Nei dintorni di Djokovic: i perché del tiepido saluto serbo ad Ana Ivanovic

Nei dintorni di Djokovic

Nei dintorni di Djokovic: i perché del tiepido saluto serbo ad Ana Ivanovic

Il ritiro della tennista serba Ana Ivanovic ha suscitato molto stupore in patria. Ma la sensazione è che la 29enne belgradese non fosse amata come altri campioni del suo paese. Per diversi motivi

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Ana Ivanovic: un tentativo di valutazione storica

L’improvviso addio al tennis agonistico di Ana Ivanovic ha suscitato molta sorpresa anche in Serbia, patria di origine dell’ex n. 1 del mondo. Da quanto si è letto nei giorni successivi all’annuncio del ritiro, proprio nessuno a Belgrado e dintorni si aspettava che la 29enne belgradese decidesse di appendere la racchetta al chiodo.

Le reazioni in patria non sono state però caratterizzate da particolare calore nei suoi confronti. Ci sono stati ovviamente i doverosi ringraziamenti da parte delle istituzioni. Ana Ivanovic è stata citata e ringraziata per quanto ha fatto per lo sport serbo nella sua carriera dal premier serbo Vucic, nel suo consueto discorso di fine anno alla stampa nazionale, e altrettanto ha fatto la Federtennis serba con un comunicato ufficiale. Anche il suo primo club, il TK Partizan di Belgrado (di cui avevamo parlato tempo fa, dato che è stato anche il primo club di Novak Djokovic), l’ha salutata con un messaggio sul proprio sito, sottolineando con orgoglio il fatto che la carriera di Ana sia iniziata indossando i colori bianco-neri del sodalizio della capitale serba. Ma, nel complesso, la sensazione è che in patria la campionessa del Roland Garros 2008 fosse sì apprezzata, per le vittorie e il conseguente lustro dato al tennis e a tutto lo sport della nazione balcanica in questi anni, ma non amata. Insomma, per i serbi Ana Ivanovic non è certo Novak Djokovic – ovviamente con le dovute proporzioni in termini di successi ottenuti – ma neanche Jelena Jankovic, che da quanto si legge sembra seguita con più calore dai suoi connazionali.

Tanti gli aspetti che possono aver influito in questo senso. Innanzitutto, il carattere riservato di Ana e la lontananza dal suo paese. Chi conosce bene l’ormai ex giocatrice serba, la descrive come una ragazza legata alla famiglia e molto riservata. Tanto da aver fatto parecchia fatica, anni fa, prima di convincersi (anche grazie alle insistenze del suo staff e dei colleghi a lei più vicini come Novak Djokovic e Andrea Petkovic) ad entrare nel mondo dei social per interagire con i suoi fans, come ormai viene richiesto agli sportivi di alto livello. Ana inoltre è da parecchi anni che vive all’estero (è residente a Berna, in Svizzera), praticamente poco dopo che, quindicenne, fu scoperta da quello che sarebbe diventato il suo manager, creando appositamente una società per gestirla, l’imprenditore svizzero Dan Holzmann. Non hanno poi giovato al suo rapporto con l’opinione pubblica serba i frequenti forfait in Federation Cup, l’ultimo dei quali proprio la scorsa primavera, e probabilmente anche lo scarso feeling con l’altra grande campionessa serba di questi anni, Jelena Jankovic. Tanto che in Serbia c’è anche chi ha subito sottolineato come dei suoi colleghi connazionali solo Janko Tipsarevic e Aleksandra Krunic si sono affrettati a mandarle ufficialmente il loro saluto. E che neanche il suo amico Novak Djokovic si è fatto subito vivo. Anche se, a onor del vero, una delle prime a mandare un messaggio alla tennista belgradese è stata proprio la moglie di Nole, Jelena Ristic.

Insomma, un addio che in Serbia ha sorpreso, dispiace, ma che pare verrà dimenticato in fretta, senza particolare tristezza. Forse perché, tornando al discorso della lontananza, come cantava il grande Domenico Modugno: “La lontananza sai è come il vento. Che fa dimenticare chi non s’ama”. O, nel caso di Ana, rende meno amato chi è sempre distante. Sia caratterialmente che chilometricamente. “Il mio aspetto mi ha ostacolato nella carriera” ha dichiarato proprio in questi giorni la Ivanovic al Times, parlando del grande interesse suscitato a livello mediatico dalla sua indubbia bellezza, tanto da oscurare in certi periodi i suoi risultati come tennista. Forse l’ha ostacolata anche nel rapporto con i suoi connazionali, che magari con il tempo l’hanno associata sempre di più allo stereotipo della sportiva ricca, bella e famosa. Una sportiva da ammirare. Ma – appunto – da lontano e con un certo distacco, anche emotivo.

Tanto che vien da pensare: chissà come sarebbe andata se per Ana ci fosse stato più calore e più affetto? Chissà se in quel calore e in quell’affetto la ragazza riservata e fragile, che forse nella riservatezza e nella fragilità cercava anche una difesa da tutto quell’interesse legato spesso solo al suo aspetto esteriore, avrebbe trovato la forza di accettare che faceva parte del gioco e di viverlo più serenamente. Chissà se ciò le avrebbe permesso – magari a livello inconscio – di andare oltre e di riuscire così a sfruttare appieno il suo potenziale come tennista. Ma è inutile pensarci, perché, come ha detto lei stessa nell’intervista citata: “Quando mi guardo indietro e penso che avrei potuto ottenere di più, penso anche che tutto accade per un motivo. Ora è giunto il momento di fare altre esperienze nella vita”. E allora l’unica cosa che rimane da dire è: buona fortuna per il tuo nuovo cammino, Ana.

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