E se oggi fosse quello femminile il circuito più bello?

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E se oggi fosse quello femminile il circuito più bello?

Le Finals di Singapore sono state piene di pathos, sempre meno presente nel circuito maschile. Il sorpasso del tennis in gonnella è avvenuto?

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Il 2016 tennistico non è finito, con diversi trofei da assegnare e molti verdetti – il numero uno ATP su tutti – ancora non definiti. Ciò nonostante, le recenti WTA Finals di Singapore hanno già saputo dare un’ottima risposta sullo stato di salute attuale del tennis in gonnella. Sì perché, a dispetto dell’assenza di Serena Williams – sulle cui reali ambizioni e possibilità di vittoria in uno Slam per il 2017 rimangono molti dubbi – il Master appena finito ha emozionato come pochi tornei quest’anno sono stati in grado di fare. A cominciare dall’incontro tra Kerber e Cibulkova (il primo), passando per i due della seconda giornata tra Muguruza e Pliskova e tra Kuznetsova e Radwanska, oltre a quello di due giorni dopo tra Sveta e la giocatrice ceca e tra la futura vincitrice del torneo e la stessa tennista russa. Match point salvati, recuperi clamorosi dopo essere stati un set e due break sotto, tiebreak decisivi, scambi ad altissima intensità e tensione emotiva. Questo e molto altro ha caratterizzato gli 8 giorni di tennis a Singapore, che è stato teatro della migliore edizione del WTA Tour Championships degli ultimi anni. Questo è stato possibile anche se in campo non c’era Serenona, senza considerare lo stop forzato di Maria Sharapova e Victoria Azarenka, dopo la statunitense probabilmente le due giocatrici più influenti dell’ultimo lustro.

Il 2016 è stato anche l’anno del revival della battaglia dei sessi, con il signor Ray Moore che ha inopinatamente dato il via a questo valzer. Alle infelici asserzioni dell’ex direttore del torneo di Indian Wells hanno fatto seguito diverse dichiarazioni sia di professionisti del circuito ATP che di quelle della WTA. Senza voler fare un paragone che pare improponibile e tralasciando i discorsi fatti in più occasioni da diversi addetti ai lavori, ciò che salta all’occhio di almeno una parte degli appassionati è che in questo momento è proprio il tennis femminile a creare maggiore suspence, tenendo i telespettatori incollati davanti alla televisione – o, di questi tempi, al computer – visto che le partite non sono mai realmente finite nemmeno sul 6-0 4-0 (anzi, tra le donne spesso chi vince il primo con un bagel finisce per perdere la partita). Il recente calvario di Roger Federer, i problemi di Nadal e Djokovic (con gossip indiano annesso) non hanno certamente aiutato il circuito maschile, che prima aveva vissuto un decennio quasi senza precedenti, soprattutto in termini di audience mondiali, avvicinando al tennis milioni di persone. Eppure adesso le cose non sembrano andare più per il verso giusto, nonostante il rientro di del Potro, la voglia di riscatto di Federer e Nadal e i miglioramenti costanti dei più giovani lascino ben sperare per l’anno prossimo. Nonostante Andy Murray sia al top della carriera sia sotto il profilo fisico che sotto quello del gioco, nei grandi tornei spesso mancano partite in grado di affascinare gli spettatori, che molte volte decidono di cambiare canale dopo nemmeno 20 minuti di partita.

Questo, in realtà, accade ancora di più per il tennis in rosa, ma le ragioni sembrano essere diverse. Al netto di una nicchia di aficionados che seguono in maniera assidua il circuito femminile ed altri che a loro volta stanno imparando a seguire la strada tracciata dai primi, molti rimangono ancora indifferenti allo spettacolo e all’ heartbreaking che solo la WTA sa regalare. A questo, almeno negli ultimi 12 mesi, ha contribuito molto la grande incertezza che regna nel circuito capeggiato da Steve Simon, visti i già citati problemi di grandi campionesse come Serena, Sharapova e Azarenka. In senso assoluto, forse – a parità di condizioni – una grande partita di tennis maschile avrà quasi sempre, anche se non necessariamente, un appeal, un tasso tecnico ed un’intensità superiori ad un match spettacolare giocato tra due donne. L’errore che molti sembrano commettere è, però, proprio quello di paragonare i due movimenti, che invece sono differenti quasi in tutto, eccezion fatta per le regole di gioco e gli attrezzi utilizzati. A ben vedere, ciò con cui si può essere d’accordo con i detrattori del tennis in gonnella è l’attuale assenza di giocatrici dotate di una forte personalità, in grado di coinvolgere con continuità il pubblico e di avvicinare sempre più persone al movimento. In questo senso sarà importante vedere in che direzione andranno nei prossimi anni le carriere di giovani campionesse come Keys e Muguruza.

Tuttavia, il problema attuale – almeno in parte – sembra essere diverso: considerando l’incertezza, il pathos, la qualità di gioco e le pulsazioni cardiache che quest’anno il Master di Singapore ha portato in dote, emerge sempre di più come tutto ciò manchi nel circuito ATP per lo meno da 12-15 mesi a questa parte (nonostante ci siano eccezioni come la cavalcata olimpica di del Potro, il match tra Federer e Cilic a Wimbledon, la sfida interminabile in Coppa Davis tra lo stesso Palito e Murray, la splendida partita del Foro Italico tra Djokovic e Nadal). A questo punto una domanda sorge spontanea: perché il tennis maschile, al di là di alcune critiche, continua ad essere apprezzato maggiormente di “quell’altro”? Si tratta di una questione tecnica o di una culturale? Il futuro – ma forse già il presente – darà la risposta.

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