Martina Navratilova e Chris Evert: come la loro rivalità si è trasformata in un’amicizia di lunga durata

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Martina Navratilova e Chris Evert: come la loro rivalità si è trasformata in un’amicizia di lunga durata

Dovremmo sempre ricordarci che “competizione” non è una parolaccia, anzi la rivalità può far nascere rispetto e relazioni che possono durare una vita

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Martina Navratilova e Chris Evert - US Open 2019 (foto via Twitter, @usopen)
 

Dopo Stefan Edberg, la Federazione Italiana Tennis e Padel ha assegnato la “Racchetta d’oro” 2023 anche a Martina Navratilova. Sul Campo Centrale del Foro Italico, a pochi minuti dall’inizio della finale maschile tra Rune e Medvedev, l’ambasciatore del tennis italiano Nicola Pietrangeli, ha consegnato il prestigioso riconoscimento alla leggenda del tennis mondiale.

Questo il discorso pronunciato – in italiano – da una emozionata Martina Navratilova: “Molti di voi sanno che ho passato un anno molto difficile, ma adesso sto bene. Sono grata per ovvie ragioni di essere qui con voi. Ho sempre amato venire in Italia. Il mio primo torneo qui a Roma è stato nel 1973. Qui ho sempre amato mangiare il gelato… Il tennis mi ha dato una vita sorprendente per la quale sono molto grata e che ho sempre cercato di ricambiare mentre giocavo e anche quando mi sono ritirata. Questo meraviglioso sport è abbastanza difficile ed è per questo motivo una scuola di vita. Ti insegna la pazienza, la perseveranza, il continuare a lottare, essere giusti e umili. Perché nessun giocatore è più grande dello sport e sarà sempre così. Anche se non ho mai vinto questo torneo ho sempre amato competere qui per il pubblico per tutti voi. La passione che voi mostrate per lo sport è esattamente quello che provo ed è per questo che mi sono sempre sentita a casa qui in Italia. Grazie dal profondo del mio cuore, per tutti i ricordi del passato e anche per oggi. Apprezzo questa giornata che ricorderò per sempre”.

Martina Navratilova – Roma 2023 (credits: FOTO ARCHIVIO FITP) 

Nel ricordare la carriera di Martina Navratilova, vi proponiamo la traduzione di un articolo di Matthew Syed, pubblicato da The Sunday Times il 26 marzo 2023.

Uno dei momenti di maggior spicco nello sport degli ultimi tempi è stato quando Roger Federer è scoppiato in lacrime alla O2 arena di Londra, quando il pubblico si è alzato in piedi per celebrare la sua carriera terminata da poco. E’ stata un’occasione memorabile e la risposta del pubblico la dice lunga su quello che ha regalato al tennis e sulla gioia che la sua arte ha portato a milioni di fans.

Ma non fu Federer ad attirare la mia attenzione, bensì lo spagnolo seduto al suo fianco a bordo campo: Rafael Nadal, l’uomo con cui ha condiviso le più intense battaglie nella storia della sport, stava piangendo insieme a lui. C’è una foto di loro due, fianco a fianco, che si tengono per mano, uniti nell’emozione, proprio come una volta erano divisi dalla rete nelle due parti del campo.

In una stupenda intervista trasmessa al “Tuesday evening con Piers Morgan”, Martina Navratilova, che è appena guarita dal cancro, si è emozionata allo stesso modo quando le è stato chiesto della sua grande rivale, Chris Evert, che allo stesso modo è riuscita a sconfiggere il cancro. Appena ha cominciato a parlare della donna una volta era stata descritta come la sua “grande nemica”, lo ha fatto non con animosità ma con qualcosa più vicino all’amore.

“Noi siamo diventate, l’una grazie all’altra, delle giocatrici migliori e credo anche delle persone migliori” ha detto.

Cito questo episodio perché è facile pensare alla rivalità come a un tipo di inimicizia. Del resto la persona al di là della rete sta cercando di spezzare i tuoi sogni di vincere la partita o di sollevare il trofeo. Ma nelle esperienze di Federer e Nadal, così come di Navratilova ed Evert, non posso fare a meno di chiedermi se esista una verità più profonda. una verità che evoca l’intimità tra rivali che, molto spesso, porta a un’amicizia unica e duratura.

Penso a quella battaglia tra Federer e Nadal nel 2009 all’Australian Open, quando il primo era così esausto da non riuscire a tenere il microfono, figuriamoci a parlare. L’epica finale di Wimbledon un anno prima, quando Federer fu sconfitto da Nadal dopo ore di palpitante competizione fino a far allungare le ombre su SW19; l’incredibile match in Australia nel 2017 quando Federer con un rovescio “reinventato” ebbe la meglio nel set decisivo.

Questa fu una rivalità ma anche un duetto, un balletto, una “collaborazione” dove entrambi gli uomini erano intimamente connessi. Come Federer prese il sopravvento nei primi tempi, così Nadal rispose adattandosi sia tatticamente che tecnicamente, obbligando lo svizzero a scavare nel profondo per trovare nuove armi. Erano rivali, ma stavano scalando insieme la montagna della grandezza, sherpa sotto mentite spoglie, entrambi protagonisti nell’articolazione dei reciproci talenti.

Evert e Navratilova hanno cavalcato la stessa traiettoria, impegnate a darsi battaglia per un verso ma compagne nell’altro. Navratilova non sarebbe mai – non avrebbe potuto mai – essere l’atleta e persona che divenne, senza la sfida lanciatele dalla sua grande rivale, proprio come Evert cresceva davanti ai nostri occhi dopo che Navratilova si unì all’ élite. Chi potrebbe scordare le loro semifinali in tutti i Grandi Slam del mondo?

Quando parliamo della statura di Navratilova come giocatrice, non stiamo implicitamente omaggiando la persona che ha reso tutto questo possibile, e viceversa? Ecco perchè, allargando la prospettiva per un momento, sono un po’ preoccupato di come la parola “competizione” sia diventata una parolaccia.

E’ come se competere sia qualcosa di aggressivo o rozzo. Dovremmo ricordarci che la competizione è il motore fondamentale per migliorare, il meccanismo che ci aiuta ad individuare debolezze che, altrimenti, potrebbero rimanere nascoste, il processo che guida qualsiasi tipo di evoluzione. Combattere vuol dire imparare e, nelle giuste circostanze, crescere.

E non è per questo che quando le battaglie sono finite, quando la polvere si è posata, quando percepiamo il potente cambiamento forgiato da questo processo, che siamo spesso grati a chi ci ha spinto fin là? Perché così tanti di quelli che hanno combattuto ferocemente arrivano ad ammirare, forse persino ad amare chi è dall’altra parte del campo? Nelle lacrime di Nadal in quell’indimenticabile notte, abbiamo visto sia il rispetto per uno sportivo eccezionale ma anche un riconoscimento dell’avventura che hanno condiviso insieme.

E lo stesso, direi, vale per Martina e Chrissie, come si chiamano adesso. Quando Evert entrò in ospedale lo scorso anno, Navratilova mandò messaggi di sostegno e cominciò a indossare una collana che le era stata data dalla rivale. Abbiamo capito dall’intervista con Morgan martedì che la indossava ogni giorno, senza toglierla mai, fino al momento in cui si è seduta sul lettino per il trattamento e ha dovuto toglierla per ragioni di sicurezza.

Poi quando Navratilova tornò in ospedale una seconda volta, fece in modo di far ascoltare all’amica il classico Soul ” Lean on me” di Bill Withers. Appena Morgan ha cominciato a leggere le parole iniziali del testo (“conta su di me, quando non sarai forte e sarò tuo amico, ti aiuterò ad andare avanti….”) Navratilova si è sciolta ancora in un pianto...”Chris è stata un appoggio” ha detto asciugandosi gli occhi “mi ha supportato così tanto, come l’ho supportata io un anno fa. è stata così grande”.

E’ stata un’intervista stupenda, in parte perchè ci ha mostrato l’umanità di Navratilova, una dei più straordinari sportivi della mia vita. Ma ci ha anche evocato qualcosa sulla natura della rivalità e forse anche sulla vita stessa. e come il coach di basket Michael Krzyzewski ha detto: le grandi rivalità non devono essere basate sull’odio, ma costruite sul rispetto… il rispetto per l’eccellenza “

Traduzione di Luca Gori

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