Naomi Osaka e la storia di due passaporti

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Naomi Osaka e la storia di due passaporti

La campionessa deve abbandonare la cittadinanza americana, così vuole la legge giapponese. Cosa significa questo per Naomi?

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Naomi Osaka - US Open 2020 (photo by Simon Bruty/USTA)
 

Ci sono pochi dubbi che la stella del tennis femminile, o forse la stella del tennis in generale, dopo la ripresa del circuito in agosto sia stata Naomi Osaka. A dispetto dell’infortunio alla coscia che le ha impedito di partecipare al Roland Garros e a dispetto del ranking che la vede solamente al numero 3, la sua vittoria allo US Open insieme con il ruolo di leader nella clamorosa protesta che ha costretto il Western&Southern Open a spostare di 24 ore la giornata delle semifinali hanno innalzato il profilo di Naomi oltre la nicchia del tennis e in una dimensione che ormai è sconfinata nel mainstream.

Tuttavia, quest’ultima entusiasmante cavalcata estiva, culminata pochi giorni fa con la copertina nientemeno che di Vogue International è stata comunque soltanto la ciliegina sulla torta per un’atleta che già è stata nominata da Forbes come la sportiva più pagata al mondo nel 2019 (37,4 milioni di dollari in montepremi e sponsorizzazioni) e che non ha esitato a recarsi di persona a Minneapolis per vivere in prima linea la protesta sociale esplosa dopo l’uccisione da parte della polizia di George Floyd.

Il 2020 avrebbe dovuto rappresentare un passaggio importante per Naomi, per via della partecipazione alle Olimpiadi di Tokyo proprio nel suo Giappone, il Paese che le ha dato i natali. Infatti, nonostante abbia passato la maggior parte della sua vita negli Stati Uniti, Osaka ha sempre rappresentato la bandiera del Sol Levante nelle competizioni internazionali e per questo è stata scelta come uno dei volti per queste Olimpiadi.

Per onorare il supporto che ha ricevuto nel corso di tutta la carriera dalla Federazione Giapponese, e come atto di coerenza da parte di chi ha scelto fin da subito di rappresentare il Giappone nelle competizioni internazionali, Naomi Osaka ha annunciato nel 2019 che avrebbe rinunciato alla cittadinanza statunitense in ottemperanza alle leggi giapponesi che formalmente non riconoscono la doppia cittadinanza. Fino a oggi, infatti, Osaka ha beneficiato di un’eccezione concessa dalla legislazione nipponica ai cosiddetti ‘hafu’, il termine giapponese che viene usato per definire i figli di coppie di nazionalità mista. La madre di Naomi Osaka, Tamaki, è giapponese, mentre il padre, Leonard François, è un cittadino statunitense naturalizzato di origini haitiane. Secondo la legge giapponese, gli ‘hafu’ hanno la possibilità di mantenere il doppio passaporto fino al ventiduesimo anno di età, dopodiché devono scegliere l’una o l’altra nazionalità.

Osaka ha compiuto 22 anni il 16 ottobre 2019 e ha ripetutamente confermato che intende mantenere soltanto il passaporto giapponese.

Naomi Osaka – US Open 2020 (via Twitter, @usopen)

Tuttavia ciò comporta una serie di problemi logistici, e non solo, di non poco conto. Innanzitutto, Naomi ha sempre vissuto negli Stati Uniti, prima in Florida (dove la madre vive tuttora) e ora nell’area di Los Angeles dove convive con il suo ragazzo, il rapper YBN Cordae. Il trasloco in California è stato giustificato dalla maggiore facilità di seguire i suoi affari tennistici e non dalla preferenza della “città degli angeli” rispetto alla Florida. Se però dovesse rinunciare alla cittadinanza statunitense, perderebbe il diritto a vivere e lavorare liberamente negli Stati Uniti, dovendo ripartire da capo e ottenere il permesso di farlo attraverso i programmi che sono consentiti ai cittadini giapponesi.

Per un’atleta del suo calibro non dovrebbe tuttavia essere un’impresa troppo complicata: esiste un visto, chiamato O-1, che è riservato alle “persone che possiedono abilità straordinarie nelle scienze, nelle arti, in accademia, negli affari o nello sport, o che hanno dimostrato di poter raggiungere traguardi straordinari nel cinema o nella televisione e i cui traguardi sono stati riconosciuti a livello nazionale e internazionale”. Questo visto può condurre in maniera relativamente semplice alla “Carta Verde”, ovvero il permesso di residenza permanente negli Stati Uniti, che le consentirebbero di godere di quasi tutti i privilegi di cui godeva come cittadina. Ma la domanda del visto e della successiva “carta verde” potrebbe richiedere mesi, se non anni, e non potrebbe essere iniziata prima della rinuncia da parte di Naomi della cittadinanza americana. Cosa fare nel frattempo?

Questo non è tuttavia il problema più importante che deve affrontare. La rinuncia alla cittadinanza americana, infatti, potrebbe provocare la necessità di pagare una “exit tax, una tassa d’uscita che il Governo Federale degli Stati Uniti ha istituito per scoraggiare gli individui particolarmente benestanti dal lasciare gli USA e poter così evitare di pagare le imposte sul reddito al fisco americano.

Gli Stati Uniti sono uno dei soli due Paesi al mondo che tassa i propri cittadini sul proprio reddito mondiale indipendentemente da dove risiedano (ne abbiamo parlato anche nell’ultima puntata di Ubi Radio). La “exit tax” viene richiesta nel caso in cui gli aspiranti rinunciatari al passaporto USA rispondano a determinate caratteristiche, ma in generale non è dovuta da chi ha un valore totale dei propri beni inferiori a 2 milioni di dollari (comprese le stime attualizzate di supposti flussi di reddito futuri, come le pensioni) oppure da chi paga in media meno di 171.000 dollari l’anno all’erario statunitense. Con un reddito stimato a circa 37,4 milioni di dollari per il solo 2019, è difficile che Naomi Osaka rientri al di sotto di queste soglie, ed è quindi molto probabile che debba firmare un cospicuo assegno per poter dire addio al suo passaporto americano.

Osaka quindi si troverebbe nella paradossale situazione di dover pagare una cifra molto considerevole (potrebbero anche essere milioni) per poter continuare a fare quello che fa adesso, ovvero vivere negli USA, solamente in maniera più complicata e con più restrizioni, e il tutto continuando negli anni futuri a pagare le stesse tasse che paga ora agli Stati Uniti e alla California.

Naomi Osaka – Finale US Open 2020 (via Twitter, @usopen)

La ‘exit tax’ può essere minimizzata con una ristrutturazione del proprio patrimonio attraverso l’uso delle donazioni a vari membri della famiglia. Durante l’amministrazione Trump, che sta avviandosi alla conclusione, queste donazioni sono state oggetto di esenzioni fiscali in misura mai raggiunta nella storia degli Stati Uniti, mettendo quindi diversi strumenti a disposizione degli avvocati di Osaka per minimizzare il ‘danno’. Ma questo tipo di operazioni richiede tempo, e questo forse spiega per quale motivo Osaka non ha ancora rinunciato alla sua cittadinanza statunitense, nonostante sia passato più di un anno dal suo ventiduesimo compleanno.

I nomi di tutti gli individui che hanno espresso l’intenzione di “espatriare” (questo il termine tecnico utilizzato) vengono pubblicati ogni tre mesi sul Federal Register, il giornale ufficiale del Governo Federale degli Stati Uniti. All’ultima pubblicazione della lista, lo scorso 29 ottobre, il nome di Naomi Osaka non risulta essere stato pubblicato sul Federal Register, per cui è logico concludere che la n.3 del mondo non abbia ancora rinunciato alla cittadinanza statunitense.

Secondo lo studio legale canadese Moodys LLP, specializzato nelle procedure di rinuncia alla cittadinanza statunitense, la durata media di tutto il processo varia dai 5 ai 10 mesi, sebbene alcuni uffici consolari abbiano una lista d’attesa fino a 20 mesi. Il processo di rinuncia prevede un colloquio personale con un ufficiale degli Stati Uniti in uno degli Uffici Consolari sparsi per il mondo, in quanto è necessario stabilire se l’individuo in questione sia coinvolto in attività illecite, oppure voglia rinunciare al passaporto americano solamente per sfuggire l’obbligo di pagare le tasse agli USA risiedendo in un altro Paese. Il quel caso, il Procuratore Generale degli Stati Uniti ha il potere di emettere un ordine di esclusione permanente che impedirà a questa persona l’ingresso negli Stati Uniti per sempre.

Ma nel frattempo cosa si può fare dal momento che, tecnicamente, Naomi è già in violazione della legge giapponese? Molti cittadini nipponici nella stessa situazione scelgono di non fare assolutamente nulla. Secondo dati diffusi dal Ministero della Giustizia e riportati dal New York Times, si stima che ci siano quasi 900.000 giapponesi in possesso di un’altra cittadinanza. Inoltre, il governo giapponese non ha mai revocato il passaporto a chi, come Osaka, l’ha ottenuta per nascita. Nella maggior parte dei casi queste persone vivono la loro esistenza cercando di evitare il più possibile di parlare di nazionalità o passaporti e rivelando la propria situazione a quante meno persone possibile, il tutto con la più o meno tacita connivenza del governo in questa versione internazionale del “don’t ask, don’t tell” (“Io non chiedo nulla se tu non mi dici niente).

Ma considerando la celebrità di Naomi Osaka a livello mondiale, non sembra verosimile pensare che la nipponica possa cercare di adottare un basso profilo e cercare di volare sotto i radar.

Durante lo scorso Western&Southern Open, a Naomi fu rivolta una domanda a proposito delle elezioni presidenziali USA, e in particolare sul candidato vice-presidente Kamala Harris, che come lei è una donna di origini asiatiche da parte della madre e ha un padre nato in un’isola caraibica. Questa fu la sua risposta: “Sono in una posizione strana, difficile. Non dovrei parlare di politica, perché tecnicamente non sono americana. Mi hanno sempre detto di non dire nulla, per cui non so comportarmi. Ma è strano vivere un paese, vedere le cose che succedono e voler esprimere la propria opinione, ma non poterlo fare”.

Vista la sua inclinazione a parlare pubblicamente contro ciò che ritiene ingiusto, Osaka potrebbe usare l’immenso seguito di cui gode per affrontare apertamente la questione con il governo giapponese e forzare un cambiamento che potrebbe far uscire dalla clandestinità le centinaia di migliaia di nipponici introducendo in qualche modo una legittimazione della doppia cittadinanza. Si tratterebbe però di una sfida contro la cultura e la tradizione giapponese, molto più grande di tutte quelle che ha affrontato finora, dentro e fuori dal campo.

Ovviamente, la soluzione più semplice sarebbe quella di andare via dagli Stati Uniti, lasciare il suo villone a Beverly Hills e trasferirsi in uno dei tanti paradisi fiscali che sarebbero lieti di accoglierla. Per esempio, se si trasferisse alle Bahamas, sarebbe a non più di 40 minuti di volo da sua mamma che abita a West Palm Beach, non dovrebbe più pagare le tasse allo “Zio Sam” su tutti i suoi redditi mondiali e potrebbe recarsi negli USA per prendersi cura dei suoi affari, risparmiando milioni e milioni di dollari di imposte negli anni a venire.

Ma Naomi non sembra tipo da prendere scorciatoie. Troverà una soluzione facendo ciò che in cuor suo ritiene giusto, e c’è da scommettere che troverà il modo di brillare anche in questa situazione.

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