Tennis by night: quando l'alternativa è peggio del problema

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Tennis by night: quando l’alternativa è peggio del problema

Il match tra Murray e Kokkinakis ha riportato alla ribalta il probema dei match che finiscono per giocarsi nel cuore della notte. Ma siamo sicuri che le alternative siano migliori?

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Andy Murray gioca nel cuore della notte - Australian Open 2023 (foto Twitter @Wimbledon)
 

Succede con cadenza abbastanza regolare, tutti noi che il tennis lo guardiamo con costanza sappiamo che è una possibilità, eppure ogni volta che succede siamo tutti con le braccia in alto a chiederci “come è possibile?”. Il match in cinque set fra Andy Murray e Thanasi Kokkinakis che nella notte tra giovedì e venerdì a Melbourne ha tenuto l’impianto di Melbourne Park in funzione fino alle 4.05 del mattino con un’epica maratona di 5 ore e 45 minuti ha fatto tornare alla ribalta il problema del “tennis by night”, che in questo caso stava per diventare “tennis at breakfast”.

È stato lo stesso Murray a chiamare “una farsa” la sua undicesima rimonta in carriera da uno svantaggio di due set, chiedendosi “a chi serve giocare a tennis a quest’ora?”

Come detto non è la prima volta che accade. E non bisogna nemmeno andare troppo indietro per trovare casi simili. Lo scorso inverno ad Acapulco Sascha Zverev e Jenson Brooksby terminarono la loro partita alle 4.54 ora locale, mentre anche lo zoccolo duro dei nottambuli aveva già lasciato le discoteche della località messicana. Nelle finali di Coppa Davis del 2019 il doppio conclusivo tra Italia e Stati Uniti terminò alle 4.04, e se vogliamo ricordare l’episodio più famoso, durante l’Australian Open 2008 Lleyton Hewitt e Marcos Baghdatis giocarono fino alle 4.34 del mattino, costringendo Hewitt ad andare a dormire poco prima delle 9.

Non serve al torneo, non serve al pubblico, alle televisioni [tranne a quelle in fusi orari diversi n.d.r.] e allo staff del torneo. Non ha senso giocare a tennis a quest’ora”, ha commentato Andy Murray dopo la sua vittoria, parlando alla stampa britannica nel parcheggio di Melbourne Park prima di tornare al suo alloggio.

È difficile essere in disaccordo, almeno in linea di principio. “Se fossi il genitore di un raccattapalle che torna a casa alle cinque del mattino mi arrabbierei,” ha continuato Murray, lui stesso padre di quattro bambini.

Un coro di proteste si è levato da più parti, a partire dalla stampa specializzata che ha chiesto a gran voce un cambiamento nei regolamenti che imponga un “coprifuoco” come accade a Wimbledon, ovvero un’ora limite oltre la quale “lo spettacolo non deve andare avanti”.

Tutto giusto, tutto comprensibile, se non fosse che non credo si sia pensato alle implicazioni di una proposta di questo tipo.

Perché la domanda vera da porsi è questa: quali sono le alternative?

Le alternative

Andiamo a vedere quello che si può fare per evitare che si arrivi a giocare partite ad orari da night club e soprattutto quali sono le conseguenze.

Il problema è ovviamente generato dalle sessioni serali: sono una manna dal cielo per gli organizzatori, e anche per i tifosi che durante la giornata studiano o lavorano, e quindi sono una componente irrinunciabile dei tornei.

Normalmente, nei tornei dello Slam, ci sono due incontri, uno maschile e uno femminile. Quello femminile è al meglio dei tre set, mentre quello maschile è naturalmente al meglio dei cinque set. Se il match femminile è particolarmente lungo, si rischia di far andare in campo il match maschile piuttosto tardi, con conseguenze facilmente immaginabili. È quello che accadde a Hewitt e Baghdatis nel 2008: il programma pomeridiano andò molto lungo a causa del 10-8 al quinto con il quale Federer sconfisse Tipsarevic. A quel punto venne fatto giocare il singolare femminile di apertura della sessione serale tra Venus Williams e Sania Mirza, che durò due set, ma comunque costrinse Hewitt e Baghdatis a iniziare la loro partita alle 23.55.

Secondo Martina Navratilova, è necessario creare delle regole chiare che stabiliscano un orario limite entro cui l’incontro deve iniziare. Ma nel caso di Murray e Kokkinakis questa regola non avrebbe comunque impedito quello che è successo: il loro match è iniziato alle 22.20, orario tutto sommato abbastanza normale per il tennis, e non solamente per il tennis.

Se invece si adottasse una misura come quella di Wimbledon, ovvero un orario di “coprifuoco” oltre al quale non si può continuare e le partite devono essere sospese, si creerebbe una situazione abbastanza delicata: con ogni probabilità i giocatori più forti sarebbero estremamente riluttanti ad essere programmati in uno slot a rischio sospensione, con possibilità che questo comporti la perdita del giorno di riposo negli Slam o addirittura un doppio turno il giorno successivo nel caso dei tornei di una settimana. Si finirebbe che in quello slot sarebbero programmati i giocatori che hanno meno “influenza” sull’organizzazione, creando una ulteriore disparità tra i tennisti di vertice e gli altri “mestieranti”.

Perché nella maggior parte dei casi, i giocatori odiano dover finire la partita il giorno successivo. Con ogni probabilità hanno già passato parecchie ore nell’impianto aspettando di giocare, ed è estremamente probabile che preferiscano giocare, qualunque sia l’ora, piuttosto che rimandare la partita al giorno dopo, in tutto o in parte, con le conseguenze di cui sopra.

Quindi stiamo parlando di una soluzione che sarebbe in linea generale sgradita ai giocatori, probabilmente sgradita al pubblico sugli spalti che vorrebbe vedere la conclusione del match per cui ha pagato (spesso profumatamente) un biglietto. E potrebbe causare qualche problema anche alle onnipotenti televisioni, che si vedrebbero sparigliato il programma del giorno seguente con molto poco preavviso. E non bisogna negare che, così come quando si vuol bere una birra un po’ troppo presto durante la giornata si tira spesso fuori la scusa che “saranno pure le 5 da qualche parte”, anche in questo scenario la platea planetaria del tennis fa si che un incontro giocato a notte fonda in una parte del mondo si trasformi in un match in diretta TV ad orari insolitamente comodi per qualche appassionato a portata di satellite.

Probabilmente ogni tifoso di tennis ha il suo aneddoto di questo tipo, ma personalmente è ancora molto vivo nella memoria il ricordo del quarto di finale dell’Australian Open 1993 tra Gabriela Sabatini e Mary Pierce che andò avanti ben oltre le due del mattino, dandomi la possibilità di guardarlo in diretta dopo essere tornato da scuola (a scapito dei compiti che quel pomeriggio furono fatti attendere). Dimostrazione che non tutti i mali vengono per nuocere.

Tuttavia questa nostra valutazione dei diversi possibili scenari non può prescindere dal realizzare che il problema vero è uno solo: le partite possono arrivare a lunghezze impossibili da gestire senza pesanti conseguenze sul resto del torneo. Un match di 5 ore e 45 minuti sarà sempre un rompicapo  difficile da risolve, qualunque misure si adottino. E si potrebbe finire per trovare soluzioni che scontentano tutti per risolvere un problema che è l’essenza stessa del tennis.

Il 70-68 di Isner e Mahut a Wimbledon 2010 è stato talmente assurdo che si sono adottate misure per far sì che la cosa non si ripetesse più: ora tutti gli Slam hanno il tie-break al set decisivo, come è sensato che sia. Ma il problema dei match troppo lunghi è stato limitato, non eliminato.

L’altro vero problema, inutile girarci intorno, è il 3 su 5. E lo si deve ammettere anche dopo una partita come quella di giovedì notte/venerdì mattina che non sarebbe mai esistita se non fosse per il 3 su 5. Tuttavia ciò che il tennis deve chiedersi è se valga la pena dover gestire tutti questi mal di testa, oltre alle evitabili lungaggini di tante partite onestamente dimenticabili, per poter avere ogni tanto un match epico come Murray-Kokkinakis.

Non ho il minimo dubbio che i commenti in calce a questo pezzo saranno un plebiscito in favore del “sì”. Perché chi commenta qui sopra è un appassionato ormai votato alla causa e che non paga di tasca sua le complicazioni di programmi e palinsesti scombussolati da partite troppo lunghe.

Tuttavia, per tornare alla questione originale, prima di adottare misure come orari limite per inizio o fine degli incontri, è bene che il tennis valuti il problema da un punto di vista complessivo, includendo anche la spinosa questione del 3 su 5 e senza farsi trasportare da inopinati isterismi.

Anche perché coloro che sostengono come sia solo il tennis a proporre orari troppo “notturni” per l’inizio delle proprie partite forse dovrebbe informarsi un po’ meglio. Senza arrivare al famoso “rumble in the jungle” tra George Foreman e Muhammad Ali, programmato alle 4 del mattino del 30 ottobre 1974 a Kinshasa, in Zaire, per consentire la trasmissione in prima serata negli Stati Uniti, non è inusuale che le esigenze televisive spingano eventi sportivi anche importanti verso orari inconsueti. La finale olimpica di beach volley delle Olimpiadi di Rio 2016 era programmata per mezzanotte per far spazio alle telenovelas di Rede Globo in prima serata. Stessa sorte hanno subito le finali di nuoto che la NBC voleva trasmettere in diretta. La finale del torneo di basket a Tokyo 2020 è andata in scena alle 11.30 del mattino. Nel tennis queste cose capitano solamente con maggiore frequenza, ma non sono un’esclusiva del nostro sport.

In conclusione, il problema è sempre quello: le partite di tennis possono durare molto a lungo, e la loro variabilità è estrema. Tutto il resto è un corollario di questa verità, che si può considerare un problema da risolvere o un fatto da accettare. Una volta Winston Churchill disse che “la democrazia è la peggiore forma di governo possibile, eccetto tutte le alternative”. Forse il “tennis by night” non è troppo diverso.

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