Il dilemma Nishikori: diventerà cigno o resterà brutto anatroccolo?

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Il dilemma Nishikori: diventerà cigno o resterà brutto anatroccolo?

Il giapponese Kei Nishikori è protagonista di un ottimo avvio di stagione, eppure cade ogni volta che incontra i più forti. Ma il potenziale per batterli non manca

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In stagione contiamo 23 incontri vinti e 7 persi, un torneo conquistato (il cortile di casa, Memphis), altre due finali disputate a Miami e Barcellona, gli ultimi tornei disputati. Kei Nishikori sta attraversando un grande momento di forma, mostrando progressi nel gioco e nella personalità. Ma si trova a un bivio importante della sua carriera: restare brutto anatroccolo, seppure con un Paese e un intero continente ai suoi piedi, o trasformarsi in cigno planetario?

Siamo sinceri: pochi giocatori hanno la velocità di esecuzione del nipponico, inteso come coordinazione occhio-braccio; Kei esplode colpi potenti e precisi, con entrambi i fondamentali a rimbalzo, producendosi in accelerazioni notevoli grazie al suo innato senso dell’anticipo. In piccolo, tecnicamente ricorda Agassi e non è un’eresia affermarlo.
Non sempre però, Nishikori riesce a sfruttare il suo gran potenziale al cento percento, mostrando lacune evidenti che i primi anni di professionismo (ormai sono quasi dieci sulle spalle) non hanno ancora colmato: il servizio non è all’altezza degli altri top player, specie con la seconda; il fisico paga la lunga distanza e la continuità di gioco, causandogli soventi infortuni, soprattutto a livello muscolare; nei punti decisivi, in particolare quando si tratta di salvare palle break o concretizzare le occasioni sul servizio avversari, si nota una mancanza di killer instinct.

Certo, scriviamo di un giocatore numero sei al mondo, che da quasi due anni è stabilmente in Top Ten e si è innalzato sino alla quarta posizione del ranking, che ha già disputato una finale Slam e due Masters 1000, che ha vinto 11 tornei ATP.
Eppure. Già, c’è un eppure. La sensazione che Nishikori lascia negli appassionati e negli addetti ai lavori è di “vorrei ma non posso”, o perlomeno “non ancora”. C’è un surplus di potenziale che il giapponese non è ancora riuscito a sfruttare appieno, un valore sommerso che potrebbe consentirgli il salto di qualità, per mettere il bastone fra le ruote ai primi cinque del mondo, i celebri Fab Four più Wawrinka.

Quando si pensa al prossimo vincitore Slam, prima ancora dei più giovani Kyrgios, Zverev, Fritz e Thiem, il nome che salta alla mente è il suo. Kei Nishikori. Lo avevano sperato in tanti a New York 2014, ed evidentemente Marin Cilic non era della stessa idea, così come il suo servizio e il suo dritto. Ma l’allievo di Michael Chang ha tutti i numeri per riuscire nell’impresa, la sensazione è che abbia soltanto bisogno di una scossa. Ogni volta che ci si avvicina, Kei tituba un istante di troppo, quello fatale.

La storia del tennis è ricca di giocatori mai concretizzatisi appieno, prospetti di campione rimasti tali. In questo caso però non parliamo di un carattere troppo fragile né bizzoso. Proprio Chang sta lavorando su questi aspetti del ragazzo, cercando di potenziare la “tigna”, quella che per gli spagnoli è la “garra”, così come la concentrazione nei momenti cruciali. Al giapponese non fa difetto il coraggio, bensì la formula giusta per credere nelle proprie armi quando è più necessario. Nishikori spesso fa il suo, battendo giocatori alla portata, arrivando soltanto vicino a piegare i top players.

Giusto per dare qualche numero, prendiamo in considerazione gli head to head con gli attuali Top Five: con Djokovic è 2 vinte-7 perse, con Murray 1-6, con Federer 2-4, con Wawrinka 1-3, con Nadal 1-9. A conferma del nostro teorema, questi invece gli incroci con gli altri stabili Top Ten di questi anni: con Tsonga 5 vinte-2 perse, con Ferrer 8-4, con Berdych 4-1, con Raonic 5-2, con Gasquet 0-6 (unica eccezione ma con quattro sfide datate prima del 2014).

Il brutto anatroccolo deve decidere se diventare cigno, ma deve farlo in fretta, perché il tempo scorre veloce e chi come lui è nato alla fine degli anni Ottanta, si trova in uno scomodo sandwich: da una parte i vecchi campioni mal disposti a mollare, dall’altra i giovani rampanti che spingono. Deve affrettarsi a trasformarsi in vincente, pena la condanna a una onesta (si fa per dire, eh) carriera da Berdych.

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