Bernard Tomic e l'eterno ritorno dell'uguale. Sarà così anche nel 2017?

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Bernard Tomic e l’eterno ritorno dell’uguale. Sarà così anche nel 2017?

Il primo e autentico bad boy australiano pare essere intenzionato a ripartire davvero da zero nella prossima stagione. Ma Bernard Tomic ci ha ingannato troppe volte: c’è da credergli?

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“Cambia il tempo, ma noi no” recita una celebre canzone di Fiorella Mannoia e sembra, sebbene riferita alle donne, perfetta per descrivere la carriera di Bernard Tomic. La Mannoia e il bad boy australiano: un connubio assurdo. Chi mai potrebbe immaginare Tomic, abituato a sfrecciare sulla Golden Coast a bordo di bolidi di ogni tipo e persino arrestato per essersi rifiutato di abbassare il volume della sua musica in una camera d’albergo, che ascolta una canzone di gusto così retrò? Eppure Tomic, che è la quintessenza dell’immaturità propria dei giovani, che si esprime nelle provocazioni quasi irriverenti rivolte almeno un paio di volte a Federer, nel linguaggio colorito e in moltissime altre forme, è dal punto di vista tennistico un giocatore vintage, che rimanda ogni tanto al gioco cadenzato e più blando di un’epoca ormai lontanissima.

È alto quasi due metri, eppure il suo tennis è quanto di più lontano ci sia dalla definizione di bombardiere: servizi  spesso di puro piazzamento e manovre avvolgenti imposte dai suoi slice velenosi e radenti, alternati a qualche rara e brutale accelerazione da fondo, del tutto priva di topspin. Al braccio dell’australiano non manca praticamente nulla, le gambe e l’atteggiamento sono però gli stessi dal 2011, anno della sua esplosione a Wimbledon, ad oggi. È passato un lustro ormai ed il copione è sempre lo stesso: dichiarazioni roboanti nella pre-season (e anche quest’anno non fa eccezione) a cui fanno seguito prestazioni più che decorose in patria, dove tra Brisbane, Sydney e Melbourne racimola buoni piazzamenti con ottima continuità. È dalla stagione americana che spesso iniziano i problemi, siano essi l’arresto sopra accennato a Miami, la famosa scampagnata contro Nieminen ormai prossimo al ritiro, l’infortunio al polso, la polemica con Kyrgios prima di Indian Wells, il ritiro per un misterioso mal di denti poco prima di disputare un quarto di finale a Key Biscayne.

Poi puntuale arriva la terra rossa, dove le statistiche sono impietose (poco più del 35% di vittorie), ma non sfigurano di fronte alla qualità del gioco che propone l’australiano su questi campi, sui quali non vengono certo esaltati i suoi punti di forza e mai potranno se l’atteggiamento sarà quello esemplificato dall’episodio avvenuto a fine match contro Fabio Fognini a Madrid. Terminata la solita indolente primavera, spesso si rifà vivo sull’erba, sua superficie naturale, dove, pur non avendo più ripetuto la cavalcata fino ai quarti del suo esordio, ha comunque raccolto risultati maggiormente in linea con il suo potenziale (si ricordano in tal senso i due ottavi di finale ai Championship nel 2013 e nel 2016 e la semifinale al Queen’s). Dopo la stagione sul verde, l’andamento di Tomic storicamente prosegue tra i soliti alti e bassi: qualche vittoria minore (due ATP 250 vinti consecutivamente a Bogotà tra 2014 e 2015), pochi acuti (si ricordano un grande primo set contro Djokovic versione Robocop nel 2015 in un buon torneo di Shanghai e i quarti a Cincinnati quest’anno) e tanti bassi, soprattutto a New York, dove colleziona primi e secondi turni, perdendo anche da Dzhumur su una superficie piuttosto rapida.

Negli anni la posizione finale è spesso cambiata. Chiude questo 2016 al numero 26, in calo di 8 posizioni rispetto al precedente, comunque ben più in alto rispetto al 2013 e al 2014, quando pure per qualche infortunio di troppo si era assestato attorno alla cinquantesima, ma paradossalmente si è abbassata la percentuale di vittorie rispetto agli altri anni (quest’anno è al 55%, minimo storico dal 2011). Al di là del dato appena menzionato, che rimane piuttosto significativo, è il gioco di Tomic a rimanere sempre lo stesso: il servizio è il suo miglior colpo, il pilastro attorno cui costruire tutto il resto, ma a parte i tanti punti guadagnati dalla solida battuta, da fondo il suo tennis rimane un ibrido poco produttivo e abbastanza improvvisato. Infatti, al di là delle variazioni che sfrutta sapientemente e gli regalano una buona quantità di errori provocati, in spinta il tennista australiano non fa male e quando alza i ritmi troppo spesso va fuori giri; a tutto questo bisogna aggiungere che anche quando ha il pallino del gioco in mano, quasi mai va a raccogliere a rete, dove, sebbene non manchi di manualità, arriva spesso in ritardo e non brilla per reattività.

Alla luce delle analisi fatte, risulta difficile pensare che questa volta il giocatore di Stoccarda terrà fede alla dichiarazione fatta pochi giorni fa e questo non solo per i suoi limiti caratteriali; davanti a lui ci sono giocatori che hanno, oltre ad una diversa predisposizione al sacrificio, un fisico più adatto e un gioco meno complicato. Aspettarsi un Tomic tennisticamente molto diverso da quello visto fino ad ora forse è assurdo quasi quanto immaginarlo ad ascoltare Fiorella Mannoia; probabilmente il primo a saperlo e ad essersene fatto una ragione è lui stesso ed è per questo che al di là di qualche sparata a inizio anno, a marzo lo si trova sempre coinvolto in qualche notte brava, in allegra compagnia a sorseggiare qualche cocktail, sballandosi sotto le note sparate a tutto volume di “A little party never killed nobody”, come gli si addice.

Daniele Calligaris

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