Le moltitudini di Daniil Medvedev, il tennista che accende e spegne la luce

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Le moltitudini di Daniil Medvedev, il tennista che accende e spegne la luce

Perché il finalista delle Finals 2020 è a suo modo speciale. “Ricordo bene la prima volta che ho giocato con Thiem. Avevo 15 anni, mi distrusse 2-0 e poi mi disse ‘forse avrai un grande futuro, ma hai bisogno di rimanere calmo’”

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Daniil Medvedev alle ATP Finals 2020, Londra (foto Twitter @atptour)
 

Fino al 5-4 (del secondo set, con Nadal a servire per il match, ndr) sentivo di star facendo buone cose ma non abbastanza bene, e non sentivo dentro di me la connessione tra i colpi, che ho iniziato a sentire dopo avergli tolto il servizio. Però alla fine non posso dire di quel game ‘è quando ho iniziato a sentire tutto’. No, in fondo è stato solo un game“. Raccontare Daniil Medvedev non è facile, ma il passaggio iniziale delle conferenza stampa successiva alla sua prima vittoria contro Nadal ci viene in soccorso. Come diceva Walt Whitman, il russo sembra contraddirsi perché ‘è vasto e contiene moltitudini’. Si ha la sensazione, a volte più di una sensazione, che nella sua mente coesistano impulsi autodistruttivi e una clamorosa attitudine alla vittoria.

Fino all’estate del 2019 i primi avevano avuto quasi sempre il sopravvenuto sulla seconda. Poi è successo qualcosa. Ha contribuito l’approdo nel suo box dell’uomo dell’1%, Fabrice Sbarro, il data analyst che gli ha spiegato come trasformare i numeri in un prezioso alleato sul campo. C’è anche tantissimo lavoro dell’allenatore Gilles Cervara, uno a cui l’appellativo di perfezionista sta perfino stretto, che con l’aiuto della tecnologia ha vivisezionato il suo servizio fino a ridurne al minimo i punti deboli. Come detto, però, Medvedev aveva già dentro di sé tutto quello che serviva per battere i migliori. Ha dovuto soltanto portare tutto oltre l’ostacolo costituito dalla sua stessa mente, capace di imporgli un passato piuttosto fumantino fatto di squalifiche e monetine tirate agli arbitri in segno di scherno.

Qualcuno dovrebbe davvero studiare come funziona la testa di quel ragazzo“, ha scritto nel mezzo di una chiacchiera di redazione il nostro Lorenzo Colle, che si è occupato di raccontare – ottimamente, mi permetto di dire – la vittoria di Medvedev su Nadal. Non me ne voglia se espongo pubblicamente la sua riflessione, perché ci è utile per arrivare al punto. Non è ben chiaro cosa accenda e spenga la testa di Medvedev, se esiste un innesco (la paura della sconfitta?) identificabile, ma è chiaro che questo succede. Anche all’interno di una stessa partita. Perché il russo ha davvero rischiato di perdere due set che doveva vincere, per qualità di gioco e superiorità espressa, e alla fine ha vinto soltanto il secondo perché sul 5-4 – come ha raccontato lui stesso – ha cominciato a sentire ‘the link between the shots‘.

A quel punto sono entrato in partita, ho cominciato a capire di dover andare più spesso verso il suo rovescio, perché stava giocando solo slice lenti e credo avesse colpito soltanto due vincenti da quel lato. Quando per mescolare le carte ho giocato anche sul suo dritto, beh, ho iniziato a sentire di più il legame del mio gioco; il tie-break e il terzo set sono stati molto buoni“. Il clic, dicevamo. Daniil però non riesce a sintetizzare la sua rimonta in una sola qualità decisiva. “Difficile sceglierne una, per battere Rafa ti serve tutto. Buon rovescio, buon dritto, mentalmente devi essere super-forte perché lui è lì, in tutti i punti. Nell’ultimo la palla (un dritto di Nadal, ndr) ha toccato il nastro e nella mia mente ho pensato ‘se la palla passa dovremo giocare ancora, ancora e ancora. Rischia di diventare come lo scorso anno, quando ho sciupato match point’. Le partite con Rafa sono così. Sono davvero contento che non sia passata, per questo stavo sorridendo“.

Chi scrive ha avuto il piacere di conoscere Medvedev in un contesto assai favorevole per un giornalista, quello informale della Diriyah Tennis Cup dello scorso dicembre, e mi sono accorto subito che avesse una vivacità diversa. A differenza di molti suoi colleghi, quando deve rispondere si sofferma con attenzione sulla domanda e solo successivamente elabora la sua risposta. Oltre che dimostrare rispetto per chi lo sta intervistando, è un sintomo di grande intelligenza. Ricordo che mi ha corretto un’imprecisione nel punteggio del set finale di una partita giocata contro Goffin qualche mese prima, che avevo citato in una domanda. Non esattamente il tipo di informazione che tutti i tennisti sono soliti mandare a memoria. Credo, e spero di non dimostrare presunzione esprimendo questo pensiero del tutto soggettivo, che le montagne russe di certi suoi match siano attribuibili a una personalità parecchio sfaccettata che in campo può essere uno svantaggio. Quando si deve restare concentrati su un unico obiettivo, ossia tenere la palla in campo una volta in più dell’avversario, essere monolaterali può essere un vantaggio.

Sia come sia, la certezza è che Medvedev ricorda con un certo grado di dettaglio persino la prima volta che ha incrociato Thiem sul campo e lo ha raccontato in conferenza. Era il settembre 2011 e si giocava il ‘Perin Memorial’ sulla terra di Umago; il russo aveva 15 anni, l’austriaco 18 e stava per concludere la sua carriera da junior. “Era un torneo under 18“, racconta Daniil. “Lui aveva giocato da poco la finale del Roland Garros e venne a giocare quel torneo, sorprendendo un po’ tutti. Io avevo bisogno di punti ed ero l’ultimo ad essere entrato; tra gli junior lui era già una superstar, e dicevo ai miei amici che sarebbe stato bello avere un lucky loser o una wild card al primo turno per provare a vincere e quindi affrontare Dominic. Giocai contro il nipote di Cilic al primo turno (Mile Cilic, in realtà è suo fratello minore, ndr), vinsi e quindi giocai contro Dominic. Mi distrusse 2-0 (6-2 6-0 per la precisione, ndr): se non ricordo male, fece anche punto con un tweener“.

In campo ero un po’ pazzo, dieci volte peggio di adesso!” continua Medvedev. “Lui me lo disse a fine partita: ‘forse avrai un grande futuro, ma hai bisogno di rimanere un po’ più calmo‘. Non so se lo ricorda, ma è divertente ricordarlo adesso che stiamo per affrontarci in finale“.

Proprio nell’ultimo confronto diretto con Thiem, la semifinale persa allo US Open, è emerso il lato intemperante che Medvedev cerca di tenere sott’acqua per vincere partite e trofei. Stizzito perché il giudice di sedia Dumusois non gli aveva concesso un challenge chiamato con un pizzico di ritardo, Daniil aveva superato la rete per controllare il segno del servizio contestato. Il regolamento lo proibisce e l’arbitro si era visto costretto a comminargli un warning; la reazione del russo, del tutto sproporzionata ma anche divertente, si era manifestata in un dialogo surreale con il supervisor. “Cosa ho fatto per meritare il warning?“, alla cui ovvia risposta aveva replicato, sottovoce e con tono marcatamente sarcastico: ‘Ah, scusate… credo di aver ucciso qualcuno, giusto? Le mie scuse più sincere, è stato davvero brutto attraversare la rete‘.

Insomma, Daniil Medvedev è questo. La più classica delle riproposizioni in salsa tennistica di Dr. Jekyll e Mr. Hyde, un tennista capace di logorare qualsiasi avversario ma anche di complicarsi la vita da solo. A dispetto di un tennis che non stuzzica i palati più fini tra gli appassionati, porta sul campo le sue moltitudini. E a volte vince, nonostante questo.

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