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20/01/2012 05:48 CEST - Australian Open

Nalbandian fa ancora discutere

TENNIS - McEnroe non poteva fare a meno di dare dell’idiota all’arbitro che ha impedito un giusto “challenge” all’argentino contro Isner sul 8 pari al quinto. Ai suoi tempi, e quelli di Nastase, si assisteva ad un maggior numero di risse. E magari la gente si divertiva pure di più. L’hockey piace anche per quelle. Ma situazioni di discrezionalità arbitrali sono rimaste. Roddick e le zampette degli alligatori. Sanzioni non sempre oggettive. Contano anche curriculum vitae e simpatia. Da Melbourne, Ubaldo Scanagatta

 

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australian open: nalbandian
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Dall’inviato
Ubaldo Scanagatta

MELBOURNE _ “Quella macchina ce l’ha con me!” Se c’era uno che non poteva sopportare l’infallibilità del Cyclops, l’antenato tecnologico dell’Occhio di Falco, questi era John SuperBrat McEnroe. La sua famosa frase “You cannot be serious”, diventata titolo del suo famoso libro autobiografico e sorta di “brand” per sottolineare la sua idiosincrasia per arbitri, giudici di linea e officials, non poteva certo essere indirizzata ad un congegno elettronico.

Se Cyclops e Occhio di Falco (battezzato ufficialmente nel 2006) fossero nati prima di Nastase e McEnroe, non sarebbero nati né Nastase nè McEnroe, o quantomeno i loro personaggi dei quali furono parte integrante _ se non preminente vista la classe e il talento di entrambi _ le loro sceneggiate. Esecrate da tanti, ma che di fatto quasi tutti aspettavano a gloria, perché sicuramente aggiungevano show allo show.

Sicuramente il progresso tecnologico ha favorito il corretto svolgimento di molti match, soprattutto quelli di Coppa Davis che troppo spesso venivano influenzati, quando non addirittura decisi, da giudici di linea affetti da miopia patriottica.

Lo show, peraltro, ne ha talvolta in parte risentito, perché anche le contestazioni dei giocatori dallo spirito più bollente, o comunque vittime degli errori arbitrali più clamorosi, hanno spesso finito per animare e vivacizzare partite altrimenti abbastanza monotone.  Il costo della tecnologia ha provocato sicura e discutibile discriminazione fra campo e campo, quindi fra partite e partite, giocatori e giocatori nell’ambito dello stesso torneo. E non è troppo giusto, secondo alcuni. Altri invece sostengono che sia sempre meglio evitare qualche partita “mal arbitrata” che nessuna.

Certo i più forti, che giocano inevitabilmente più spesso sui campi principali, sono stati in parte privilegiati dall’avvento della tecnologia elettronica, i loro match filano più lisci…anche se Roger Federer, il n.1 più solido n.1 degli ultimi 6 anni, non ha mai manifestato grande simpatia nei confronti dell’Occhio di Falco. Forse perché ne viene smentito spesso e volentieri.

Dopo sei anni di replay la gente ama ancora sottolineare con mormorii prolungati _ perfino a Wimbledon, Tempio dei Silenzi e dei Gesti Bianchi! _ la fase in cui l’Hawk-Eye fa seguire la traiettoria della palla fino al rimbalzo che è virtuale, perché come ormai tutti sanno si tratta di una proiezione dell’immagine con una certa approssimazione percentuale.

Ma i casi in cui i giocatori trovano ugualmente modo di scatenare i loro istinti repressi, seppur diminuiti, di tanto in tanto continuano ad affiorare. E, al di là del fatto che i “challenge” sono comunque limitati e talvolta finiscono prima di una palla discussa, le contestazioni non sono scomparse del tutto perché all’arbitro è rimasto comunque un minimo di discrezionalità, vuoi quando deve giudicare se una palla chiamata buona dall’Occhio di Falco (smentendo il giudice di linea) era comunque raggiungibile (oppure no) dal tennista fermatosi a seguito della chiamata errata, vuoi quando deve stabilire se il giocatore che chiede il challenge lo fa entro un tempo ragionevole.

Relativamente alla prima casistica molti ricorderanno una vivacissima protesta di Andy Roddick, uno che non le manda quasi mai a dire dietro alle spalle…tant’è che è uno dei giocatori Atp più convinti nel sostenere che l’Atp dovrebbe essere, come avrebbe detto Gino Bartali, tutta da rifare, perchè un sindacato di giocatori non può essere partner di una associazione di organizzatori di tornei.

Una volta Andy Roddick dovette subire, a seguito di una correzione imposta dall’Occhio di Falco, un “vincente” che secondo lui non lo era affatto: “Come fai a sostenere che non l’avrei presa? Anche se avessi avuto braccia corte come le zampe di un alligatore sarei riuscito ad arrivare su quella palla!

L’ultimo caso eclatante della seconda tipologia _ che si produce spesso nel corso di un punto, quando il giocatore che ritiene di dover ricorrere all’Occhio di Falco lo deve fare con prontezza perché una regola fondamentale del tennis consiste nell’impedire che un tennista possa pretendere di “giocarsi” lo stesso punto due volte _ è stato quello che ha forse deciso l’ennesimo match maratona giocato da John Isner e da David Nalbandian quando, sull’8 pari al quinto dopo 4 ore e mezzo abbondanti di gioco, su una pallabreak sul servizio del gigante americano che aveva il sapore di un matchpoint.

E’ accaduto, ormai è storia nota, che il giudice di linea ha chiamato correttamente out la solita bomba di servizio di Isner ma l’arbitro francese Nouni _ cui naturalmente più tardi John McEnroe avrebbe dato dell’idiota, tanto per non smentirsi _ ha contraddetto il giudice di linea decretando l’over-rule.

Nel calore del momento, mentre la gente assai eccitata gridava di tutto, Nalbandian non si accorgeva dell’overrule. Lo scopriva, suo malgrado e con grande raccapriccio, dalla lettura del punteggio da parte dell’arbitro. Lì allora improvvisava un’ispezione sulla riga incriminata, cercava di scorgere il segno, lo vedeva (ed era effettivamente fuori, coem avrebbero poi mostrato i responsabili dell’Occhio di Falco) e chiedeva il “challenge”, incoraggiato dallo stesso sportivissimo Isner.

Solo che l’arbitro decretava che ormai era trascorso troppo tempo, ricordava che il challenge va chiesto entro limiti di tempo accettabili, certo senza percepire il momento particolare, la confusione acustica dell’occasione per via della folla rumoreggiante, le quattro ore e mezzo di spettacolare battaglia. Nalbandian aveva ragione, diciamo la verità. E l’arbitro torto marcio. Ma il pubblico non poteva afferrare tutto quel che era successo, vedeva Nalbandian che non la smetteva di discutere animatamente e contestare Nouni, che usciva di testa, che scagliava la racchetta su un fotografo. E prendeva a fischiare l’argentino, a quel punto _ scusate l’espressione gergale fiorentina _ becco e bastonato. E sempre più furibondo.

Addio lucidità, e nessuna sorpresa quindi che nel game successivo, dopo il breakpoint non trasformato e il servizio tenuto da Isner, fosse proprio Nalbandian a cedere il servizio e il match. E la racchetta che finiva in pezzi. “Mi sbagli un over-rule sull’8 pari al quinto di uno Slam e su un servizio di Isner che non hai nemmeno visto e poi mi neghi di appellarmi all’Hawk Eye? Non ho mai visto niente di più ridicolo: qualcuno dovrà pur spiegarmi quanto successo. L’arbitro cercava pubblicità sui giornali o piuttosto è soltanto un vero stupido?

Il parere di McEnroe ve l’ho già riferito. Stupido magari no, ma inesperto e poco psicologo di sicuro. Ovviamente le reazioni rabbiose di Nalbandian si sarebbero protratte ed intensificate (eufemismo) più tardi, dopo aver visto il replay non ufficiale. Nalbandian, nel suo piccolo, è un altro McEnroe, nel senso che quando deve dire la sua non si fa pregare. Non è, insomma, il tipo del tennista conformista.

E meno male, perchè di uomini piatti, in campo e fuori dal campo, il mondo è fin troppo pieno. E’ anche pieno di gente maleducata, motivo per cui _ visto che i tennisti divengono spesso role-models per via della loro dilagante popolarità _ è giusto che da un lato si possa dare sfogo alla propria genuina umanità, dall’altro lato che si debbano rispettare certi limiti. Poi ci sarà sempre discrezionalità da parte dell’arbitro nel giudicare queste vicende, perché si finisce per tenere conto anche del curriculum del giocatore. Baghdatis, ad esempio, è un giocatore “vero”, sincero, spontaneo, senza essere un maleducato: l’altra sera ha rotto quattro racchette nell’arco di mezzo minuto e dopo un solo punto: se l’è cavata con un solo warning. E ha fatto un affare, se si pensa che Safin avrà rotto 57 racchette in un solo anno, ma senza prendere 57 warning. Forse nemmeno 30.

Anche Safin era uno che quando rompeva le racchette…ispirava simpatia. Sembra ingiusto, lo so bene, che anche la simpatia o l’antipatia di un personaggio possa ispirare sanzioni diverse. Ma non succede tutti i giorni, nella vita, che qualcuno più simpatico e che…ci sa fare per attirarsi le simpatie altrui la sfanghi, con il professore che ti fa l’esame, con il vigile che sta per farti la multa, con il giudice che deve decidere su quali attenuanti concederti. Concludere dicendo che anche gli arbitri _ come i critici di professione (leggi i giornalisti) sono esseri umani e possono avere le loro simpatie, essere più comprensivi nei confronti di chi li ha maggiormente rispettati nel corso degli anni, è certo banale. Ma è anche vero. E sarà sempre così. Con buona pace (o, ripensandoci, forse no…) dei tanti antipatici.

Ubaldo Scanagatta

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