Nei giorni precedenti allo US Open, nel pieno del “caso Sinner”, Darren Cahill (l’allenatore del numero 1 del mondo) aveva concesso una lunga intervista al canale televisivo ESPN, nel corso della quale aveva affrontato il tema della positività al Clostebol di Jannik e dell’inizio del percorso difensivo che aveva portato all’assoluzione. La frase chiave di quell’intervista era stata la seguente: “Una volta ricevuta la notizia della positività ci siamo riuniti con il resto del team e abbiamo ricostruito la vicenda: dopo cinque minuti avevamo capito tutto”.
La storia di Stefano Battaglino, squalificato per quattro anni per aver violato le norme antidoping, è indubbiamente una storia sbagliata. Il tennista 26enne l’ha raccontata in una lunga intervista all’edizione torinese del Corriere della Sera: Battaglino (best ranking di numero 760) fu trovato positivo al Clostebol (l’ormai famigerato steroide anabolizzante contenuto in diverse creme cicatrizzanti) il 14 settembre del 2022 dopo un match perso al primo turno dell’ITF di Casablanca: “Quel torneo neppure avrei dovuto giocarlo, ero andato in Egitto per farne altri tre, poi avevo trovato voli convenienti, e allora mi ero presentato”. La sostanza era esattamente la stessa che avrebbe poi messo nei guai Jannik Sinner un anno e mezzo dopo, anche se nel caso del numero 1 abbiamo la certezza si trattasse di una quantità infinitesimale, mentre nel caso di Battaglino non è mai stato (per ora) rivelato l’esatto quantitativo della sostanza dopante. Ma la differenza fondamentale tra le due storie – e qui torniamo alle parole di Cahill- è un’altra: Sinner, grazie all’esperienza e alla professionalità del suo (costoso) team di avvocati e grazie a una versione perfetta e praticamente inattaccabile, è riuscito a dimostrare la cosiddetta “route of ingestion”, costruendo le basi solide di una contaminazione involontaria mentre Battaglino non è mai più riuscito a rintracciare il fisioterapista teoricamente colpevole di averlo contaminato. Fino a quando, solo dopo la fine dei processi, quell’uomo ha finalmente risposto al telefono: “Ha solamente detto che utilizza i guanti e che si lava sempre le mani”. I tornei ITF sono una specie di inferno del circuito ATP, e questo aspetto ha sicuramente inciso nella vicenda del tennista italiano: “In quegli ambienti lì vale tutto, il controllo è praticamente nullo, dall’inizio alla fine. Se hai l’allenatore, lo condividi con altri otto atleti, idem il fisioterapista. E poi, le camere insieme agli altri giocatori, i voli notturni, i taxi collettivi per andare al torneo. Ha presente quanti sono i rischi di contaminazione?”.
I giudici, nella sentenza, hanno stabilito che l’assunzione volontaria non fosse assolutamente certa ma che, allo stesso tempo, il team difensivo di Stefano non fosse stato in grado di fornire una ricostruzione convincente, che raccontasse per filo e per segno (esattamente come accaduto nella vicenda Sinner) come quel quantitativo di Clostebol fosse entrato nel suo organismo: i quattro anni di stop sono stati una conseguenza di questo fatto. La “ricostruzione convincente” è il dettaglio – non da poco- che segna la differenza tra le due vicende, simili, forse identiche, ma solo a livello di buon senso: le regole anti-doping, per forza di cose stringenti, hanno disegnato un esito opposto. “Mettiamo una cosa in chiaro: sono felice per Sinner, cui auguro tutti i successi del mondo; ma per me sono davvero deluso, tantissimo. Per lo sport, sono un appestato. Potrei giocare in un campo non affiliato alla federazione, ma al massimo ho fatto qualche partita di padel. Nel frattempo ho cambiato vita, dal febbraio 2023, quando mi hanno sospeso: lavoro nell’azienda di famiglia, e mi considero fortunato. Per dire, avessi fatto il maestro di tennis, sarei stato rovinato”.
Battaglino ha superato un periodo emotivamente difficile, ha provato ad andare avanti, ma l’etichetta è un’etichetta pesante: “Sapere che qualcuno pensi che sia un ‘dopato’, cioè che abbia assunto sostanze per barare: non è così, non l’ho mai fatto. E invece, chi non mi conosce, magari legge solo il titolo e spara giudizi. Ma quando racconto l’intera storia, tutti mi dicono che è una follia”.
Una follia che si è mischiata, in una strana coincidenza, con la vicenda dello sportivo più famoso d’Italia, mettendo a confronto due pianeti completamente diversi all’interno dello stesso universo, quello del tennis mondiale: Sinner non ha approfittato di nessuna scorciatoia (al massimo, forse, di un giudice complessivamente clemente dato che se gli fosse stata riconosciuto un qualche livello di negligenza sarebbe stato squalificato per diversi mesi) ma semplicemente della sua potenza economica, mentre Battaglino (un semi-professionista) si è ritrovato inconsapevolmente (e con una buona dose di sfortuna) in un brutto pasticcio e soprattutto non si è potuto permettere gli avvocati del numero 1 del mondo.
La fama, il nome, la potenza economica: siamo sicuri che se questa storia fosse capitata a uno sportivo più influente di Battaglino il fisioterapista avrebbe sicuramente risposto al telefono – mettiamola così – subendo di conseguenza ben altro tipo di pressioni, perchè in gioco ci sarebbe stata una posta molto più alta di quella del numero 700 del mondo, di un nome senza nemmeno una faccia. La storia di Stefano Battaglino è indubbiamente una storia sbagliata, che presenta anche qualche lato oscuro: non c’era motivo – secondo l’accusa – che il fisio utilizzasse un prodotto con il Clostebol per massaggiare la parte interessata (nella sentenza la parte è stata omessa), oppure ancora, non ci sono prove che in Marocco siano acquistabili prodotti contenenti il Clostebol. Inoltre, sempre secondo l’accusa, c’è da dubitare che il fisioterapista abbia trattato un secondo paziente senza essersi lavato le mani dopo aver trattato il precedente e, poi, infine, appare quanto meno curioso che dalla difesa non sia stata contestata l’intenzionalità dell’assunzione.