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Al femminile

Ancora sull’Australian Open: Collins, Keys e Swiatek

Secondo articolo di analisi dell’Australian Open femminile 2022, con una breve coda dedicata ad Anisimova e Osaka

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Danielle Collins - Australian Open 2022 (foto Twitter @AustralianOpen)
 

Tutto sommato la partita contro Tauson ha ben sintetizzato le caratteristiche che hanno permesso a Collins di arrivare sino in finale nell’ultimo Australian Open. L’aspetto forse più interessante da sottolineare è che, a mio avviso, Danielle nelle ultime stagioni ha in parte modificato il modo di stare in campo rispetto agli esordi di qualche anno fa. Ricordo che Collins si era fatta conoscere al grande pubblico in occasione della semifinale raggiunta al torneo di Miami 2018 (partendo dalle qualificazioni).

Ebbene, rispetto alla giocatrice attuale, nelle partite di Miami 2018 la conduzione del punto appariva più ricca e articolata nella scelta delle geometrie, ma anche meno spiccatamente offensiva. L’ultima Collins, quella capace di arrivare in finale Slam, ha sviluppato un modo di stare in campo in cui aspetti tattici e aspetti agonistici si rinforzano a vicenda, in un mix molto personale ed efficace. Dovessi sintetizzare il quadro con un aggettivo non troppo ortodosso, direi che Danielle è diventata più “sbrigativa”. Sbrigativa sotto tutti gli aspetti, perché alla prima occasione utile mette pressione all’avversaria sia con la personalità che esibisce fra un punto e l’altro sia con le scelte che attua quando la palla è in gioco.

Punto cardine di questa strategia è la sistematica aggressività. Danielle punta a comandare lo scambio non solo quando è al servizio (nel tennis contemporaneo è quasi un obbligo per tutti) ma anche quando è in risposta. E proprio la notevole qualità della risposta le permette di incalzare l’avversaria con una costanza asfissiante, che a lungo andare spesso manda in crisi il rendimento al servizio di chi la fronteggia, specie sulla seconda palla.

Questo per quanto riguarda le fasi di inizio gioco. Ma se per caso lo scambio supera l’uno-due iniziale, a me sembra che l’ultima Collins sia diventata più sbrigativa e scarna anche nella costruzione dello scambio, con una netta predilezione per la spinta sull’incrociato, e un utilizzo del cambio lungolinea sempre meno frequente. E i risultati le hanno dato ragione, dato che a Melbourne Danielle è stata in grado di conquistare punti in serie senza avere bisogno di uscire dalla diagonale, ma semplicemente aumentando i giri del confronto mono-direzionale che si sviluppava.

In particolare il suo rovescio incrociato ha fatto la differenza anche quando l’avversaria era perfettamente consapevole che Danielle avrebbe eseguito quel colpo verso quella direzione: ma la combinazione tra angolo stretto e alta velocità era ugualmente letale. Oltre tutto, vincere i punti in quel modo, in una sorta di “braccio di ferro” tutto svolto su un singolo colpo, si trasformava anche in una piccola ferita all’autostima di chi aveva di fronte.

Piccola ferita dopo piccola ferita, per sei giocatrici le partite si sono trasformate in dolorose sconfitte. Ecco perché nei match di Melbourne aspetto tecnico e aspetto agonistico si sono intrecciati in un mix inscindibile che ha finito per pesare sul rendimento delle avversarie, esaltando di conseguenza la personalità di Collins.

Ho già parlato della finale contro Ashleigh Barty (persa per 6-2, 7-6) nell’articolo della scorsa settimana. Qui mi limito a ribadire un concetto: nel secondo set del match, malgrado uno stadio tutto schierato per la giocatrice di casa, Danielle ha avuto la forza mentale di non darsi per vinta. E così è arrivata quasi a vincere il secondo set (sul 5-1) dopo avere strappato per ben due volte la battuta a Barty. Potrebbe sembrare poco, ma per Ashleigh ha rappresentato comunque il doppio dei break subiti in tutto lo Slam, visto che sino a quel punto aveva perso il servizio appena una volta, contro Amanda Anisimova.

Dopo l’impresa di Melbourne, Collins ha raggiunto per la prima volta la Top 10. Nel tennis una posizione fra le prime dieci del mondo non certifica un semplice progresso nel ranking, ma assume anche un valore simbolico, di cambiamento di status, e rimane nel curriculum di una giocatrice al di là del periodo di permanenza fra le “elette”. Raggiungere un obiettivo del genere non è stato semplice, anche perché Danielle ha dovuto affrontare seri problemi fisici non legati alla attività sportiva (nel 2019 la diagnosi di artrite reumatoide, poi nel 2020 l’endometriosi), che di certo non hanno aiutato il percorso tennistico.

In ogni caso, dopo i grandi traguardi raggiunti, per Collins comincia una nuova fase di carriera, con gli inevitabili pro e contro. Da una parte, oltre ai sicuri bonus da parte degli sponsor, avrà diritto a primi turni più agevoli, grazie alla certezza della testa di serie. Dall’altra ci sarà l’inevitabile aumento delle aspettative: ora sarà chiamata a cercare di ripetere anche nel resto del mondo il rendimento superiore spesso offerto nei tornei giocati in Australia.

a pagina 3: Iga Swiatek

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