Thomas Fabbiano in esclusiva per Ubitennis

Interviste

Thomas Fabbiano in esclusiva per Ubitennis

Grazie ad un eccellente inizio di stagione Thomas Fabbiano è ormai prossimo all’ingresso entro i primi cento giocatori del mondo. Un grande traguardo per un ragazzo capace di esibire davvero un bel tennis. Lo abbiamo intervistato e ci ha raccontato un po’ di sé e di questo suo momento d’oro. Con uno sguardo rivolto a ciò che di bello deve ancora venire…

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Centosettanta centimetri, circa, misurati da testa a piedi. Non fosse per l’inconfondibile sacca che ne asseconda il perpetuo girovagare per i playground di mezzo mondo, più che un valoroso adepto dello sport gentile che fu di Bill Tilden potrebbe quasi sembrare uno di quei ginnasti agili e scattanti che di anelli e volteggi fanno una irrinunciabile ragione di vita. Oppure uno di quei compatti grimpeur colombiani discesi dagli altipiani che tradizionalmente infiammano l’asfalto alpino nei mesi in cui l’Italia del pedale si tinge di rosa. Invece Thomas Fabbiano da Grottaglie, Puglia, di professione fa proprio il tennista. Protagonista un po’ in miniatura di una generazione piena zeppa di ragazzotti slanciati e filiformi che in quanto a leve e forza bruta possono contare solitamente sull’incondizionata generosità di madre natura.

Per Thomas, invece, le certezze sono tutte riposte in un motto ed in quella piccola fantomatica botte che la cultura popolare considera depositaria del vino più buono. Magari di quel Primitivo che fa di Manduria, città non a caso, un inconfondibile simbolo del made in Italy come pian piano si accinge a diventare il primattore della storia tutta tricolore che abbiamo il piacere di raccontare. E se la fama che accompagna oggigiorno Fabbiano ancora non eguaglia in quanto a numeri e risonanza quella del celebre nettare tarantino, questo primo scorcio di 2016 lo ha comunque proiettato di diritto entro una nuova e più entusiasmante dimensione tennistica. Insomma, Tommy finalmente si è fatto grande.

Già, intanto perché a Chennai, subito in gennaio, provenendo dal purgatorio delle qualificazioni ha centrato il primo quarto di finale della carriera in un torneo ATP, lui che prima di allora una partita del circuito maggiore ancora non era riuscito ad aggiudicarsela. Una settimana davvero eccellente la sua, condita tra l’altro dallo scalpo prestigioso di un vecchio marpione come il lussemburghese Gilles Muller, uno abituato da tempo a stazionare nei piani alti della classifica. Serafico big server sinistrorso, dal tennis educato e demodè tutto insieme, che i campi veloci trasformano in una sempre disagevole gatta da pelare. Buona, e non era affatto scontato, anche quella che il maestro Rino Tommasi avrebbe definito senza indugi “prova del nove”. Nel day after, infatti, al cospetto del funambolico transalpino Benoit Paire – artista redento sulla via della concretezza che quando scende dal letto con il piede (ed il piglio) giusto è capace di scampoli di tennis elettrizzante – Thomas, pur nella sconfitta, non ha affatto sfigurato esibendo in più riprese quell’intensità di gioco che ne costituisce la riconoscibilissima cifra stilistica.

Gli ottavi di finale successivamente strappati in Dubai, e adesso siamo in febbraio, gli sono valsi innanzitutto l’approdo entro i primi 130 giocatori del mondo, un gran bel balzo. Primizia assoluta in una carriera professionistica iniziata in punta di piedi ormai una decina d’anni or sono, come tanti, sui campi spelacchiati di un anonimo future romano. Sotto gli occhi distratti dello sceicco Mohammed bin Rashid, prima dell’eliminazione rimediata per mano dell’omonimo spilungone ceco Thomas Berdych – che per molti sarà anche il solito “Perdych” ma resta pur sempre un giocatore coi fiocchi – Fabbiano a riprova di una maturità tutta nuova ha regolato senza colpo ferire un tipo tosto come Leonardo Mayer. L’argentino, bene dirlo, non è propriamente l’ultimo arrivato se si pensa che non più tardi di una dozzina di mesi fa, spinto da quel suo bel rovescio monomane a rischio estinzione alla stregua del panda gigante, sfiorava l’approdo tra i migliori venti giocatori del pianeta e ora si barcamena intorno ad una più che onorevole cinquantesima piazza.

Piccolo peccato veniale di questo inizio d’anno, tanto per fare un po’ le pulci al nostro eroe, il mancato ingresso nel main draw dello Slam down under, teatro di una bruciante sconfitta (più per il clima torrido di Melbourne Park, in realtà) contro il non irresistibile, e monosillabico, cinese Di Wu. Uno del quale con tutta probabilità difficilmente ne sentiremo ancora parlare. Pazienza, succede anche ai migliori.

Tuttavia il primo amore non si scorda mai. Così almeno canta il buon Enrico Ruggeri. Ed è quello che deve aver pensato proprio Fabbiano quando, dopo qualche accesso mancato nei tornei ATP, ha deciso coscientemente di ripartire sulla strada della consacrazione sportiva attraverso le paludi del Challenger Tour. Più un altro sport che un ridimensionamento, dove l’opulenza non sta di casa e la spesa, sovente, eccede la resa.

Correva l’anno 2013 quando in quel di Recanati – città che non di sola poesia ama essere ricordata – Thomas si aggiudicava il primo Challenger della carriera garantendosi con esso una classifica nei dintorni dei primi duecento e, soprattutto, la consapevolezza di poter ambire ben presto a palcoscenici più prestigiosi. Per tornare ora alla più stretta attualità senza perdere di vista quello che è il filo conduttore, a distanza di due anni e quasi diecimila chilometri, nel remoto meridione cinese di Zhuhai – un milione abbondante di abitanti stipati lungo la costa del Gauangdong – Thomas, a conferma di una ritrovata confidenza, ha saputo alzare al cielo un trofeo che non sarà quello dei Moschettieri ma in questo preciso momento storico assume lo stesso peso specifico del piombo. Recanati finalmente non è più sola e con la razzia di punti compiuta nella terra che fu di Mao Zedong l’italiano ha ritoccato ulteriormente il personalissimo best ranking spingendolo a ridosso della fatidica quota cento. Spartiacque per il tennis che conta, pratico e psicologico in egual misura, nonché lasciapassare (quasi) permanente per l’ingresso nei tornei del circuito maggiore attraverso la porta principale. Senza più quella spada di Damocle pendente sulla testa chiamata qualificazioni.

E il pensiero corre svelto all’operato encomiabile di Coach Fabio Gorietti che, risultati alla mano, sembra tagliato su misura per traghettare i propri assistiti nel gotha del nostro sport preferito. Ad un anno esatto dall’exploit compiuto da Luca Vanni – per lui, lo ricordiamo, finale ATP a San Paolo, la Top100 e la prima convocazione in Coppa Davis – facendo tutti gli scongiuri del caso potrebbe dunque essere questa la volta buona per Thomas. Non a caso compagno di team del gigante aretino sotto l’egida del comune allenatore dei miracoli. Il Meo Sacchetti del tennis, per azzardare un parallelismo con una bella storia dello sport con la palla a spicchi.

Un po’ di amarcord. Fabbiano e il tennis è una bella storia d’amore che ha radici lontane. Nato quasi ventisette primavere fa da mamma Giovanna, estetista, e papà Stefano, dottore, Thomas si diletta con la racchetta dalla tenera età di quattro anni. Valentina, la sorella, è studentessa così come Roberto, il fratello, che tra un impegno e l’altro si occupa, per usare le sue stesse parole, di tutto ciò che rappresenta il “fuori campo”. Pugliese di sangue e romano d’adozione e residenza, Fabbiano – che attualmente si allena presso la Tennis Training di Foligno – oltre a districarsi meravigliosamente con racchette e palline si dimostra sportivo a tuttotondo grazie anche ad un insospettabile background da sciatore. Se lontano dal campo Fabbiano ama passare del tempo in compagnia degli amici o con un libro per le mani, un po’ come tutti i coetanei del resto, è quando tra lui e l’avversario si infrappone una rete che emerge una auspicabile atipicità. Il tarantino, infatti, è un giocatore per certi versi un po’ inconsueto di un panorama tennistico oltremodo stereotipato e che troppo spesso ci ha abituato a propinarci noiosamente atleti dalle gestualità tutte uguali tra loro.
Tecnicamente è dotato di un colpo nettamente più performante, il diritto, e di un aspetto del gioco, la risposta al servizio, da primo della classe. A ciò unisce fondamentali di buona affidabilità come il rovescio – portato con buona naturalezza a due mani come la stragrande maggioranza dei colleghi – che trova l’apice di rendimento soprattutto in fase di rimessa, ed il servizio, preciso più che dirompente, a cui poter chiedere nel corso del match percentuali praticamente bulgare (la seconda palla non la gioca praticamente mai) piuttosto che punti diretti.

Dal punto di vista della tattica, invece, Fabbiano risulta essere più un incontrista abile nell’appoggiarsi alla palla avversaria che un vero e proprio produttore di gioco. Anche se sul lato destro, dove ha la marcata tendenza a spostarsi per giocare uno sventaglio di tutto rispetto, il punch è di quelli che alla lunga lasciano il segno. Se la potenza nei colpi non rappresenta il marchio di fabbrica del suo modo di intendere il gioco, un siffatto deficit viene comunque colmato grazie ad uno spiccato senso dell’anticipo, favorito da una naturale posizione sul campo piuttosto avanzata e da piedi che cercano la palla con buona velocità. La potenza, così almeno afferma il claime di una nota casa di pneumatici, è nulla senza il controllo. Molto condivisibile. Diversamente uno come Ray Sugar Leonard non avrebbe sconfitto Marvin Hagler, il meraviglioso, e la “formichina” Fabbiano non sarebbe lì dove è arrivato oggi.

Compatto e brevilineo, se non tira più forte dell’avversario sicuramente colpisce prima, col risultato che, dei due, è spesso il pugliese ad esercitare la maggior pressione. Suole inchiodate alla riga di fondo campo, qualche mezza-volata in stile Davidenko e l’intensità come fonte preferenziale di punti, ne fanno pertanto più un Michelino Chang da cavatelli con le cozze che da banane e riso basmati. Ovviamente ci si scherza su, ma di molto più serio c’è che Fabbiano piuttosto che sfondare, come insito nel credo tennistico dei moderni corri-e-tira, ti cucina a fuoco lento. Tipico contrattaccante da fondo, utilizzando sempre il colpo più indicato alla situazione contingente costringe il rivale a doversi sudarsi ogni singolo quindici e assoggettandolo ad un ritmo via via sempre più incalzante ne provoca l’errore.

Che dire ancora, se non che a tennis Tommy sa giocare bene oltre la media e col supporto di una condizione psico-fisica ottimale come quella esibita in questi ultimi mesi il nostro portacolori – al momento n.6 d’Italia – è destinato a scrivere pagine alquanto interessanti per il tennis di casa nostra. Magari proprio nel “Mille” romano, torneo in cui più di ogni altro vorrebbe lasciare il segno. Benché lontano da quei veloci campi in cemento che sembrano proprio esaltarne maggiormente le potenzialità.

Bravo, vincente e, una rarità, anche molto disponibile. Durante la trasferta nel remoto continente asiatico, Fabbiano, nonostante le incombenze agonistiche e le differenze di fuso con l’Italia, ha comunque trovato il tempo e la voglia per scambiare quattro chiacchiere con noi di Ubitennis. Ovviamente non ce lo siamo fatti ripetere due volte e quella che segue è il risultato della nostra conversazione… SEGUE A PAGINA 2

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