Emma Raducanu, una impresa senza precedenti - Pagina 3 di 4

Al femminile

Emma Raducanu, una impresa senza precedenti

Come è stato possibile che una giocatrice diciottenne, sconosciuta fino a tre mesi fa, sia riuscita a vincere lo US Open in un modo mai riuscito prima?

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Emma Raducanu - US Open 2021 (Pete Staples/USTA)
 

Emma Raducanu prima dello US Open
Tutti hanno sottolineato la molteplicità di nazioni legate all’origine e alla formazione di Raducanu. Padre rumeno, madre cinese (Emma con la madre parla in mandarino), e nascita in Canada, a Toronto. Sicuramente avere genitori provenienti da continenti e culture diverse influisce sulla crescita di qualsiasi individuo. Se però ci limitiamo all’aspetto tennistico, credo vada sottolineato che Raducanu è al 100% inglese. È molto più inglese lei di altre tenniste che hanno giocato di recente con la bandiera britannica. Per esempio Laura Robson (grande talento penalizzato dai problemi fisici) si era parzialmente formata in Australia, così come Johanna Konta, ungherese di nascita e poi cresciuta tennisticamente anche in Spagna.

Emma Raducanu no: dopo il trasloco dal Canada in Inghilterra quando lei aveva due anni, ha seguito tutta la trafila di una giovane di talento, appoggiata e seguita dai tecnici messi a disposizione dalla LTA (Lawn Tennis Association). Ricordo che la LTA è una delle federazioni più ricche e potenti nel tennis, grazie ai proventi e al prestigio legati allo Slam.

In passato la LTA era stata accusata di non saper far fruttare le enormi risorse a disposizione. Per esempio nel 2015 Andy Murray aveva denunciato lo spreco di mezzi della federazione, tanto più grave perché non si vedevano all’orizzonte nuove leve all’altezza dei grandi investimenti profusi. Ma questa volta con Raducanu le cose sembrano avere funzionato. Tanto che dopo la vittoria a Flushing Meadows, sul sito della federazione è uscito un articolo che rivendica questa appartenenza e descrive tutte le tappe della sua formazione sin da quando aveva sei anni (The remarkable rise of Emma Raducanu).

Dunque, dopo il Canada, la famiglia si stabilisce a Bromley, nei sobborghi meridionali di Londra, nemmeno troppo lontano da Wimbledon. Emma si iscrive al locale Tennis Centre a sei anni e, racconta l’articolo, il circolo diventa “la sua seconda casa”. Passo dopo passo, segue la crescita tipica di molte speranze del tennis in giro per il mondo: i primi successi regionali, poi nazionali, infine i viaggi all’estero. Nel 2014 gioca l’Orange Bowl under 12, e poi sale di livello sino ai tornei junior più importanti.

Il suo vantaggio è che può farlo con l’appoggio di una federazione che non solo si può permettere di pagare tecnici e viaggi, ma anche di elargire wild card. Con qualche ulteriore “fringe benefit” , come per esempio l’opportunità di avere come hitting partner di eccezione proprio Andy Murray, o conoscere grandi campionesse del passato come Virginia Wade e Martina Navratilova (con la quale scambia qualche colpo a Parigi). Raducanu si rivela una più che valida junior, anche se non gioca moltissimo (best ranking numero 20 nel dicembre 2018).

Crescendo in età e in risultati, Emma insieme alla famiglia ha l’opportunità di decidere, d’accordo con la federazione, il tecnico che la segue più da vicino. E ne cambia diversi. I genitori non entrano direttamente nelle scelte di campo, non vogliono farle da coach, ma hanno piuttosto un ruolo determinante a priori, nella scelta del tecnico a cui affidarsi.

Un momento decisivo della carriera di Raducanu avviene durante la pandemia. La prima fase di stop obbligato della attività sportiva coincide con gli esami che deve sostenere a scuola. Una scuola impegnativa, che richiede la frequenza come a una qualsiasi studentessa. Un po’ come accaduto a Iga Swiatek, che fino a un paio di anni fa era ancora impegnata a studiare tra un allenamento e l’altro, portandosi appresso i libri di testo anche nei tornei. Figlia di due analisti finanziari, qualche mese fa Emma ha sostenuto l’esame per ottenere l’A level in matematica ed economia (QUI un video postato dalla stessa Raducanu). Insomma la sua adolescenza non è stata solo tennis e ancora tennis.

Quando, dopo i primi mesi di stop per pandemia, l’attività tennistica internazionale è faticosamente ripartita, la scelta di Raducanu è stata quella di non viaggiare all’estero (la famiglia temeva i rischi dei trasferimenti) e di rimanere in patria per rifinire alcuni aspetti del suo tennis che non riteneva sviluppati al meglio. Insieme all’ex coach di Kasatkina Philip Dehaes aveva cominciato a lavorare sulla impugnatura del dritto. Quando poi i viaggi diventano troppo complicati, passa ad allenarsi insieme a Mark Petchey, nel centro federale di Roehampton.

Prova anche a cambiare racchetta: da Wilson a Yonex, salvo poi decidere di tornare a Wilson. Sono tutti lavori di affinamento che contribuiscono a prepararla per il 2021, quando finalmente si ripresenta nelle competizioni internazionali. Questo stop durante la pandemia secondo le stesse parole di Raducanu ha contribuito ad “aumentare la mia fame e la mia determinazione” una volta tornata a competere.

Come sappiamo, la prima affermazione importante arriva nel recente Wimbledon, dove partecipa grazie a una wild card. AI Championships la accompagna Nigel Sears (ex coach di diverse giocatrici, tra cui Ivanovic e Kontaveit). Dopo avere sconfitto Diatchenko, Vondrousova e Cirstea, Raducanu si ferma contro Tomljanovic, ritirandosi per un malessere nel secondo set. Si parla di una crisi respiratoria, probabilmente di origine nervosa.

A mio avviso in quella occasione Emma ha pagato la scelta degli organizzatori di farla scendere in campo di sera, in orario il più possibile di prime time, a dispetto di ogni logica sportiva, anche considerando che a Wimbledon non è previsto il giorno di riposo tra ottavi e quarti di finale. Ecco cosa avevo scritto allora. Programmate per ultime “Raducanu e Tomljanovic hanno passato la giornata sempre più “in cottura”, nell’attesa che si concludesse non solo il match di Barty (avversaria del giorno dopo) ma anche quello tra Auger-Aliassime e Zverev. Match che è andato al quinto set, finendo per superare le quattro ore totali. Risultato: quando Ajla ed Emma sono scese in campo, erano ormai le otto di sera (ora locale), e la più giovane ha pagato lo stress con una crisi che l’ha portata al ritiro”.

Da una esperienza dolce-amara come quella di Wimbledon, Emma dichiara di avere tratto una lezione importante in vista del futuro: migliorare la preparazione fisica per essere pronta ad affrontare le diverse difficoltà che si possono presentare nella carriera di una tennista che aspira a sfondare a livello professionistico.

Nel frattempo i punti conquistati a Wimbledon permettono a Raducanu di salire nel ranking di circa 150 posti; abbandona la posizione 338 per salire attorno alla 180, che le permette di misurarsi in tornei di livello superiore. Programma così per il resto dell’estate una serie di impegni a livello ITF per poi concludere la trasferta americana con le qualificazioni dello US Open. Ad accompagnarla come coach c’è Andrew Richardson, che l’aveva già seguita per un paio di stagioni da giovanissima, quando aveva undici – dodici anni.

Negli USA gioca 11 partite, ne vince 8, e nell’ultimo impegno prima di Flushing Meadows raggiunge la finale a Chicago, dove è sconfitta da Clara Tauson (6-1, 2-6, 6-4). Tauson è per Emma una vecchia conoscenza. Danese, anche lei del 2002, numero 1 del mondo junior, l’ha sconfitta tre volte su tre a livello giovanile.

Anche se battuta in finale, i risultati di agosto consentono a Raducanu di raggiungere la posizione 150 alla vigilia delle qualificazioni dello US Open. Un progresso rimarchevole, che però sbiadisce al confronto della situazione odierna: dopo l’exploit di Flushing Meadows, Raducanu è infatti diventata numero 23 del ranking e numero 14 della Race.

a pagina 4: Le caratteristiche del tennis di Emma Raducanu

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