La WTA delle nazioni, parte seconda

Al femminile

La WTA delle nazioni, parte seconda

Nell’arco di una settimana il tennis italiano ha vinto tre tornei, e Roberta Vinci ha raggiunto la top ten. A dimostrazione che a volte anche lo sport più individuale può essere influenzato da dinamiche di squadra

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Questa settimana Roberta Vinci è entrata per la prima volta fra le prime dieci del mondo, coronando finalmente il sogno di una carriera. Questo traguardo è l’ultimo di una serie di successi ottenuti nell’arco di pochi giorni dal tennis femminile italiano: prima la vittoria a San Pietroburgo di Vinci, poi quella a Dubai di Errani, infine Schiavone a Rio de Janeiro. Affermazioni ravvicinatissime da parte di giocatrici della stessa nazione.

Aggiungo un altro dato. Prima di Roberta Vinci, le ultime sei tenniste che hanno esordito in top ten tra il 2015 e il 2016 sono state: Carla Suarez Navarro, Lucie Safarova, Garbiñe Muguruza, Karolina Pliskova, Timea Bacsinszky e Belinda Bencic. Sei giocatrici per tre nazioni: ingresso a coppie di Spagna, Repubblica Ceca e Svizzera; e questo pur essendo tenniste con carriera ed età differenti.

Avevo affrontato il tema l’ottobre scorso, in un articolo (intitolato “La WTA delle nazioni”) che torna di attualità dopo la concentrazione di successi italiani di questi giorni. A volte sembra proprio che queste situazioni siano fatte apposta per mettere in crisi l’idea del tennis professionistico come di uno sport assolutamente individuale, in cui la componente collettiva (e nazionale) non ha alcun ruolo. Ma poi diventa difficile considerare casuali alcuni avvenimenti, e non è certo la prima volta che una nazione sale alla ribalta all’improvviso, con più giocatrici contemporaneamente; negli ultimi quindici anni è accaduto a Russia, Belgio, Serbia, Italia; e recentemente a Germania, Svizzera, Spagna.
Particolarmente eclatanti i casi di Belgio e Serbia, con due giocatrici al numero uno del mondo nel giro di poche settimane: nel 2003 (Clijsters in luglio, Henin in ottobre) e nel 2008 con Ivanovic (ai vertici in giugno) e Jankovic (in agosto).
Non ripeterò qui tutti i ragionamenti fatti altrove; cito solo due stralci:

“ (…) la crescita di una nazione non deriva sempre da una guida tecnica comune; non è obbligatoria la vicinanza quotidiana, la relazione di chi matura nello stesso circolo (o academy, o club, che dir si voglia). Non è sempre così, e sarebbe superficiale voler spiegare tutti i fenomeni in un solo modo; eppure si verificano comunque”.

“ (…) le altre tenniste dello stesso paese finiscono per diventare il primo termine di paragone di ogni giocatrice: un paragone che agisce come stimolo. Lo stimolo può nascere da sentimenti positivi, come la stima e l’amicizia, ma anche negativi, come l’antipatia o perfino l’invidia. E’ impossibile entrare nella testa di ogni tennista per sapere che cosa le spinge nel profondo. Sommariamente, però, potremmo dire che ciò che conta è che la giocatrice finisca per pensare all’incirca: “Se ce l’ha fatta lei, allora posso farlo anch’io”.
E’ il punto di partenza determinante, rafforzato dal fatto che l’obiettivo raggiunto dalla propria connazionale non è più astratto, è diventato reale. E se poi, oltre a questo, si instaura un meccanismo di superamento reciproco dei limiti, allora il progresso è ancora maggiore.”

Rimando all’articolo del 2015 per gli approfondimenti, che cercavano anche di evitare generalizzazioni eccessive e criteri interpretativi troppo sommari. Quello che invece vorrei fare oggi è ragionare in termini di movimento per provare a capire se nel prossimo futuro si potranno verificare altre affermazioni “nazionali”.
Lascio da parte il caso italiano, che penso sia conosciuto da chi legge Ubitennis, con il problema evidente di una generazione straordinaria che sta arrivando alla conclusione del proprio ciclo per ragioni anagrafiche. Ho scelto invece altre nazioni che mi pare abbiano la possibilità di riproporre quella spirale virtuosa che spinge le giocatrici a migliorarsi reciprocamente.

Progressi per team potrebbero verificarsi in diversi paesi, anche perchè Stati Uniti, Repubblica Ceca e Russia hanno movimenti molto profondi, ricchi di ricambi. Ma non si possono dimenticare Romania (con Halep, Niculescu, Mitu, Dulgheru), Ucraina (Svitolina, Tsurenko, Bondarenko), Cina, e perfino Canada.
In questa occasione, però, ho scelte altre sei nazioni che, anche se a livelli diversi, mi sembrano in una fase evolutiva particolarmente interessante.

Giappone
Misaki Doi, Kurumi Nara, Nao Hibino. Tutte e tre in crescita nel 2015: chissà che non riescano a spingersi ulteriormente in alto, proponendo finalmente una presenza a buoni livelli di tenniste giapponesi dopo il caso del tutto particolare di Kimiko Date.

Inghilterra
L’Inghilterra degli ultimi anni è stata una squadra sfortunata e incompiuta, con due giovani giocatrici come Heather Watson e Laura Robson che alla fine del 2012 nel giro di poche settimane erano state protagoniste di un significativo salto di qualità, poi non confermato nelle stagioni successive. La causa: i problemi fisici che hanno penalizzato entrambe, in particolare il polso di Robson, la giocatrice con più potenziale, e che secondo me aveva tutte le carte in regola per diventare come minimo una stabile top ten del tennis femminile.
Forse anche per la mancanza dello stimolo di Robson, Watson si è un po’ persa, ma l’affermazione di Joanna Konta potrebbe rimettere in moto il processo positivo bruscamente interrotto tre anni fa.

Svizzera
Timea Bacsinszky e Belinda Bencic, recenti top ten, sono un mix di maturità e freschezza. E si stanno affermando anche come team di Fed Cup, grazie alla presenza di una doppista di super lusso come Martina Hingis. Al momento l’incognita sono le condizioni fisiche di Bacsinszky, che ha concluso il 2016 in Lussemburgo con una lesione ai legamenti del ginocchio che le ha compromesso la preparazione durante l’off season. Ma si può sperare che Timea trovi la forma durante la stagione, e che insieme a Bencic confermi le potenzialità di crescita reciproca.

Spagna
La Spagna vive una situazione molto simile a quella svizzera: da una parte la maggiore esperienza di Suarez Navarro, dall’altra il forte impulso della gioventù di Muguruza. Al di là degli alti e bassi quasi inevitabili nei processi di crescita, direi che sul lungo termine le prospettive di miglioramento ci sono tutte.

Francia
Dopo il ritiro di Amélie Mauresmo, Cornet e Rezai non erano riuscite a sostenere un solida fase di ricambio; mentre Marion Bartoli era sempre stata una figura del tutto indipendente rispetto alle connazionali, con in aggiunta continui attriti a livello federale. La mia impressione è che le cose potrebbero avere preso finalmente il giusto indirizzo grazie a Kristina Mladenovic e Caroline Garcia. Praticamente coetanee (ventiduenni, cinque mesi di differenza) la loro presenza potrebbe mettere in moto il classico meccanismo di spinta reciproca, con progressi in parallelo; tanto per cominciare negli ultimi mesi hanno assunto la leadership del movimento e ottenuto ottimi risultati in Fed Cup. E chissà che sulla loro scia non seguano altre giovanissime come Océane Dodin.

Germania
La Germania potrebbe vivere una vicenda di crescita simile a quella dell’Italia: agli inizi la stabilità fra le prime 15-30 del mondo con giocatrici come Petkovic e Lisicki. Poi i successi in tornei di medio livello (anche per merito di Goerges e Barthel) e la presenza sempre più frequente nella seconda settimana degli Slam; seguiti dall’ingresso in top ten (con Kerber e Petkovic). Infine il grande traguardo: la vittoria in un Major da parte di Angelique Kerber.
Il tennis italiano ha saputo aggiungere al successo parigino di Francesca Schiavone quello di Flavia Pennetta a New York. Non penso si possa escludere che qualche giocatrice tedesca sia in grado di ripetere l’impresa di Angelique: l’età delle protagoniste lascia pensare che abbiano davanti ancora diverse stagioni per sperare di doppiare il successo nello Slam; e del resto Lisicki vanta già una finale a Wimbledon 2013.
In più, per il futuro, a differenza del tennis italiano, si affaccia una generazione di giocatrici più giovani su cui provare a costruire il ricambio (Beck, Friedsam, Witthoeft etc.).

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