I grandi articoli del passato. Nadal e Djokovic a confronto

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I grandi articoli del passato. Nadal e Djokovic a confronto

Per festeggiare l’anno che finisce abbiamo chiesto ad alcuni collaboratori vecchi e nuovi una strenna natalizia: l’articolo a cui sono più affezionati. Oggi vi riproponiamo una vecchia analisi tecnico-tattica di Luca Baldissera sulla rivalità fra Novak Djokovic e Rafael Nadal

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Rafael Nadal e Novak Djokovic messi a confronto colpo su colpo come nessuno ha mai fatto prima. Geometrie, spazi e traiettorie: vi spieghiamo chi è più forte e perché

Qui l’articolo originale

La stagione tennistica appena conclusa ha evidenziato come la rivalità tra Rafael Nadal e Novak Djokovic sia da considerare la più rappresentativa del gioco moderno, e a meno di prestazioni al massimo livello, non per poche partite, dei rivali che li seguono in classifica (i quali sono distaccati di oltre il doppio dei punti ATP rispetto ai primi due, evidentemente ci sarà un motivo), è ragionevole supporre che il 2014 continuerà a vedere questi due grandi campioni arrivare spesso in fondo negli appuntamenti che contano. Che un solidissimo tennis di pressione da fondocampo, piaccia o meno, sia attualmente la strada praticamente obbligata per essere competitivi è un fatto. Questo tipo di impostazione tattico-strategica è figlia dell’evoluzione dei materiali (soprattutto le corde), della tecnica e della biomeccanica applicata al tennis (impugnature e stances), e della crescente importanza e qualità della preparazione fisica e atletica. A questo va aggiunta una tendenza globale all’omologazione delle superfici decisamente orientata verso le soluzioni medio-lente, in particolare sul duro dove si gioca la maggior parte del circuito. Si capirà quindi facilmente come ormai, davanti a super-atleti che armati di monofilamenti ultra-performanti sparano topponi a 135-140 kmh impugnando western, salgono sopra la palla in stance semifrontale da qualsiasi angolo del campo, corrono come lepri arrivando ai recuperi in scivolata anche fuori dalla terra rossa, il tutto per 4-5 ore sopra cementi e sintetici lenti e abrasivi, non solo fare serve and volley ma anche semplicemente provare variazioni e attacchi con continuità diventa improponibile.

Come detto, il confronto Nadal-Djokovic è ora come ora la massima espressione (in termini di performance, non parlo di estetica o varietà) del gioco moderno, confronto definitivamente affermatosi come paradigma nella finale da record degli Australian Open 2012, quasi sei ore di terrificanti botte da fondocampo sorrette e consentite da resistenza ed esplosività atletiche mai viste prima.
Analizziamo dal punto di vista tecnico, tattico, strategico e storico questo confronto, che oltre a continuare a essere probabilmente decisivo nella stagione che va a iniziare, è caratterizzato da grande equilibrio. Gli head-to-head sono piuttosto vicini (22-17 Nadal in 39 sfide, un’enormità), e la sensazione assistendo a una delle loro partite è quasi sempre che il prevalere dell’uno o dell’altro sia legato a fattori assai marginali: sottigliezze tecniche, approccio mentale, stato di forma del momento, addirittura semplice fortuna nei punti decisivi.

Ma proviamo ad andare più in dettaglio. Ipotizzando entrambi i giocatori vicini al loro 100%, abbiamo due “belve da tennis” praticamente perfette: fondamentali solidissimi su una base atletica formidabile, enorme capacità di concentrazione e forza mentale, resistenza alla distanza, reattività e potenza muscolari, elasticità articolare, magnifico footwork e quindi completa copertura del campo, schemi tattici consolidati ed efficaci. L’unico colpo con il quale nessuno dei due è devastante è il servizio, ma sono entrambi migliorati moltissimo negli anni, e pur non facendo caterve di punti diretti o ace sono capaci di piazzare la botta vincente soprattutto quando è necessario, caratteristica che hanno in pochi.
In ogni caso, il campo di battaglia comune, il terreno su cui “se la giocano”, e l’ambito nel quale si decidono le sorti della sfida, è il confronto nello scambio in pressione da fondocampo. In questa specie di partita a scacchi, giocata a mille all’ora, quali sono le mosse possibili per influenzarne l’esito?

Qui, la geometria e la biomeccanica possono venirci in aiuto per entrare nei meccanismi che determinano l’evoluzione della baseline-war tra due autentici mostri in questo tipo di gioco.
Sarà però prima necessario approfondire un discorso più generale, riguardante le basi e i fondamenti della tattica e della strategia nelle fasi di palleggio, che poi applicheremo a Rafa e Nole.
Prima premessa: Nel tennis moderno, lo scambio da fondocampo viene deciso dalla capacità di generare pressione sulle diagonali maggiori: quella di dritto (principalmente!) e quella di rovescio. Il motivo, banalmente, è che in diagonale un giocatore ha più spazio per i suoi colpi (il campo è più lungo, e la rete è più bassa): quindi, in uno sport fatto di continuità e percentuali, la maggior parte del palleggio in spinta sarà sempre indirizzato sulle diagonali. Il lungolinea è esponenzialmente più difficile da eseguire, non solo a causa dei minori metri di spazio per la palla e per la rete più alta, ma soprattutto perchè l’uscita in lungolinea dallo scambio diagonale dovrà essere necessariamente anche un colpo molto potente e profondo, quindi doppiamente rischioso. Non ci si può permettere una soluzione interlocutoria, in sicurezza, quando si tira in lungolinea, perchè se l’avversario dovesse arrivarci in relativa tranquillità gli avremo aperto uno spazio di campo enorme per affondare in diagonale dall’altra parte, esecuzione come visto più facile e meno rischiosa proprio in termini geometrici. Oltre a questo, per ragioni di timing e memoria motoria, la cosa più difficile del tennis è proprio uscire in lungolinea da uno scambio diagonale: restituire all’avversario la palla nella stessa direzione da cui ci è arrivata (diagonale su diagonale in arrivo) non comporta variazioni di ritmo, di postura delle spalle e dei piedi, di trasferimento del peso, e di tempismo nell’esecuzione; al contrario, variare la direzione (lungolinea su diagonale in arrivo) comporta difficoltà notevoli, in particolare costringe a ruotare il compasso di spalle, anca e piedi in modo maggiore, questo per consentire un impatto contemporaneamente sia avanzato (per trasferire correttamente il peso) sia leggermente ritardato rispetto alla palla precedente (per aprire la traiettoria verso il lungolinea). La variazione complementare (diagonale su lungolinea in arrivo) è estremamente più semplice, perchè basta anticipare nella giusta misura velocizzando il movimento a colpire, e poi come spiegato si va a tirare in una direzione in cui c’è più spazio, e senza l’obbligo assoluto di produrre un vincente perchè non si apre il campo all’avversario.

Riassumendo: Chi riesce a prevalere sulle diagonali, pressando e facendo perdere terreno all’avversario, lo costringerà a tentare lungolinea molto difficili e rischiosi, e tirati al limite, perchè se non sono vincenti o quasi ci potrà arrivare sparando un più semplice diagonale dall’altra parte e sbattendolo fuori dal campo in modo definitivo. Chi subisce negli scambi sulle diagonali è insomma destinato a perdere, perchè o rimane lì in affanno crescente fino a dare una palla corta e comoda che a certi livelli ti chiudono in faccia nove volte su dieci, o dovrà avventurarsi a giocare lungolinea a tutto braccio difficilissimi e senza margine.

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