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Al femminile

Belinda Bencic, tre anni dopo

Una delle maggiori promesse del tennis degli ultimi anni è finalmente tornata ai vertici a Dubai. E lo ha fatto con una vittoria da record

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Belinda Bencic - WTA Dubai 2019
 

C’è un tema ulteriore da considerare nella vicenda Bencic. Per lei i guai fisici sono arrivati in una fase cruciale della carriera; un fase che è comunque difficile da affrontare anche quando si è perfettamente sane, figuriamoci in caso di infortuni. Mi riferisco a quel momento di passaggio tra i primissimi anni di attività nel circuito e quelli del consolidamento in WTA: il passaggio tra la scoperta della vita nel Tour, quando è tutto nuovo, spesso entusiasmante (se, come nel caso di Belinda, si riesce a vincere) e quello della consapevolezza della professione; vale a dire una attività fatta anche di routine, di capacità di allenarsi con impegno costante, di sopportazione dei lunghi viaggi e della lontananza da casa.

Nella prima fase, da giovani ex-junior poco conosciute, si ha ben poco da perdere: se i risultati vengono, bene; altrimenti sarà per il torneo successivo, perché da esordienti nessuno pretende che si debbano vincere match. Per questo ci si può permettere di scendere in campo leggere e giocare senza paura, quasi con sfrontatezza, in una condizione psicologica irripetibile che non si potrà più attraversare. Tutte le grandi giocatrici ricordano questo periodo, e la raccontano sostanzialmente allo stesso modo. (Ecco per esempio la versione di Agnieszka Radwanska, pubblicata QUI).

Ma questo è un momento di carriera limitato, inevitabilmente destinato a finire. Pensiamo a Bencic: è molto più difficile scendere in campo una volta che si è salite al numero 7 del mondo, e si comincia a sperimentare lo stress dei punti in scadenza, della partite da vincere per forza perché l’avversaria è considerata inferiore, della responsabilità di mantenere un team di persone che sono legate a te e ai tuoi risultati. Allora tutto cambia.
Ho provato ad approfondire la questione qualche tempo fa, definendola come la “Sindrome del Sophomore”, cioè di chi ha già vissuto la stagione dell’esordio e deve dimostrare di essere all’altezza delle promesse.

È attualissimo il caso di due coetanee di Belinda, come Ostapenko e Kasatkina. A conferma di quanto fosse speciale quella generazione 1997, di quelle cinque giocatrici, oggi quattro sono fra le prime 25 del mondo: Osaka numero 1, Kasatkina 14, Ostapenko 22, Bencic 23. Solo Ana Konjuh manca all’appello, a causa di problemi fisici forse ancora più complessi di quelli affrontati da Bencic.

Però basta poco per perdere lo slancio verso la crescita, e doversi misurare con lo spettro di una possibile crisi. Non convince in questo periodo il rendimento di Jelena Ostapenko, alla prese con problemi che fuori campo si evidenziano nei continui cambi di allenatore, e in campo nella difficoltà a risolvere le incertezze tecniche al servizio; il tutto si traduce in appena tre vittorie stagionali nel 2019.

Ma oggi sta attraversando una periodo forse ancora più difficile Daria Kasatkina, che non sembra avere più la fiamma della passione dentro di sé: affronta i match spenta, poco disposta a lottare su ogni punto; un aspetto imprescindibile per il suo tipo di tennis. E i risultati lo testimoniano; dall’inizio dell’anno, Daria ha vinto solo due match: contro la numero 669 Barbat in Fed Cup, e contro la numero 178 Frech a Doha. Per il resto solo sconfitte. Anche lei ha deciso, scelta frequentissima in queste situazioni, il divorzio dall’allenatore Philippe Dehaes; e questo malgrado alcuni memorabili on court coaching dello scorso anno avessero fatto pensare che fra loro l’intesa fosse perfetta.

a pagina 4: L’ultima Bencic

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