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Roland Garros: largo alle giovani

Ashleigh Barty, Marketa Vondrousova, Amanda Anisimova: lo Slam francese ha avuto come dato costante la prevalenza delle tenniste di giovane generazione

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Marketa Vondrousova e Ashleigh Barty - Roland Garros 2019 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

Marketa si è fatta strada nella parte di tabellone presidiata da Kerber, Sevastova, Suarez Navarro e Mertens, sconfiggendo in prima persona Suarez e Sevastova. In particolare contro Sevastova ha sfoderato una prestazione notevole (6-2, 6-0), in un match caratterizzato da scambi tatticamente complessi, da cui ha saputo emergere quasi sempre vincitrice. E sappiamo che non è per nulla semplice “incartare” una giocatrice completa e sagace come Sevastova.

Una volta approdata ai quarti, Vondrousova è riuscita a superare due tenniste che apparivano ostacoli quasi insormontabili (anche per via dei precedenti negativi) come Petra Martic e Johanna Konta. In entrambi i match è stata in grado di sfruttare al meglio il fatto di partire da outsider; e dopo aver salvato setpoint nel parziale di apertura sia a Petra che a Johanna, ha messo ulteriore pressione alle sue avversarie, che alla lunga hanno finito per sbagliare nei momenti decisivi del secondo set.

Ma sarebbe ingiusto spiegare questi match puntando solo sugli aspetti psicologici. Contro Petra Martic tra la fine del primo set e la metà del secondo, Marketa ha offerto un tennis vario e brillante, molto vicino alla perfezione, vincendo sette game consecutivi da incorniciare per qualità (7-6 7-5).

Mentre nella semifinale contro Johanna Konta ha dovuto fronteggiare una avversaria ben più potente di lei in condizioni di gioco estreme: il vento e la pioggia avevano reso il campo pesantissimo, e in tale situazione la palla diventa difficilissima da spingere. Ricordo che nel Roland Garros 2016 al termine di due settimane costantemente umide e piovose, erano approdate in semifinale solo tenniste molto forti fisicamente: Serena, Muguruza, Bertens e Stosur.
In un clima del genere e contro una giocatrice ben più attrezzata muscolarmente come Konta, a Marketa non è rimasto altro che fare di necessità virtù, lavorando al meglio in difesa e, quando possibile, pungendo grazie alla smorzata, il modo più logico di ottenere vincenti in quelle condizioni. L’obiettivo era quello di mandare fuori giri Johanna, cosa accaduta nel finale di entrambi i set (7-5 7-6).

Dico spesso che è difficile affermarsi nel circuito professionistico attuale se non si dispone almeno di un colpo-killer, e in fondo per Vondrousova il colpo-killer è proprio la smorzata. Per esempio grazie al contributo decisivo di 14 drop-shot vincenti ha sconfitto Simona Halep a Roma, ribadendo così il successo già ottenuto qualche settimana prima a Indian Wells, sempre contro Halep. Il drop-shot è però un colpo molto particolare, che va preparato tatticamente, attraverso uno scambio costruito con cura; ed è un’arma a doppio taglio: per essere efficace richiede grande sensibilità esecutiva, altrimenti diventa un suicidio.

Lucidità nella costruzione dello scambio e grande sensibilità esecutiva: due condizioni che Vondrousova non è riuscita a replicare in finale contro Ashleigh Barty (6-1 6-3). Purtroppo la finale del Roland Garros 2019 è stata quasi una “non-partita”, vista la disparità di rendimento delle giocatrici. Una finale deludente non solo per la qualità di gioco, ma forse ancora di più perché non si è mai costruito un vero legame tra le protagoniste e gli spettatori, che assistevano distaccati agli scarni eventi del campo.

A un certo punto il pubblico è sembrato appoggiare Vondrousova, non tanto perché l’avesse eletta a beniamina, quanto nella speranza di assistere a un vero confronto, più equilibrato. Ma, nella difficoltà, Marketa si era ormai rifugiata in se stessa, in una introversione che le ha impedito di mettersi in comunicazione con gli spettatori: e in questo atteggiamento è emersa tutta la sua inesperienza. Insomma: dinamiche psicologiche lontanissime dall’idea di partecipazione e autentico coinvolgimento. Anche sotto questo aspetto siamo stati anni-luce distanti dalla finale di Melbourne 2019 tra Osaka e Kvitova.

In sostanza nella partita di sabato Barty è apparsa inequivocabilmente più forte, e giustamente si è limitata a gestire la situazione, spingendo quando era necessario e raccogliendo punti anche grazie all’alto numero di gratuiti di una avversaria in giornata-no.

Durante il primo set, Vondrousova è sembrata quasi sperduta nella vastità dello Chatrier. Certo non l’hanno aiutata le scelte degli organizzatori che, alle prese con le mille traversie dei giorni precedenti, l’hanno portata ad affrontare la prima finale Slam della carriera in uno stadio mai sperimentato prima (Barty aveva giocato sul Centrale contro Sofia Kenin). Si può discutere con punti di vista differenti sulle logiche di programmazione adottate nella seconda settimana; resta il fatto che facendo esordire Vondrousova sullo Chatrier solo in occasione della finale, gli organizzatori le hanno aggiunto un ulteriore peso a una situazione per sua natura non semplice. E lo spettacolo ne ha risentito.

Dopo il successo di Biel 2017 e prima del Roland Garros, nel 2019 Vondrousova aveva disputato due finali (Budapest e Istanbul, come detto), perdendole entrambe. Se a queste aggiungiamo quella di Parigi siamo a una dato stagionale di zero su tre, che potrebbe essere il segno della difficoltà nell’affrontare il match più importante del torneo.

Per chi basa il proprio tennis sulla fluidità e sulla grande sensibilità esecutiva (indispensabile per i drop-shot) la tensione è una nemica terribile, che può penalizzare in modo particolare. Ora c’è da sperare che Marketa sappia metabolizzare nel modo giusto il torneo, lasciandosi alle spalle la delusione della finale e ripartendo da tutto quanto di buono mostrato nei turni precedenti. A 20 anni ancora da compiere, la strada per il vertice non è ancora completata e sono necessari ulteriori progressi per poter fronteggiare alla pari certi tipi di avversarie. Non sarà facile, ma il tempo è dalla sua.

a pagina 4: Ashleigh Barty

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