Ci sono personaggi che prescindono dalla disciplina di cui sono protagonisti. Loro che, se identificati con lo sport che praticano, sarebbero restituiti al pubblico in forma ridotta, senza l’approfondimento della complessità che si annida al loro interno. E Billie Jean King è una di questi. Se si dovesse prendere in considerazione la sola bacheca trofei dell’ex tennista statunitense, ci si accorgerebbe immediatamente di essere davanti a un’icona della racchetta. 12 Slam e il girotondo dei Major completato. Eppure, pensare a Billie Jean in soli termini tennistici stona con la percezione che ha il grande pubblico di lei. Le etichette sono soltanto semplificazioni arbitrarie della realtà, categorie usate per spiegare in termini elementari il mondo. È per questo che BJK è BJK.
“La tradizione si può anche cambiare!”. Così esordisce King in un’intervista esclusiva al quotidiano britannico The Telegraph. E scoprire di cosa sta parlando l’ex giocatrice non può lasciare indifferenti.
Wimbledon è alle porte. L’All England Club è pronto anche quest’anno a ospitare il terzo Slam dell’anno. Quei prati attendono di essere calpestati da sogni compiuti e aspettative disattese. A proposito di etichette, Wimbledon è Wimbledon e non avrà mai bisogno di descrizioni.
“C’è una partita che sta per cominciare, ti siedi, guardi e ti chiedi: chi è chi? Gli appassionati di tennis dicono: ‘Beh, il segno è accanto al loro nome’ [per indicare chi sta servendo]. Io non dovrei dover guardare un segno, non dovrei dover guardare niente. Dovrei saper riconoscere. Il mio sport mi fa impazzire”. La sei volte campionessa del torneo londinese non risparmia critiche schiette, quasi ironiche, al dress code che ancora oggi propina il total white. Un tratto distintivo, espressione di tradizione per qualcuno, conservatore per qualcun altro. Prima che, a metà degli anni Novanta, la regola diventassi più stringente, qualche atto di ribellione era ancora ammesso. Poteva forse Billie Jean King non arricchire di colore i suoi kit? Ricami blu e rosa e motivi decorativi. Andando ancora oltre, non solo spera nell’abbandono del bianco, ma propone pure di scrivere i nomi dei giocatori sulla schiena, per identificarli nell’immediato, anche – e soprattutto – per questioni di marketing. Sarebbe un guadagno per tutti, secondo King.
Il coraggio di credere nelle proprie idee non le è mai mancato, anche nelle sfide più complesse. Ideali moderni di uguaglianza e giustizia sociale, che dal tennis si sono irradiati oltre. Perché lo sport può fare da propulsore. Niente più panem et circenses. A King si deve la parità salariale per i montepremi degli US Open, a partire dal 1973. Il suo impegno profuso per la causa femminile, dal tennis, si è ampliato anche ad altri sport, con ingenti finanziamenti nel mondo del basket, dell’hockey e del calcio. Perché nessuno deve rimanere indietro. “Ho aspettato tutta la vita di vedere persone credere nell’investimento nello sport femminile” dice con un’incontenibile commozione “Noi contiamo. Ed è fantastico”. Poi l’intervista assume tratti di realismo tangibile, quando King ricorda che comunque le giocatrici di ogni disciplina non devono mai perdere di vista il business che si cela, nemmeno velatamente, dietro il mondo dello sport. E il denaro è sempre la bussola. C’è spazio anche per una frecciatina: “Anche lo sport maschile perde soldi, ma la gente non parla mai degli uomini” riferendosi alla situazione della Premier League, prima serie del calcio inglese, il campionato dei record economici dove i soldi appaiono illimitati.
I temi affrontati sono molti, tutti di un certo spessore. L’attenzione si sposta sui rapporti sempre più forti tra la WTA e l’Arabia Saudita, Paese di poca tradizione sportiva e con grandi questioni morali e sociali ancora irrisolte. Al centro della conversazione finiscono i trattamenti riservati a donne e alla comunità LGBTQ+, che riguardano da vicino Billie Jean King, sposata dal 2018 con una donna. “So che le cose non cambiano senza impegno” sostiene. “Se lo fai, sei dannato, se non lo fai, sei dannato lo stesso. Ho la sensazione che a lungo termine aiuterà. Nel breve periodo, probabilmente non sembra così. Durante le WTA Finals c’erano alcune madri e ragazze di colore. Non sai mai come una persona possa influenzare la vita di un’altra. Io e Muhammad Ali ne parlavamo spesso. Se non ti impegni, le cose resteranno uguali”.
Il prossimo passo è una maggiore tutela delle donne transgender. “Non credo che la gente abbia la minima idea di quanto sia difficile per le persone trans. Basta ascoltare le loro storie”.
Coinvolgere, dunque. Allargare la mappa geografica del tennis nella speranza di poter cambiare situazioni difficili. E questo vale anche per la Cina, crede la ex campionessa, dove i tornei sono ripresi dopo la sospensione per la vicenda, mai chiarita realmente, di Peng Shuai.
L’Arabia Saudita, tra l’altro, tramite il Fondo PIF, finanzia il programma in supporto della maternità per le giocatrici del circuito e di tecniche di protezione della fertilità. “Avrei sicuramente congelato i miei ovuli, ma costa soldi” dice King, che non ha mai nascosto di essere ricorsa al diritto di aborto nel 1971. “Se fossi stata una giovane donna e avessi avuto i soldi, avrei fatto congelare i miei ovuli entro i 30 anni, sapendo quello che sappiamo oggi. Ma allora non sapevamo nulla di tutto questo”.
“Ognuno è unico. Fai in modo che si sentano inclusi perché davvero non sai. Con ogni persona che incontro, cerco di partire da zero. Faccio domande. Se non stessi facendo questa intervista con te, ti riempirei di domande”. La lungimiranza di Billie Jean King sta tutta qui.
