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Marion Bartoli e il peso delle parole

La solitudine, le vittorie e le sconfitte, la sete di rivincita e le malattie: la storia di Marion Bartoli e cosa ci insegna

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Marion arriva da un anno difficile in cui non ha mai superato i quarti di finale. Si è separata dal padre come coach ed è seguita da Mauresmo. I genitori stanno divorziando e lei si sente “misera, sola, stanca e triste”. Prega Dio e desidera solo di essere felice da quel momento in poi. Arrivano dunque le due settimane di Wimbledon. Il tabellone si apre clamorosamente, dalla sua parte escono tutte le teste di serie principali, dall’altra Lisicki elimina Serena Williams fra lo stupore generale. Si arriva alla finale; questa volta è Marion quella con esperienza, è lei quella che sa come si sta in finale a Wimbledon. La francese ce la fa, in una finale brutta e costellata d’errori. È l’apoteosi, il trionfo che mancava in una carriera che nessuno credeva potesse arrivare a tanto. Marion è appagata e felice, sente di aver spremuto il suo talento fino all’ultima goccia ed il peso degli allenamenti estenuanti portati avanti per anni e anni si fa sentire. Un mese dopo la vittoria, arriva la decisione di appendere la racchetta al chiodo per sempre.

Ma durante quel Wimbledon ci fu un altro commento, simile a quello francese di tre anni prima, che porterà l’attenzione sulla figura di Bartoli e che farà volare una testa alla BBC. Il veterano della tv inglese John Inverdale infatti commenta: “Mi chiedo se il padre le abbia mai detto: guarda Marion, non sarai mai bella, non sarai mai avvenente. Non sarai mai la Sharapova o una ragazza con le gambe lunghe, quindi devi riuscire a compensare in qualche modo”. In Gran Bretagna succede il finimondo, negli anni successivi la conduzione dell’appuntamento serale di Wimbledon passa a Clare Balding. Del caso se ne parla e se ne scrivono articoli in Gran Bretagna, in Francia, in America. Marion è costretta a difendere il suo corpo dalle domande della stampa. Dice di fregarsene completamente: Tutto quello che mi importava era far scrivere il mio nome su quel trofeo. Del resto? Non m’importa. Guardate pure il mio corpo. Non cambierà il fatto che io abbia vinto Wimbledon”. I commenti su Twitter impazzano: “Bartoli sembra un incrocio fra un uomo ed una scimmia” e “una brutta come la Bartolì non merita di vincere” e ancora “mi spiace per i presentatori che dovranno scambiarsi dei baci con quel maiale brutto e grasso della Bartoli” e decine di commenti indecorosi che invitano a controllare che la Bartoli abbia organi femminili e non sia un uomo. Marion dice di fregarsene, eppure qualcosa cambia.

L’obiettivo della sua vita è stato raggiunto, bisogna trovare nuove motivazioni, nuovi perché. Marion continua ad essere impegnata nel mondo tennistico, da commentatrice, e inizia anche una sua linea di vestiti sportivi e disegna e produce e, soprattutto, si trasforma. Mese dopo mese perde il fisico che le permetteva di colpire la palla con tanta forza e diventa sempre più irriconoscibile agli occhi degli appassionati. Emergono delle foto che la ritraggono scheletrica, deperita. Iniziano a girare voci sul suo stato di salute, preoccupazioni legittime unite ad altre cattiverie gratuite. Marion però pare essere felicissima e orgogliosa del suo nuovo fisico. Posta continuamente scatti su Instagram, rilascia interviste in cui parla della nuova versione di sé stessa, finalmente “attraente”.

Arriviamo quindi a giugno. Il 18 esce una sua intervista al Dailymail, ritwittata da Marion. Il titolo ha un’accezione positiva: “Non sarai mai bella… erano le famose parole di John Inverdale usate per descrivere la campionessa di Wimbledon 2013 Marion Bartoli. Beh, guardatela ora”, l’articolo un po’ meno. Il giornalista pare preoccupato: “Per quanto Marion stia bene nelle foto, sembra esausta. Nello studio trema, si muove a passo di lumaca. Dice che anche fare le foto le sia costato fatica”. Marion sostiene che le sue sessioni in palestra, cinque a settimana, siano l’unico momento rilassante della sua vita: “Quando giocavo mangiavo carboidrati e bevevo bevande gassate per darmi energia. Ora mangio solo verdure, cereali e frullati proteici. La mia percentuale di grasso corporeo è al 9% e ne sono felicissima, ho perso 30 chili! Ma non me ne faccio una malattia, anche se arrivassi al 12% di grasso non sbatterei certo la testa al muro”. Per una donna della sua età, una percentuale sotto il 15-20% è definita preoccupante. Ma lei ne è soddisfatta, continua a dire che le parole di Inverdale non hanno importanza e che i giudizi del pubblico sono sempre troppo critici per potersene occupare. Eppure ritorna alla mente quel suo motto, ribadito nell’articolo: “Dimmi che non posso e ci riuscirò”, che richiama così da vicino il titolo dell’intervista. Che, come detto, lei condivide nonostante all’interno si esprima un certo allarme sulla sua salute.

Si arriva finalmente a Wimbledon, un posto ricorrente nella vita di Marion. I dottori del torneo la escludono dal doppio delle leggende: troppo magra, la sua salute è a rischio. Esplode il caso, Marion non parla per i primi giorni, per poi rilasciare un’intervista alla BBC. Emerge dal nulla, d’improvviso, un virus innominato e sconosciuto, che ha da febbraio e che ha causato la perdita di peso e che non le permettere di mangiare nulla se non insalata, e che le incute paura per la sua stessa vita. La spiegazione risulta inevitabilmente improvvisata, messa su all’ultimo, dettata dalla necessità di dover spiegare qualcosa che è diventato troppo grande da passare inosservato. Lo staff dichiara che verrà presto ricoverata in una clinica italiana per provare a riprendersi.

La sensazione è quella che Bartolì abbia un problema psicologico prima che fisico e che la pressione di dover raggiungere un obiettivo e di dover nuovamente provare ai critici che si sbagliavano su di lei e che lei poteva essere anche bella e attraente e con le gambe lunghe, stia minando la psiche della francese. La speranza è che Marion si riprenda, che queste siano solo supposizioni e che forse abbia davvero questo virus da cui poter guarire. La lezione però, se dobbiamo impararne una, è che le parole pesano. Gli atleti sono personaggi pubblici; sembrano distanti, lontani, immuni a critiche e commenti, ma gli atleti sono persone. Persone come noi, come voi. Persone con il loro carattere e con le loro fragilità. Questo non vuol dire che per salvaguardare la loro tranquillità si debba mentire: è perfettamente legittimo esprimere dubbi sulla forma fisica di un giocatore, non si deve morire di politicamente corretto. Non è legittimo però insultarli per questo, non è legittimo sostenere che sembrino animali, non è legittimo dirgli che sono troppo brutti per vincere. Non lo è per noi che abbiamo un impatto limitato ai nostri conoscenti e followers virtuali e non lo è a maggior ragione per chi riveste un ruolo pubblico. Eppure la lezione è lontana dall’essere imparata. Su Youtube ci sono video, anche con centinaia di migliaia di visualizzazioni, che vorrebbero provare che le sorelle Williams siano uomini o al più transessuali. E commenti, per carità sparuti rispetto alla maggioranza, su ogni sito di ogni quotidiano del mondo che apostrofano Serena come uomo, come scimmia e gorilla e così in un’escalation di degrado e, francamente, tristezza.

Se non possiamo controllare il comportamento degli altri, possiamo però regolare il nostro. Ricordiamoci che i tennisti, anche i più celebri, sono esseri umani con una connessione ad internet come noi. E chiediamoci se ci farebbe piacere subire lo stesso tipo di insulti e umiliazioni, sotto gli occhi del mondo. E a Marion, quello che possiamo dire è: Allez!

Lorenzo Dicandia

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