La “locomotiva” Federer e il sorpasso dei suoi vagoni

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La “locomotiva” Federer e il sorpasso dei suoi vagoni

Non è il Goat, non è il più forte. È semplicemente la montagna da scalare di una generazione che ha giocato anni per raggiungerlo e superarlo. E ci è riuscita. Non solo nei suoi due protagonisti più celebrati, Nadal e Djokovic, ma anche e soprattutto in Stan Wawrinka, prima “vassallo”, ora addirittura traino del connazionale più celebre

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Francesco Guccini non lo chiamerebbe “goat”, nè “migliore di ogni tempo”, figuriamoci “re del tennis”. No. Francesco Guccini, forse, lo chiamerebbe “la locomotiva”, un mostro strano che ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite, sembrava avesse dentro un potere tremendo, la stessa forza della dinamite.
Questa dissertazione parte da un assunto che è in parte, capiamoci bene e da principio per non fomentare le fazioni di tifosi, una provocazione. E l’assunto è che senza Roger Federer, Wawrinka non avrebbe mai vinto questo Roland Garros e forse nemmeno l’Australian Open, senza Roger Federer, Nadal non sarebbe diventato l’enorme campione che è, senza Roger Federer, Djokovic non avrebbe infranto tutti i record che è stato capace di infrangere e che forse, ancora, infrangerà.
Insomma, l’assunto è che durante il regno della locomotiva Federer e anche e soprattutto grazie a lui e alla sua grandezza, un’altra grande forza spiegava le sue ali [..] e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via.
Non è il migliore di tutti i tempi, bazzecola da bar, non è forse nemmeno il giocatore più bello da vedere. Non è perfetto, ha punti deboli, eccome se ne ha. Ma è stato, è diventato, prima un obiettivo da raggiungere (lontanissimo a metà degli anni 2000), poi un’icona da imitare. E distruggere.
Roger Federer ha migliorato la sua epoca tennistica. Perchè ha (parzialmente) ragione chi dice che lo svizzero si è erto a dominatore in un periodo di transito, nel quale erano appena scomparsi o stavano scomparendo due mostri sacri come Sampras e Agassi e il ricambio tardava ad avvenire (proprio come ora). Roddick non vale Djokovic, Gaudio non valeva Nadal, Hewitt e Safin erano (incredibile dictu) ancora più incostanti di Murray e Wawrinka.
Eppure Federer è stato capace non solo di approfittare di un’apparente fase di vuoto, ma di farlo dominando e con un gioco che a tanti sembrava e sembra ancora oggi irraggiungibile nella commistione tra efficacia, potenza e bellezza estetica. Non solo i suoi avversari, quindi, ma anche il movimento tennis deve “ringraziare” Federer. Roger è osannato in qualsiasi stadio giochi. E non lo è per le sue fattezze estetiche (come in parte lo era Borg, ad esempio), ma proprio per il suo tennis. Non c’è campo nel quale il pubblico parteggi più per il suo avversario che per lui. E tutto ciò, solo per il tennis. McEnroe oltre al tennis suscitava simpatia per i suoi isterismi, Djokovic oltre al tennis è nel cuore degli appassionati per la sua dote da giullare, Nadal oltre al tennis infonde uno spirito di immedesimazione per come lotta. Federer, semplicemente, è osannato per come gioca.

Tornando all’assioma di partenza, Federer ha dato una spinta al movimento ponendo di fronte ai suoi avversari una montagna enorme da affrontare. Solo che al campo base c’era una nuova generazione di scalatori di razza. Nadal, Djokovic, Murray e Wawrinka (per motivi leggermente diversi) si sono dovuti confrontare con questo mostro, domandarsi “riuscirò mai a raggiungerlo?” iniziando con volontà ferrea la loro lotta. E, in maniere diverse, vincendola.
Nadal, da re della terra, si è spinto oltre il suo elemento d’origine: ha voluto sfidare Federer anche sulle sue superfici predilette, l’ha dominato mentalmente prima che nel gioco, l’ha battuto, vorrebbe batterlo anche in un record di slam che sembra a portata di mano. Uno sforzo che gli è costato tanto da un punto di vista fisico e, forse, della longevità, ma che l’ha issato a monumento del suo sport, in una diarchia che per anni ha elevato le qualità tecniche e agonistiche del gioco.
Djokovic, compresso tra i due monumenti di cui sopra, ha saputo con pazienza ritagliarsi il suo spazio, andarsi a prendere i tasselli che man mano i due rivali lasciavano vuoti. Ora è forse e soltanto schiacciato dalla pressione di sapersi pari a loro, di dover compiere quell’ultimo passo, consapevole che, in un’altra epoca di mezzo, può diventare lui il dominatore e magari riuscire laddove Federer ha sempre (per poco) fallito: il Grande Slam (leggi: Djokovic, il Grande Slam è alla sua portata). Anche Nole ha raggiunto il suo traino.
Infine Wawrinka. Stan ha sempre vissuto all’ombra del campione. Subendo una sorte meschina: in un paese piccolissimo, nel quale in qualsiasi epoca un giocatore come “Stanimal” sarebbe stato idolatrato da tutti e numero uno indiscusso, ha trovato, quasi coetaneo, un semi-dio. Sconfitte, “vassallaggio”, poca fiducia. Talento sì, eccome, ma mai tramutato in vittorie di peso. Eppure Wawrinka, non si direbbe scorrendone la carriera, ha avuto pazienza. Ha prima saputo approfittare dell’amico-campione guadagnandosi un oro olimpico a Pechino e poi, pian piano, se ne è smarcato, scacciando un complesso di inferiorità che sembrava attanagliarlo, non solo nei confronti del connazionale. Ha imparato a vincere, ha voluto vincere. Ha imparato a battere Federer, ha voluto batterlo. E questo anche perchè l’ha sempre visto là davanti, troppo bello. E, quindi, da sfregiare. Infine, dolce contrappasso, si è a Federer sostituito: trascinando lui Roger, non come era successo al contrario per tanti anni, al successo in Coppa Davis; andando a vincere lui lo slam che Roger aveva impiegato mezzo secolo per fare suo.

Eccola, la locomotiva Federer. Un target che poco più di un lustro fa sembrava lontano anni luce, ma che è da subito diventato obiettivo da raggiungere e distruggere per i suoi rivali di un’epoca. Rivali che sono riusciti ad affiancarsi a lui anche e perchè da lui, dal suo gioco, dal suo dominio, stimolati.
Non è il goat, Federer. Non è il giocatore più forte e completo di tutti i tempi. Per ora è il più vincente. Verrà superato, però, non sappiamo noi dire quando e da chi: ma accadrà, come per ogni record che si rispetti. È, semplicemente, una locomotiva. Che per anni ha trainato i suoi vagoni carichi di classe, vedendosi infine superato da chi era stato per anni attaccato alle sue calcagna con la voglia matta di passare in testa al treno. Un treno che mai come in quest’epoca, proviamo a sbilanciarci, è stato carico di competitività e, soprattutto, di furore agonistico. Forse è questa la cosa per cui più di tutti lo si dovrebbe ringraziare.

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