i due set malgiocati all’inizio, dopo che sul 3-2 del primo set il suo coach Simone Tartarini si è sentito male – si è parlato di una crisi di panico (contagiato da Musetti che ne ha sofferto a volte, l’ultima a Firenze quando giocò contro Aliassime?)- ed è stato portato all’ospedale! Per fortuna niente di serio. Me ne sono accertato contattandolo e Simone mi ha tranquillizzato sulle sue condizioni.  Insomma, mica una roba da ridere. Chiunque avrebbe giocato male avendo la testa altrove. Non mi stupisce che Ugo Colombini, l’ex giocatore diventato suo manager che a fine terzo set si è visto sperticarsi in consigli – mentre Harris era andato negli spogliatoi – mi abbia detto: “Lorenzo stava giocando in modo disordinato, faceva troppo casino…”.

Quanto a Matteo Berrettini soltanto due minuti prima di scendere in campo sul centrale ha saputo che anziché all’aperto dove si era allenato in presenza di una calura di 40 gradi centigradi il suo match si sarebbe giocato invece al coperto.

Mi direte: anche Murray si è trovato nelle stesse condizioni, mica sol Berrettini. E io rispondo: è vero, però al coperto il clima è più fresco e favorisce il tennista più anziano – 35 anni contro 26 – il campo diventa più lento, le palle anche, e il tennis più esplosivo ed aggressivo, fra servizio e dritto, di Berrettini ne risente di più che non quello di Murray, grande difensore e attendista, oltre che gran ribattitore se riesce ad arrivare sulla palla.

Insomma non è stato come giocare fuori.

Berrettini ha messo a segno 31 ace (contro i 10 dello scozzese) pur servendo la stessa percentuale di prime di Murray (70%) e facendo 90 punti su 108 quando ha messo la prima (83% contro il 72%), ma quando ha messo la seconda ha perso l’iniziativa dello scamnbio al punto di fare soltanto 20 punti su 47 (il 43%) mentre Murray – che lo martellava prevedibilmente sul rovescio – ne ha fatti 35 su 52, vale a dire il 67%: una bella differenza!

Ma nel primo set Berrettini ha fatto solo 3 ace, nel secondo solo 5, nel terzo è salito a 6 dopo aver salvato due palle break nel quarto gioco che valevano come due mini-matchpoint, ma poi nel quarto e nel quinto set non più concesso mezza palla break, ha fatto 7 ace e nel quinto 10 di cui ben 4 nel tiebreak vinto 9-7 e nel quale ha quasi sempre messo la prima.

Contrariamente a quanto, purtroppo, ha saputo fare nel long tiebreak finale: su 7 servizi ha messo soltanto un paio di prime e subito 4 minibreak, sotto subito 5-0 e 6-1, fino a che su 9 punti a 6 per Murray lo scozzese ha fatto il punto vincente con il più beffardo dei nastri.

Mi ha ricordato quello che colpì Becker contro Lendl nella finale del Masters 1988 di New York: anche quel match si concluse 7-6 al quinto. Durò 4 ore e 43 minuti, 6 minuti meno di questa di Melbourne. Becker fece 164 punti, Lendl 162. Chissà se oggi il coach di Murray ci ha ripensato, fossi stato in Australia glielo avrei chiesto! Murray ha fatto 166 punti, Matteo 161, cinque punti in meno. Somiglianze pazzesche se si pensa che la conclusione, allora come oggi, è arrivata grazie a un net fortunosissimo, impossibile da recuperare. Quello di New York, quando il Supertiebreak non esisteva, avvenne sul 6-5 per Becker, ma dopo 37 scambi! Pazzesco. Impossibile da dimenticare.

Bravo e sportivo Matteo che, seppur con la morte nel cuore, ha trovato la forza di sorridere a Murray, di complimentarsi per la grande battaglia sostenuta, di lanciare il suo cappellino all’uscita dal campo prima di venire in conferenza stampa a ricordare a tutti:”Lo scorso anno ho vinto io una partita 7-6 al quinto (con Alcaraz), quest’anno l’ho persa. Questo è il tennis…”.

E il tennis non fa quasi mai i conti con i precedenti: Matteo aveva vinto gli ultimi 3 match con Murray, aveva anche vinto 7 volte su 8 gli incontri protrattisi fino al quinto set, ma stavolta ha perso contro un grande campione.

Più che per quei dati appena ricordati, ieri nel mio editoriale mi ero dichiarato abbastanza ottimista sull’esito del duello Berrettini-Murray – ma avevo anche scritto che vincere 4 incontri “azzurri” su 8 sarebbe stato improbabile: difatti ne abbiamo fin qui persi quasi 5 su 6, due degli otto sono stati rinviati -perché per tutto il 2022 non avevo mai visto un Murray forte come quello ammirato oggi. Questa è stata decisamente la sua miglior partita dacchè l’ex n.1 del mondo e campione di 3 Slam è rientrato in campo dopo l’ennesima operazione all’anca.

E mi fa dire che lui non ha solo l’anca di titanio. Ha anche il cervello, la testa. Solo un grande campione con quella incredibile determinazione, sarebbe riuscito a 35 anni passati a tornare a battersi come ha fatto con Berrettini.

Capisco che se io adesso faccio un paragone con un altro trentacinquenne,  Fognini, e il modo in cui Fabio ha affrontato Kokkinakis, non mancherà chi mi criticherà dicendo “Ma che bisogno c’era di tirare fuori Fognini anche in questo articolo? Ce l’hai proprio con lui…”.

Beh, pensate pure quello che volete, scrivete che ce l’ho con lui e che se era il mio miglior amico non l’avrei scritto anche se non è vero, ma il contrasto fra la determinazione, la garra, dei due coetanei separati alla nascita da appena 9 giorni (15 maggio 1987 Murray, 24 maggio 1987 Fognini), è stato talmente stridente che mi è parso un aspetto da non potersi giornalisticamente trascurare.

Anche se a quell’età sono i tempi di recupero soprattutto a soffrire, e quindi contro Kokkinakis (avanti 6-1,6-2,4-2 e 15-40 sul servizio di Fognini al momento dell’ennessima interruzione per pioggia) Murray al secondo round  potrebbe risentire pesantemente dello sforzo sostenuto contro Matteo, oggi come oggi le condizioni fisico-atletiche di Murray –al di là della testa che è sempre stata diversa–mi sembrano mostruosamente diverse da quelle di Fognini.

Se la pioggia gli regalerà magari qualche ora in più rispetto alle 36 previste, Andy può sognare di raggiungere gli ottavi di finale (contro Ruud?), per un match che non lo vedrebbe chiuso in partenza.

Fognini invece sembra affrontare molti match scendendo in campo con lo spirito del pensionato. Il primo a non credere nelle sue possibilità di vittoria, una volta in campo, sembra proprio per primo lui. Anche se certi fatti – gli allenamenti intensi, l’equipe che lo segue e che lui ha voluto mettere sotto contratto – sembrerebbero invece negarlo. Contraddizioni inspiegabili, apparentemente.  Come se il Fognini fuori del campo, quello che si allena seriamente, fa e annuncia programmi ambiziosi (“Voglio restare almeno fra i primi 50 del mondo”) e decide di affrontare una trasferta lontana come quella australiana, fosse una persona, ma poi quel Fognini che poi scende in campo – e in un’atmosfera stimolante come quella aussie contro un avversario aussie in un campo importante di uno Slam (non un periferico davanti a 100 spettatori indifferenti) e a centinaia di migliaia di telespettatori– fosse tutta un’altra persona. Dottor Jekyll e Mister Hyde.

Torniamo a parlare degli altri azzurri.

Sinner al secondo turno c’è arrivato e onestamente non dovrebbe temere un Etcheverry (79 Atp) se aspira a chiudere l’anno fra i primi 8 del mondo. Con ciò non dico di sottovalutarlo. Ma già a terzo turno Fucsovics con il quale ha perso due volte, una a Melbourne 2020 e poi a Wimbledon 2021, vincendoci a Sofia 2020-  oppure Harris il giustiziere di Musetti ( da lui battuto 62 62 a Anversa) mi sembrano un po’ più tosti, seppure ampiamente battibili.

Sonego ha un compito durissimo con Hurkacz, anche se l’averlo battuto 3 volte su 4 nel circuito maggiore (1-1 nei challenger) gli darà fiducia quanto la convincente vittoria su Borges (che non è un cattivo giocatore).

Tornando ai nostri due migliori giocatori fin qui eliminati, insomma, non condivido il crucifige di troppi delusi dell’ultima ora, o di sempre.

Aggiungo che perfino quel matchpoint che molti giudicano errore imperdonabile…beh, arriva sul rovescio bimane di Matteo, una palla che scende e in una zona del campo dove Matteo non è abituato a trovarsi e a giocarlo. E quando hai davanti un tennista come Murray, uno dei più forti doppisti del mondo (anche se lo gioca raramente), riuscire a evitarlo e a tirare dove lui non andrà o non potrà arrivare, non è così facile come può sembrareUn Fognini, ad esempio, riuscirebbe a gestire quella situazione con molto più agio.

Forse anche un Musetti, se non esagera. Un Sinner invece si può trovare in difficoltà come Berrettini. Un matchpoint è sempre un matchpoint. La tensione gioca brutti scherzi. Resta un errore, magari sanguinoso e indimenticabile, ma non era poi così facile fare il punto come molti tennisti della domenica pensano e dicono.

Sulla diagonale dei rovesci non c’è dubbio che Andy era favorito rispetto a Matteo, molto migliorato ma mai abbastanza. Dover giocare e lasciare esplodere centinaia di dritti sempre girando attorno alla palla ha fatto sì che diverse volte Matteo abbia commesso errori di dritto. Per errori non intendo soltanto punti immediatamente persi, ma anche dritti più corti del dovuto. Sui quali Murray poteva riprendere il comando del gioco.

Tuttavia quarto e quinto set sono stati di altissimo livello. Tanti i punti davvero strepitosi, da applausi. Per questo non ci sto a dar credito a chi sostiene che Matteo abbia raggiunto la finale di Wimbledon per caso, a chi scrive che ora che Matteo uscirà dai primi 20 del ranking ATP (fra i quali è sempre rimasto dal 2019) non tornerà più su e il suo best ranking di n.6 resterà irripetibilee.

Intanto Matteo, che non aveva più perso in un primo turno di Slam dall’Australian 2019 (Tsitsipas) ha poche cambiali da onorare nei prossimi mesi. Credo che prima del Queen’s e di Wimbledon lo ritroveremo quasi certamente fra i primi 15/20 e non escludo fra i primi 12. E poi io, almeno sull’erba dove il suo rovescio slice è certamente efficace e non più un colpo debole, mi aspetto che farà ancora grandi risultati.

Così come Lorenzo Musetti sulla terra rossa. Disfattisti preconcetti…rauss!

Chiudo questo editoriale, certo triste anche per le altre sconfitte azzurre, sia pur non del tutto inattese di Trevisan (ma 6-3,6-2 con la Schmiedlova è una severa lezione) e Paolini (6-2,6-4 con la russa d’Italia Samsonova, top 20, ci sta), di Bellucci in 4 più che dignitosi set con Bonzi, per un torneo che lui ricorderà sempre come quello del suo battesimo in uno Slam, con la nostra pattuglia di 12 elementi già dimezzata prima ancora che si concludano tre primi turni, il match di Fognini e le due sfide azzurre di Stefanini e Bronzetti a due veterane tedesche, Maria e Siegemund. Ma prima mi rallegro con Camila Giorgi che ha lasciato un solo game alla Pavlyuchenkova, peraltro scesa a n.364 WTA per ricorrenti problemi fisici. Camila con la Schmiedlova, a patto che stia  bene, è più favorita di quanto lo fosse la Trevisan. Ma quel “a patto che stia bene” è un inciso fondamentale.

Manifesto un certo stupore per la rimonta al quinto di Sascha Zverev, dopo la semestrale convalescenza, sul peruviano Varilla che in due comparsate in altrettanti Slam ha perso due volte al quinto set, a Parigi dove si era qualificato e conduceva due set a zero con Aliassime, e a Melbourne dove è stato avanti due set a uno con il biondo tedesco. Nessun peruviano aveva più giocato in uno Slam dai tempi (2008) di Luis Horna al Roland Garros. Ma il peruviano (d’America) più forte di sempre era stato Alex Olmedo, campione in Australia e poi a Wimbledon nel 1959, quando battè uno dopo l’altro Fraser, Ayala, Emerson e Laver. Ma aveva preso il passaporto americano.

Una nota finale sul clima di Melbourne, dopo che avete constatato come il match di Kokkinakis e Fognini sia cominciato e ripreso 4 volte e non sia ancora finito, onde non commettiate l’ingenuità di programmarvi davanti alla tv al minuto. Secondo certe previsioni Melbourne, quasi 5 milioni di abitanti con le 31 municipalità della “Grand Melbourne” dovrebbe diventare nei prossimi anni la città più popolosa d’Australia scavalcando Sydney.

Ma per adesso, in termini di altre previsioni, quelle meteo, Melbourne è soprattutto la città delle “four seasons in a day” (quattro stagioni in un giorno) perché spesso si registrano fortissime escursioni termiche. Si può passare da un mattino torrido che blocca la disputa degli incontri per via della heat policy come è successo nella seconda giornata dell’Open d’Australia (oltre 40 gradi!), ad un pomeriggio con più di un temporale con temperature minime intorno ai 10/12 gradi nell’arco di pochi minuti. Il classico clima continentale. E sì che Melbourne è bagnata dal mare.

Diverse partite non si sono giocate. In taluni casi anche alcune di quelle previste sui campi coperti sono stati bloccate per non creare disparità fra giocatori più riposati e altri più stanchi. Probabile che a Murray non sia dispiaciuto che il match Kokkinakis-Fognini non si sia ancora concluso. Magari guadagnerà qualche ora in più di riposo.  Ci sono stati 7 match rinviati e nella terza giornata avrebbero dovuto aver inizio anche i doppi, incluso quello di Bolelli e Fognini.

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