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25/10/2011 00:35 CEST - L'ARGOMENTO

Boicottaggio per Wimbledon?

TENNIS – Troppe tasse: i tennisti minacciano di boicottare i tornei sul suolo britannico, tra cui i mitici Championships. L’oggetto del contendere sono gli introiti degli sponsor: una percentuale deve essere versata allo stato. UEFA e CIO sono riuscite a ottenere delle agevolazioni, adesso i tennisti vogliono altrettanto. In caso contrario, c’è il rischio di ripetere il clamoroso boicottaggio del 1973? Riccardo Bisti

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Nel 1973 la causa scatenante fu Nikki Pilic. Lo jugoslavo rinunciò a giocare un match di Coppa Davis contro la Nuova Zelanda e venne squalificato prima dalla federazione locale e poi da quella internazionale. Una sanzione che gli impediva di giocare il torneo di Wimbledon. Per solidarietà, i membri della neonata ATP (un’ottantina di giocatori) rinunciarono ai Championships. Il torneo (zoppo) venne vinto da Jan Kodes in finale su Alex Metreveli. 38 anni dopo, Wimbledon sembra correre ancora una volta il rischio boicotaggio. A darne notizia è la stampa spagnola. Stavolta la ragione è più…terra terra. Si parla di soldi, più nello specifico di tasse. Il regime fiscale britannico, in vigore dal 1988, è molto pressante. Gli sportivi che traggono benefici dai loro sponsor devono lasciare allo stato una parte dei proventi. La faccenda è deflagrata qualche giorno fa, quando Rafael Nadal ha comunicato che non avrebbe partecipato al torneo del Queen’s (altro evento a rischio sciopero) in favore di Halle, poiché in Germania il fisco è più..comprensivo. Il primo a lamentarsi, nel 2006, fu Andre Agassi. Il Kid di Las Vegas fece reclamo perché nessuno dei suoi sponsor era inglese, ma il suo ricorso venne rigettato. Questa storia proprio non va giù, tanto da autorizzare una provocazione dal forte impatto emotivo. “Non cambiate la normativa? Bene, noi non giochiamo Wimbledon”. Va detto che i tennisti non saranno gli unici a protestare. I golfisti hanno già fatto sapere che aderiranno all’iniziativa. C’è un precedente molto favorevole ai giocatori: la UEFA, la federazione calcistica europea, ha fatto si che nessun evento di portata europea che si giochi nel Regno Unito debba pagare l’imposta. Per dimostrare che faceva sul serio, la UEFA ha addirittura minacciato di non accettare l’affiliazione delle squadre inglesi ed impedirne la partecipazione alle manifestazioni internazionali (Champions League ed Europa League). Per molti club sarebbe stato un disastro.

Un fisco troppo esoso
Forte di questo precedente, l’ATP deve aver pensato: “Perché la UEFA si e noi no?”. La legge attuale funziona così: con il pretesto dei guadagni generati dagli sponsor nel suolo britannico, lo stato si accaparra una percentuale dei contratti in vigore tra gli atleti e gli stessi sponsor. I giocatori possono scegliere la forma di pagamento: versare in base ai giorni trascorsi in Gran Bretagna, oppure pagare direttamente una percentuale fissa sugli introiti annuali. Con questo sistema, un tennista di alto profilo può lasciare nelle casse dell’erario inglese qualcosa come 900.000 euro. Una cifra oggettivamente alta. Di certo le cose cambieranno, anche perché i Giochi Olimpici di Londra 2012 saranno esenti dalla gabella. Nel dossier presentato nel 2005 in fase di candidatura, infatti, Londra pose questa clausola che sicuramente ha influito nell’assegnazione. Come detto, uno dei più vivaci nella protesta è Rafael Nadal. Vale la pena riportare le sue parole quando ha annunciato che non avrebbe giocato al Queen’s: “Nel Regno Unito c’è un importante regime fiscale. Non è un problema di premi per giocare. Nel mio caso, lo Stato prende soldi da Babolat, da Nike e dai miei sponsor personali. Gioco nel Regno Unito e perso soldi. L’ho fatto negli ultimi anni, ma è diventata sempre più dura”. In altre parole, i soldi percepiti anche solo per giocare il torneo se ne vanno in tasse, e allora non conviene più giocare. “Probabilmente avrei garanzie più importanti giocando al Queen’s, ma perderei troppo in termini di sponsor”. La storia è destinata a non finire qui.

Riccardo Bisti

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