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16/10/2011 16:17 CEST - Curiosità

E' sempre "Towel, please!"

TENNIS - Negli ultimi anni è cresciuto a dismisura il vizio dei tennisti di detergersi anche nelle brevissime pause tra un punto e l'altro, chiedendo ai malcapitati raccattapalle la consegna degli asciugamani. Una tendenza apparentemente innocua che invece, unitamente ad altri vezzi, determina un eccessivo rallentamento del ritmo di gioco (in violazione della regola n.29 ITF) e rende questo sport meno appetibile pr le tv. Cesare Boccio

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Spesso gli appassionati di tennis si chiedono il perchè questo magnifico sport non riesca a trovare spazio nelle tv generaliste come accadeva fino a circa venti anni fa, seppur con enorme fatica nel suo inserimento nei palinsesti. Ebbene la risposta è una sola, il fattore tempo. Il tennis è una disciplina che rientra nella più ampia categoria degli sport a durata tendenzialmente illimitata, i cui incontri possono terminare entro un quantum di tempo del tutto indefinibile a priori. Ma questa, si dirà, è una caratteristica sempre appartenuta al tennis, anche ai tempi “gloriosi” delle trasmissioni gratuite sui canali della Rai e Koper Capodistria. In realtà un'attenta osservazione delle dinamiche, per così dire extra-agonistiche, che avvengono sul campo conduce inevitabilmente a constatare che negli ultimi anni la lunghezza delle pause tra un punto e l'altro sono diventate eccessivamente lunghe, così da rallentare in modo estenuante il ritmo di gioco rendendolo poco appetibile al grande pubblico dei non appassionati (gli spettatori disponibili a guardare in tv solo i grandi eventi, o magari le partite degli italiani in Coppa Davis o Fed Cup).


Le cause dei ritardi nella ripresa del gioco
In primo luogo è necessario evidenziare le cause di questo fenomeno. Una ricerca molto facile poiché, generalmente, sono due i principali vezzi dei tennisti professionisti (soprattutto uomini): 1) la continua e ingiustificata richiesta dell'asciugamano ai raccattapalle, 2) i rimbalzi delle palline prima del movimento del servizio (specialità che vede Djokovic in pole position). Oltre a questi, ci sono delle ovvie personalizzazioni, come i gesti di Nadal con cui lo spagnolo si aggiusta i pantaloncini, oppure si pensi a quei tennisti che pretendono dagli spettatori un silenzio e una immobilità da museo delle cere...e ritardano così il proprio servizio o chiedono all'avversario di attendere qualche secondo, neanche fossimo alla Scala di Milano in attesa della Prima della Turandot.
Towel please!
Per chi vi scrive rappresenta un vero incubo, che mi ha fatto maturare una autentica idiosincrasia nei riguardi dei tennisti che si avvicinano ai raccattapalle per chiedere l'asciugamano, spesso anche in modo alquanto sgarbato limitandosi ad un gesto emblematico (la manina che passa sul volto, oppure semplicemente indicando dove si trova l'oggetto), senza rivolgere la parola a quei ragazzini che sgobbano per loro e neanche un grazie dopo la restituzione del telo miracoloso. Precisando meglio il ragionamento, sarebbe anche comprensibile asciugare il proprio sudore al termine di uno scambio molto duro, ma talvolta vediamo i tennisti farlo anche dopo aver realizzato un ace! A questo punto la domanda nasce spontanea...ma da cosa devono detergersi i nostri “gladiatori” della racchetta tra un punto e l'altro? La risposta, sinceramente è...non lo so. Se torniamo indietro di almeno venti anni possiamo notare che i campioni soffrivano senza lamentarsi mai, limitandosi a ristorarsi nei soli cambi di campo. Nessuno di loro osava nemmeno lontanamente immaginare di portare l'asciugamano nell'angolo; tutt'al più utilizzavano i polsini per bloccare lievemente la sudorazione sulla fronte, e non mi si venga a dire che ai tempi di Borg o Lendl non si sudava.....Proprio il mitico Ivan ebbe una trovata geniale per risolvere il problema del calore e della sudorazione inventando un primordiale ice-towel, ovvero un pezzo di asciugamano strappato e imbevuto di acqua gelida, legato al collo; senza dimenticare i mitici berretti da legionario che lo stesso Lendl indossava a Melbourne. In buona sostanza, il comportamento di molti tennisti odierni appare esagerato, inutile e, aggiungo, odioso agli occhi degli spettatori non fanatici di tennis.


I rimbalzi della pallina prima del servizio
Qualunque tennista su questa Terra, dilettante o professionista, prima di servire prende in mano la pallina desiderata (al termine di un'accurata scelta tra diverse candidate...tutte rigorosamente uguali), e la fa rimbalzare diverse volte. In genere i rimbalzi non superano le 5 o 6 unità, ma alcuni oltrepassano abbondantemente il lecito, imprimendo alla palla anche 15 o più rimbalzi (vero Djokovic?). Anche in questo caso, l'apparente innocuità del gesto, nasconde una perdita in termini di tempo che nei casi estremi può arrivare a superare addirittura i 5 secondi.


La regola numero 29 ITF - “Continuous play”
La ragione per la quale ci si sofferma sul problema di questi ritardi nella ripresa del gioco non è puramente estetica o etica, ma deriva dalla precisa esigenza di assicurare il rispetto di una regola del tennis, la numero 29 denominata “continuous play”, che nella parte che ci riguarda recita letteralmente:”As a principle, play should be continuous, from the time the match starts (when thefirst service of the match is put in play) until the match finishes. A). Between points, a maximum of twenty (20) seconds is allowed...”. La traduzione è molto semplice in quanto si afferma che, tra i punti, è consentito un massimo di 20 secondi di pausa. Una regola soggetta ad un'applicazione eccessivamente elastica da parte dei Giudici di sedia, sia sul piano del cronometraggio in senso stretto tra un punto e l'altro, che su quello dell'interpretazione di un'altra norma connessa, la numero 16 dove si stabilisce, tra l'altro, che:”The service motion is completed at the moment that the player’s racket hits or misses the ball”. Infatti, la regola 29 imporrebbe che i venti secondi dovrebbero essere computati partendo dalla fine dello scambio precedente, fino al momento in cui il giocatore al servizio completa il movimento della battuta, ossia, secondo la regola 16, quando ha “colpito o mancato la palla”.
Invece, notiamo spesso come i 20 secondi siano alquanto opinabili, dato che alcuni arbitri sono soliti iniziare il cronometraggio alcuni secondi dopo la fine di un punto, e considerare come inizio del punto successivo, non il momento dell'effettiva percussione della pallina, bensì retrocedendolo erroneamente alla fase dei rimbalzi pre-servizio.


Quali conseguenze per lo spettacolo?

In questo modo si viene a creare una perdita di tempo che, pur apparendo limitata nel singolo caso (il fatto di iniziare un punto 30 secondi piuttosto che 20 dopo il precedente, isolatamente considerato, non produce alcun danno effettivo) determina in realtà un computo complessivo del ritardo, che in un match al meglio dei cinque set può arrivare fino ad un quarto d'ora. Il calcolo è presto fatto. In media, cronometro alla mano, secondo un computo necessariamente approssimativo effettuato osservando alcune fasi dei recenti Murray-Nadal di Tokyo e Djokovic-Nadal di Wimbledon e Us Open, in un turno di battuta questa regola non viene rispettata in almeno un terzo dei punti (si ribadisce che il calcolo è stato effettuato traendo spunto da alcuni games di questi match scelti casualmente, vista la difficoltà di reperire statistiche esatte e complete, perciò il risultato è sì indicativo ma sostanzialmente molto realistico, provare per credere). Alcuni tennisti arrivano davvero ai 30 secondi (uno dei quali è Djokovic), con un margine di 10 oltre la regola. Moltiplicando questi dieci secondi per circa due punti a turno, si arriva a venti secondi persi (l'osservazione diretta delle partite conduce a risultati ben più negativi, diciamo che sto arrotondando il calcolo per difetto). Se consideriamo che in un set, sempre in media, si disputano circa 9 o 10 games, si può arrivare ad uno sforamento di 200 secondi, pari a 3 minuti e 20 secondi, che, moltiplicati a loro volta per i cinque set, conducono ai quindici minuti ipotizzati in precedenza. Un quantum di tempo preziosissimo, sia in termini di spazi sottratti alla pubblicità televisiva, sia sul piano della durata complessiva di un “order of play” giornaliero. Per non parlare del danno di immagine che, a mio modo di vedere, si produce nei confronti di chi si accinge per la prima volta ad assistere ad un match in tv. Lo spettatore inesperto rimane colpito dalle pause soporifere e dai vizi eccessivi dei tennisti, oltre che dal pessimo trattamento riservato ai già citati raccattapalle. Tutti noi conosciamo l'imperscrutabile atteggiamento del teleutente italiano-medio, capace di esaltarsi davanti ad un evento come l'America's Cup di vela che, seppur complicatissimo in termini regolamentari (le sue regole sono ignorate dalla stragrande maggioranza degli spettatori), si caratterizza per la spettacolarità delle sue fasi di svolgimento, oltre che per la continuità dipendente dalla pressochè totale assenza di pause. In questo modo si spiega perchè, al contrario, gli incontri di tennis presentano un numero di spettatori televisivi davvero modesto, calcolato al massimo in centinaia di migliaia, o a volte anche in pochissime migliaia di tifosi incalliti.


I possibili rimedi
Questa disamina è ovviamente limitata ad alcuni aspetti critici dello svolgimento temporale delle partite di tennis, ma si potrebbero scrivere delle monografie anche su altri fenomeni quali la lentezza degli atleti nel rientrare in campo al termine delle pause per i cambi di campo, o le frequenti (e talvolta ingiustificate) richieste di medical time out che alterano la dinamica tecnica del match, interrompendo appunto la continuità del gioco, che costituisce un principio fondamentale del tennis. Basti pensare che fino agli anni '60 nemmeno ci si sedeva ai cambi di campo, e i contendenti si limitavano ad una fugace bevuta consumata in piedi, in prossimità della sedia del Giudice arbitro. Ad ogni modo, tornando alla contemporaneità e al problema specifico della distanza tra un punto e l'altro, si sente parlare di rimedi quali l'installazione in campo di un cronometro visibile a tutti, in modo tale da non lasciare spazio a interpretazioni flessibili del regolamento. Devo ammettere che l'idea non è malvagia, ma resta un problema, ovvero l'esigenza di far scattare il tempo dal momento esatto della fine del punto precendente (ad esempio al secondo rimbalzo della pallina, o all'istante in cui un colpo termina a rete) e valutare il rispetto dei 20 secondi tenendo presente la sola fase dell'impatto tra racchetta e pallina. Da questo punto di vista occorrerebbe una maggiore uniformità di interpretazione che solo un intervento chiarificatore dell'ITF può assicurare. Infine, mi sia consentita una provocazione. Ritengo che il numero delle pause per i cambi campo siano eccessive, non solo in termini di fruibilità televisiva, ma anche in rapporto alle effettive difficoltà fisiche e atletiche normalmente affrontate durante una partita di tennis. A questo proposito mi chiedo, perchè non si prende spunto da altri sport “non a tempo” come il volley, nel quale le pause sono limitate, oltre ai time out richiesti dagli allenatori, alle sole ipotesi in cui si raggiunge un certo punteggio nel corso del set (8 e 16 punti)? Analogamente nel tennis, pur mantenendo i cambi di campo al termine dei game dispari, le vere e proprie soste “ai box” potrebbero essere limitate al raggiungimento di un certo numero complessivo di giochi (ad esempio 5-11), e in ogni caso alla fine del set, così da ridurre in modo drastico i tempi morti. Ripeto, la mia può considerarsi un'idea provocatoria ma, a pensarci bene il tennis potrebbe trarne un indubbio vantaggio sul piano della spettacolarità e del dinamismo.

Cesare Boccio

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