Federer, Dimitrov, Bouchard e ora Murray: allenatore nuovo, vita nuova?

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Federer, Dimitrov, Bouchard e ora Murray: allenatore nuovo, vita nuova?

Murray è solo l’ultimo in ordine di tempo a separarsi dal suo allenatore Bjorkman. Prima di lui Roger Federer, Grigor Dimitrov ed Eugenie Bouchard avevano fatto lo stesso. E non sono i soli, nel tennis è arrivata la sindrome calcistica del mangia allenatori?

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Dimitrov con Rasheed
 

È di stamattina il post su Facebook attraverso il quale Andy Murray comunica la separazione con Jonas Bjorkmann. Lo scozzese, recente vincitore della Coppa Davis, è solo l’ultimo tennista, in ordine di tempi, che ha deciso di interrompere la collaborazione col suo trainer. Se nel calcio i primi a pagare per i cattivi risultati è sempre l’allenatore, magari per colpa di dirigenti poco pazienti e superficiali sembra quindi che la tendenza si confermi anche nel tennis a causa degli stessi atleti. Questi ultimi non si fanno di certo delle remore a cambiare guida tecnica quando le loro performance sono poco soddisfacenti o quando, più semplicemente, qualcosa si incrina nel rapporto.

A volte però capita che siano gli stessi allenatori a staccare la spina. In questo finale di stagione si sono registrati un paio di casi eccellenti in questo senso. Naturalmente il più noto è quello di Roger Federer. Lo svizzero non si era affatto stufato di palleggiare con quel cinquantenne svedese che aveva appiccicato sui muri della sua cameretta da bambino. Infatti se la collaborazione si è conclusa la responsabilità è tutta da attribuire a Stefan Edberg, vittima della nostalgia della vita da pensionato. Federer è stato così costretto a scandagliare la rubrica del suo smartphone per trovarsi un nuovo allenatore e ha deciso che Ivan Ljubicic gli stava abbastanza simpatico ed era abbastanza competente per ricoprire il ruolo. Il croato peraltro era fresco di divorzio dalla sua prima esperienza di coaching con Milos Raonic. Una vicenda che ricorda quella del allenatore del Real Mardid e ex del Napoli, Rafael Benitez: non impressionare con un materiale di medio livello (a dire il vero Ivan è stato sfortunato quest’anno con Raonic che era sempre rotto) per poi essere ingaggiato per la panchina dei tuoi sogni. Chissà se entrambi lo sapevano da prima di essere i prescelti per i loro attuali incarichi. Il secondo, passato più sotto silenzio, è quello di Madison Keys. La giovane e promettente statunitense è stata abbandonata all’incirca per le stesse ragioni da un’altra ex n.1, Lindsey Davenport, che l’aveva condotta alla sua prima semifinale Slam a Melbourne. Nessun rancore comunque. La Keys si è dovuta rifugiare tra le braccia di Jesse Levine, il quale dopo una deludente carriera da pro ha deciso di passare già dall’altro lato della barricata.

Comunque, nella maggior parte delle situazioni sono i giocatori a licenziare in tronco i loro dipendenti quando le cose si mettevano male. Fate mente locale sui giocatori che in questa stagione sono andati peggio rispetto alle loro aspettative e indovinerete anche chi ha cambiato allenatore. Tipo Grigor Dimitrov che a luglio si è reso conto che la ricetta tutto fisico e corsa da dietro la linea di fondo del navigato australiano Roger Rasheed non era tagliata su misura per lui. Il bulgaro di recente si è accasato con l’argentino Franco Davin, dopo che quest’ultimo ha ottenuto il nulla osta dal suo pupillo perennemente infortunato: Juan Martin Del Potro. E tra le donne chi ha fatto fiasco in questo 2015? Su tutte sicuramente Eugenie Bouchard, passata in 365 giorni da n.5 a n.49 nel ranking WTA. La canadese aveva mollato a fine 2014 il suo storico allenatore Nick Saviano per passare a Sam Sumyk. Quest’ultimo a sua volta, fondamentalmente, aveva piantato in asso Victoria Azarenka per la Bouchard, considerandola una sfida stimolante e remunerativa. In realtà tra i due non è mai scattata la scintilla e in autunno Eugenie, in totale crisi di risultati e fiducia, ha chiesto il divorzio. La tennista del Quebec è tornata da Diego Ayala, con il quale aveva lavorato pro tempore tra Saviano e Sumyk, facendosi consigliare occasionalmente da niente popò di meno che Jimmy Connors. La vicenda stava pure prendendo una piega positiva finché una doccia troppo scivolosa negli spogliatoi di Flushing Meadows ha messo la Bouchard definitivamente ko.

Si sono verificati svariati altri casi di licenziamenti “per giusta causa” in questa stagione. Da pochi giorni il giovane croato Borna Coric ha interrotto la collaborazione con il vincitore degli Australian Open 2002 Thomas Johansson. Le premesse per un lungo e proficuo sodalizio c’erano tutte ma qualcosa è andato storto e Coric ha ingaggiato perciò al suo posto l’inglese Miles McLagan. Anche l’esuberante Nick Kyrgios ha detto “grazie e arrivederci” a Todd Larkham, augurandosi di trovare un buon samaritano che lo riesca a gestire. Al momento concretamente non si è fatto avanti nessuno. Un altro tennista vivace come Gael Monfils ha trascorso un 2015 movimentato con una breve partnership con Jan De Witt – pagato alla romana con il connazionale Gilles Simon – per poi approdare da Mikael Tillstrom, membro dell’accademia svedese “Good to Great”, quella che ha trasformato Wawrinka in “Stan the Man” per intenderci. Tra gli scontenti che per risollevarsi hanno pensato di cambiare allenatore troviamo pure tre veterani spagnoli: Fernando Verdasco, Tommy Robredo e Nico Almagro. La loro iniziativa quanto meno testimonia che ci credono ancora, a dispetto dell’età che ineluttabilmente avanza.

Invece l’oscar per l’esonero più apparentemente immotivato va a Garbine Muguruza. L’iberica poco dopo la prima clamorosa finale in un Major a Wimbledon, ha rotto senza troppi indugi il rapporto con Alejo Mancisidor, colui che l’aveva portata nell’élite del tennis. Ironia della sorte sembrava che su di lei si avventasse una maledizione stile Bouchard post-Saviano. Ma la Muguruza è fatta di un’altra pasta e ha presto ricominciato a collezionare vittorie: nella stagione asiatica dove ha trionfato a Pechino e, successivamente, nel Master di Singapore, raggiungendo la semifinale. Francamente misterioso anche perché Simona Halep abbia lasciato alla fine del 2014 il belga Wim Fissette – oggi sulla panchina di Vika Azarenka per un intreccio di coach che pare una puntata di Beautiful. D’altronde pare che la rumena sia una tipa volubile, un po’ come il presidente del Palermo Maurizio Zamparini, celebre nel calcio italiano per essere un mangia-allenatori. Halep ha tentennato per alcuni mesi prima di scegliere come successore il guru Darren Cahill, in passato seduto in box prestigiosi come quelli di André Agassi e Lleyton Hewitt

Ma insomma quanto conta cambiare allenatore? Come ci hanno dimostrato i casi precedenti a volte sì e altre meno. Ma la vera domanda è: quanto conta in generale un allenatore nel tennis? In che misura i risultati di un tennista sono condizionati dal suo coach? La risposta è complicatissima. Dipende da una enorme molteplicità di fattori. Ma forse ciò che fa la differenza è spesso proprio l’affinità con il giocatore. Personalità, aspettative e metodi di lavoro si devono incontrare perfettamente altrimenti si instaura un clima negativo, in cui manca un punto di riferimento. Manca una persona alla quale rivolgere lo sguardo quando si è sotto nel punteggio per tranquillizzarsi. Manca una persona ti motivi durante le lunghissime ed estenuanti sessioni di allenamento. Manca una persona che capisca gli aspetti dove tu puoi migliorare. Manca una persona con la quale tu ti senta a tuo agio nel confrontarti e nel discutere apertamente. Certo sul mercato esistono coach più o meno bravi in termini assoluti. Ma a volte anche gli allenatori più preparati non riescono a conquistare il cuore e la mente dei loro assistiti e datori di lavoro. Oppure ci riescono ma il feeling si spezza, più o meno gradualmente. E allora in queste situazioni cambiare rappresenta di gran lunga l’opzione migliore.

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