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31/12/2011 00:11 CEST - ATP - L'INTERVISTA

Raonic: "Sono da top ten"

TENNIS - Intervistato da Magazine Tennis, una delle maggiori promesse del tennis mondiale si confessa, parlando della grande esplosione d'inizio anno ("quell'Australian Open rimarrà nel mio cuore"), del rapporto con Galo Blanco, dell'infortunio all'anca che l'ha costretto a un delicato intervento e del suo grande obiettivo: "devo continuare a migliorarmi, ma posso arrivare tra i primi dieci". Traduzione di Riccardo Nuziale

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Per leggere l'intervista integrale e in lingua inglese, clicca qui.

Milos, sei stato la rivelazione 2011. Ora che la stagione è finita, cosa ti viene in mente per prima?
Naturalmente le due immagini che mi vengono in mente spontaneamente sono l’Australia e San Josè. Quelli sono stati i due picchi della mia stagione. Successivamente non è andato tutto come doveva. Parlo chiaramente dell’infortunio. Quello è stato duro da affrontare. Dovessi scegliere comunque metterei l’Australian Open al primo posto: rimarrà il mio primo grande risultato in carriera. Quando arrivai là, non sapevo cosa aspettarmi. Sapevo di aver lavorato bene durante l’inverno e che questo avrebbe portato i propri frutti, ma non pensavo che avrebbe pagato così presto. Questo mi diede fiducia per i tornei successivi, in particolar modo a San Josè. Lì ebbi la consapevolezza di poter giocare molto bene e di poter battere i migliori.

Si potrebbe dire che il “click”, il momento di consapevolezza, sia scattato durante il match contro Llodra a Melbourne?
Il “click” scattò in Australia, ma non saprei dire se sia avvenuto in un match particolare. A Chennai giocai bene, ma mancava ancora qualcosa. Arrivai in Australia piuttosto presto, ebbi una settimana per prepararmi al meglio, ma durante le qualificazioni ancora non andava tutto alla perfezione. In ogni caso, sentivo che il livello aumentava di partita in partita. Giocai bene contro Phau nel primo turno, servii e risposi bene contro Llodra nel secondo…cominciai ad essere più solido da fondo e tutto questo mi diede fiducia.

Poi c’è stata l’esplosione a San Josè e Memphis, dove sei stato quasi imbattibile. Dev’essere stato esaltante…
Sì, abbastanza (ride). Giocai un torneo dietro l’altro senza avere un secondo per pensare. Mi ricordo che a San Josè vinsi, feci la conferenza stampa e mezz’ora dopo ero in viaggio per il volo per Memphis. Arrivato, dormii qualche ora e nel pomeriggio mi allenai. In pratica ero nel bel mezzo di un tornado. Tutto questo non fu il massimo per il fisico ma per lo stato mentale fu altra storia, perché non ebbi il tempo di accorgermi di quello che stava succedendo. All’improvviso c’erano tutti questi nuovi aspetti della mia vita ed ero felice di saperli affrontare.

Quali nuovi aspetti?
Giocare un match duro dietro l’altro, contro top player. Non mi era mai successo. E anche la questione viaggi. I challenger e i future sono organizzati in modo tale che il giocatore viaggi il meno possibile, per risparmiare soldi. E tutto ad un tratto in meno di due mesi, ho fatto Chennai, Melbourne, Johannesburg, San Jose, Messico per la Davis…in pratica il giro del mondo. Cercai di non sentire la fatica e approfittare del momento.

Possiamo dire che quella fatica sia arrivata tutta d’un colpo durante la stagione sulla terra, dove i risultati non sono stati il massimo?
Sinceramente penso di aver giocato bene sulla terra, superficie dove non avevo giocato molto. Non sapevo cosa aspettarmi. Avevo bisogno di trovare dei punti di riferimento e fu per questo che giocai tre tornei di fila ad aprile. Ho vinto delle partite e poi, è vero, arrivato ai Master 1000 di maggio, Madrid e Roma, ero stanco. Ma comunque penso che la mia stagione sul rosso sia stata positiva. Ho imparato delle lezioni che mi saranno utili per la prossima stagione.

Visto che stiamo parlando di ambizione, hai precisi obiettivi, o sogni, in termini di risultati e ranking?
Non ancora, perché sto ancora pensando a guarire pienamente dall’infortunio. Comunque sono ancora un giocatore giovane che deve fare dei progressi. Questo lo so perfettamente, anche se odio perdere e voglio vincere sempre. Penso di avere il potenziale per entrare nei primi 10.

Ricordiamo tutti la caduta contro Gilles Muller a Wimbledon. Fu allora che avvenne l’infortunio?
In verità mi stavo trascinando quel problema da tempo e quella caduta fu la goccia che fece traboccare il vaso. A quel punto l’operazione divenne inevitabile. In pratica è servita a riparare un po’ della cartilagine sull’interno dell’anca (non conosco il termine esatto). Pochi giocatori hanno subito questo intervento, giusto Nalbandian e Hewitt in tempi recenti.

Torniamo a pensieri migliori. Molti osservatori e giocatori concordano nel giudicarti un futuro campione. Ad esempio, dopo averti battuto a Tokyo, Nadal di essere rimasto davvero impressionato dal tuo gioco. Come ci si sente a sentire tanti elogi?
È sempre stupendo. Ma il fatto che così tanti addetti lo pensino, non mi farà diventare tale automaticamente. Devo continuare a migliorare.

In quali settori?
In diversi. Devo continuare a lavorare sul mio servizio, innanzitutto. So che può sembrare strano sentirlo dire, dal momento che è probabilmente la mia arma principale, ma devo continuare a migliorarlo. Devo assolutamente alzare il livello del mio gioco da fondocampo, della mia risposta, della mia capacità di movimento…in pratica posso migliorarmi su ogni aspetto del gioco e questo può essere positivo.

Come e quando hai cominciato a lavorare con Galo Blanco?
L’ho conosciuto l’anno scorso, a marzo, tramite Steven Diez, un giovane giocatore canadese che faceva parte dell’accademia di Galo. Ci accordammo di provare a lavorare insieme in autunno a Tokyo e quindi al challenger di Tashkent, che poi ho saltato per l’infortunio. Dopodiché ho passato un po’ di tempo a casa sua a Barcellona, dove ha la sua accademia. Lì c’è tutto di cui hai bisogno: campi in terra, campi in cemento, tutto…

Gli spagnoli hanno la reputazione di essere grandi lavoratori. Con un team spagnolo, vale lo stesso per te?
Non penso di aver lavorato di più, ma di aver lavorato in modo diverso, un lavoro probabilmente più adatto alle mie caratteristiche. Lavorare duro non è mai stato un problema per me. Era giusto questione di trovare il modo giusto di lavorare.

È vero che fino a non molto tempo fa eri estremamente nervoso in campo?
Oh sì! Andavo nel panico facilmente, mi sentivo frustrato, non ero in grado di rimanere concentrato. Non solo cominciavo a giocare peggio, ma perdevo anche lucidità. Mi battevo da solo, aiutavo il mio avversario. È stato una questione molto importante, una questione della quale ho discusso molto con Galo. Ho dovuto lavorare molto per migliorare questo aspetto.

Il Canada ospiterà la Francia, a febbraio, per il primo turno di Davis. Ci stai già pensando?
Per ora siamo felicissimi di essere tornati nel World Group. Non capita spesso, questa è solo la quarta volta. Penso di aver dato il mio contributo al tennis canadese, quest’anno. Mi sta a cuore. Quest’anno non ho potuto giocare molto in Davis, a causa dell’infortunio, ma la competizione mi piace molto, è totalmente diverso dal giocare i tornei e sono le uniche volte durante l’anno in cui non giochi da solo. Sono davvero eccitato da questo primo turno. Conosco i giocatori francesi piuttosto bene, ci ho giocato spesso quest’anno. Dal mio rientro dall’infortunio, ho affrontato Llodra a Shanghai, Monfils a Stockholm, Benneteau a Bercy.

Come sappiamo tu non sei nato in Canada, le tue origini sono montenegrine. Sei comunque patriottico?
Certo. Tengo molto vedere in alto il nome del Canada e non solo nel tennis. Seguo ovviamente l’hockey, come praticamente tutti i canadesi, ma seguo anche diverse altre squadre. Sono grande tifoso dei Toronto Raptors. Aldilà di questo, amo il mio Paese, è magnifico, le persone sono ospitali. E in un periodo di crisi globale come questo, il Canada è un modello in quanto uno dei Paesi più solidi. Sì, sono fiero di essere canadese.

Quali caratteristiche della tua personalità sono canadesi e quali montenegrine?
Dicono che i montenegrini siano intelligenti e forse è per questo che ero bravo a scuola (ride). Penso di essere gentile e rispettabile, due caratteristiche tipiche del popolo canadese. Comunque il Canada è un Paese cosmopolita, ci sono un sacco di diverse comunità che convivono benissimo. Forse è per questo che sono così aperto alle diverse culture. Ovunque sia, mi sento a casa. Per esempio a molti giocatori non piace andare in Asia, mentre io adoro andarci.

Ma hai imparato a giocare in Canada?
Sì, circa all’età di 8 anni. Nessuno della mia famiglia ha mai giocato. Ho iniziato giocando a street hockey, ma vicino a casa mia c’erano dei campi da tennis e fu mio padre a suggerirmi di provare. Non so davvero il motivo. Ma fu una buona idea…

Riccardo Nuziale

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