C’era una volta la "Zona Nadal"

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C’era una volta la “Zona Nadal”

Il 2017 ha visto il grande ritorno di Rafa, capace del decimo sigillo al Roland Garros. Ma uno dei suoi marchi di fabbrica sembra scomparso

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Fino a quattro-cinque anni fa, quando Rafa Nadal sulla terra rossa era dominante come nessun altro nella storia (e a tratti anche sulle altre superfici, specie nel 2010 e nel 2013, quando portò a casa tre quarti del Grande Slam), si era soliti citare la famigerata Zona Nadal. Si trattava della parte del match che andava oltre le 3 ore di gioco, quando l’avversario cominciava a dare segni di cedimento e invece il maiorchino offriva, se possibile, il meglio di sé.

Non che quel Rafa ne avesse bisogno, a dire il vero. Quasi sempre chiudeva la pratica prima, ma le poche volte in cui dall’altra parte della rete trovava una strenua resistenza e il match assumeva le connotazioni della maratona, il campione spagnolo alzava ancora di più l’asticella e alle doti di difensore e muro invalicabile univa quelle di atleta inesauribile, capace se necessario di cucinare a fuoco lento l’ avversario prima di sbranarlo di fisico e di testa. Anche sotto 2 set a 1, era sufficiente vedere Rafa portarsi avanti di un break nel quarto parziale per darlo favorito contro chiunque, perché prima o poi chi aveva osato costringerlo agli straordinari avrebbe pagato lo sforzo, mentre Nadal non si sarebbe mai fermato se non per alzare le braccia al cielo e stringere la mano a rete.

Poi, dal 2015, il calo del mancino di Manacor si è riflettuto anche nel braccio di ferro sulla lunga distanza. Detta così, limitandosi alla logica spicciola, verrebbe quasi da dire che è nell’ordine delle cose: se Nadal dal 2015 ha accusato un vistoso e generale calo, ci sta che questo si rifletta anche nei quinti set che ha disputato. Ci sta solo per chi non ha mai visto giocare Rafa Nadal: anche nelle giornate meno brillanti, la capacità di dare il meglio nel set decisivo, offrire il rendimento più continuo e regolare e soprattutto l’animus pugnandi, quello che lo ha reso uno dei più grandi agonisti della storia dello sport, hanno molto spesso visto Nadal essere superiore nel quinto set.

 

Dove saper mantenere profondità di palla, resistenza e buona mobilità contano ma fino a un certo punto. Quando si sono giocati lunghi scambi per 3 o 4 ore, contano di più lucidità mentale e voglia di andare oltre i propri limiti. Non importa se il livello generale è nettamente più basso che in passato: se Rafa Nadal è arrivato a giocarsi tutto nell’arena del quinto set, indipendentemente dal modo in cui ci è arrivato, emerge il toro inferocito che vede rosso e va oltre, si tratti del miglior Grigor Dimitrov di sempre o del Tim Smyczek che al secondo turno dell’Australian Open 2015 indovina una partita irripetibile.

Invece accade che il maratoneta iberico, in una calda serata newyorkese di fine estate 2015, incontra un Fabio Fognini deluxe e dà vita – con la complicità del suo avversario – a un match superbo, per intensità agonistica e livello tecnico. I due se le suonano dal fondo come Marvin Hagler e John Mugabi nel leggendario incontro al Caesars Palace di Las Vegas il 10 marzo 1986. Non basta a Nadal un vantaggio di due set a zero per spegnere quello che è indubbiamente il miglior Fognini mai visto e sul 2 pari, quando sull’Arthur Ashe è notte fonda, a nessuno passa nemmeno per l’anticamera del cervello di abbandonare il suo posto a sedere solo perché il mattino dopo dovrà in qualche modo portare a casa la giornata di lavoro.

Il match si conclude ampiamente dopo le 2 del mattino e per la prima volta in uno Slam Rafa cede dopo aver vinto i primi due set. Non si tratta di nessun cataclisma: tutto sommato Fognini ha giocato una partita perfetta e il campione di 14 Slam è alla fine di una stagione disgraziata. Pochi mesi più tardi, però – gennaio 2016 – debutta a Melbourne contro quel Fernando Verdasco che 7 anni prima, sullo stesso palcoscenico della Rod Laver Arena aveva costretto l’autore della doppietta Roland Garros-Wimbledon 2008 a un’epica battaglia di 5 ore e 14 minuti, prima di cedere al futuro campione del torneo con un atroce doppio fallo.

Ebbene, nonostante sia avanti prima 2 set a 1 e poi 2-0 nel quinto, riesce a perdere 6-2 senza trovare una contromisura alle bordate tirate a occhi chiusi del connazionale madrileno. Qui trovate la cronaca di quel match e anche quella di Ubaldo Scanagatta della ben più nota semifinale del 2009. Dall’Australia agli States, da gennaio a settembre, tocca alla rivelazione degli US Open 2016 Lucas Pouille profanare la sacralità della Zona Nadal. Siamo agli ottavi di finale e Rafa recupera uno svantaggio di due set a uno e si gioca tutto al tie-break decisivo. Lì annulla 3 match point sul 6-3 ma poi, incredibilmente, sparacchia in rete un dritto da metà campo e si consegna all’avversario.

Le due sconfitte più gravi al quinto set sono però proprio quelle di questo 2017, che ha segnato l’ennesimo grande ritorno del campione iberico. La finale dell’Australian Open resterà nella leggenda e sembrerebbe esserci davvero poco da imputare a Nadal contro il ritorno del Re, quel Roger Federer che due mesi dopo a Indian Wells e a Miami segna una clamorosa e netta inversione di tendenza nella rivalità che aveva sempre visto Rafa decisamente superiore negli scontri diretti. Eppure, quel match giocato a livelli siderali da entrambi è la più grave delle sconfitte di Rafa al quinto set.

I tifosi dello svizzero possono subito smettere di gongolare: alzi la mano chi fra loro, quella domenica mattina, dopo aver visto Roger prima avanti due set a uno e poi 2 set pari e sotto di un break nel quinto, non ha mandato al diavolo la sua nemesi mancina, ormai rassegnato all’ennesima beffa. Eppure, per la prima volta in assoluto, Federer ha dimostrato al rush finale di avere più fame di Nadal. Non lo perse Rafa quel quinto set, lo vinse Roger. Esattamente lo stesso, fatte le dovute proporzioni, è accaduto a Wimbledon contro Gilles Muller. Il campione di 10 Roland Garros è stato perfetto in conferenza stampa: Lui ha meritato, ma io c’ero eccome”. Il maiorchino ha giocato un gran match e non ha perso lui l’interminabile quinto set, l’ha vinto Muller.

Questo fattore, paradossalmente, è un’aggravante per il protagonista della Zona Nadal: non ha perso dopo due estenuanti battaglie perché ha sbagliato lui nei momenti decisivi, ha perso perché il suo avversario è stato superiore. Nelle due situazioni di massimo sforzo, fisico, tecnico e mentale, l’asticella non l’ha alzata lui, ma il suo avversario. Il 2017 segna il ritorno stupefacente di Rafa Nadal, ma la “Zona Nadal” non c’è più.

SCONFITTE DI NADAL AL QUINTO SET DAL 2015

  • US Open 2015, 3T
    [32] F. Fognini b. [8] R. Nadal 3-6 4-6 6-4 6-3 6-4
  • US Open 2016, 4T
    [24] L. Pouille b. [4] R. Nadal 6-1 2-6 6-4 3-6 7-6(6)
  • Australian Open 2016, 1T
    F. Verdasco b. [5] R. Nadal 7-6 4-6 3-6 7-6 6-2
  • Australian Open 2017, F
    [17] R. Federer b. [9] R. Nadal 6-4 3-6 6-1 3-6 6-3
  • Wimbledon 2017, 4T
    [16] G. Muller b. [4] R. Nadal 6-3 6-4 3-6 4-6 15-13

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ATP

Roland Garros: Sascha Zverev dal crac ai quarti. L’anno travagliato (con lieto fine) dell’ex predestinato

Battendo Dimitrov il ventiseienne tedesco si è assicurato un posto nei quarti dello Slam parigino contro Etcheverry. Dal tremendo infortunio alla caviglia sono passati poco più di dodici mesi

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Alexander Zverev – Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)

Conciso. Focalizzato, direbbero adesso quelli molto addentro a un certo tipo di questioni. Sascha Zverev concede poco ai giornalisti stranieri nella conferenza stampa seguita al successo negli ottavi del Roland Garros contro Grigor Dimitrov. Quasi nulla, in realtà; tre risposte secche, un osso scarnificato che sa di fretta, perché di altro tempo da perdere ce n’è poco, in fondo all’annus horribilis durante il quale la sua mente dev’essere stata attraversata dai propositi più funesti. “Perché ti sei messo a provare il servizio alla fine del match?“, gli chiedono. “Perché sul 3-0 nel terzo mi sono deconcentrato, ho perso consistenza, mi sono inconsciamente convinto di aver già vinto e il servizio è andato un po’ a spasso. Volevo ritrovarlo, recuperare la confidenza con il movimento prima di andarmene a letto“. Una risposta apparentemente di circostanza e che invece dice tutto: il giovane, o forse ex giovane Sascha non può permettersi di buttare altre chance nel vortice della distrazione o, peggio, dell’autocompiacimento.

Oggi sono un anno e tre giorni da quel nefasto tardo pomeriggio di venerdì tre giugno 2022, campo Philippe Chatrier, tetto chiuso; fuori, diluvia. Dentro, sauna non richiesta. Zverev affronta Rafa Nadal, il presidentissimo della Repubblica della terra battuta, il notabile più in vista del Fauburg Saint-Germain declinato al rosso. Ma parte deciso; deciso a non sperperare l’inaspettato vantaggio delle condizioni indoor e, soprattutto, a non farsi irretire dalla trama delle leggendarie chele avversarie. Sascha prende e tira, mette i piedi in campo, accelera con il rovescio e insomma, anche se si stenta a crederlo, Rafacito annaspa, rema, si contraria. Come sempre, da sempre, avviene quando qualcuno abbia l’ardire di prevaricarlo, e specie a casa propria, Nadal mette in campo l’estrema difesa, rappresentata non tanto da uno dei suoi leggendari colpi, ma dalla trasposizione sul rettangolo dell’immagine di sé stesso che il ragazzo dall’altra parte della rete si è costruito nella mente guardandolo giocare per anni davanti alla tv. Senza apparenti spiegazioni plausibili, in coda a un set dominato sul piano del gioco, Zverev si trova inspiegabilmente a fronteggiare tre set point, ma li annulla con altrettanti vincenti. L’inerzia è forse ancora dalla sua parte, ma, come ha scritto il nostro Vanni Gibertini nella cronaca originale dell’evento, “il tie break della prima frazione è di quelli destinati a farsi ricordare a lungo“. Sascha scappa a martellate sul 6-2, ma contro Rafa un conto è avvantaggiarsi, un altro convertire. Come finì lo sapete tutti.

Eppure, presa una legnata che avrebbe abbattuto un bisonte, in fondo a 91 minuti di un set dominato eppure concluso con un pugno di mosche in mano, il ragazzo di Amburgo si rialza, va avanti 5-3 nel secondo, mentre Rafa litiga con il servizio, ma si fa di nuovo recuperare: 6-5 per lui, 40-30 per la leggenda, che lo attacca sul dritto, a un passo da un nuovo tie-break, e sono già passate tre ore, c’è odore di record di durata. Zverev corre sulla propria destra, prova a tirare un passante complicatissimo, mette male il piede. Urla, disperazione, sanitari in campo, Nadal che lo fissa in piedi, da un metro, con un’espressione sinceramente terrorizzata disegnata in volto. Torneo finito, la carriera chissà. Fino a un istante prima che la sciagura si materializzasse, Zverev era ancora in lizza per diventare il nuovo numero uno del mondo, risultato che i più avevano predetto sin da quando, ragazzino, egli aveva dominato l’importante Challenger di Heilbronn massacrando vecchie lenze del settore come Zeballos, Struff e Guido Pella. Pochi giorni dopo il crack arriverà la conferma: intervento chirurgico in Germania, “riuscito perfettamente”, ma i tre legamenti laterali della caviglia destra sono strappati.

 

Non so quando ritornerò“, il prevedibile commento a caldo, e nessuno, del resto, vista la situazione, si aspettava vaticini di sorta. Un tentativo per lo US Open, ma le complicazioni, dietro a un infortunio tanto serio, sono dietro l’angolo: “Immaginavo di essere pronto per New York – ha in seguito dichiarato Sascha – ma si è presentato un edema osseo, altri tre mesi di stop. Ho pensato di non poter tornare più quello di prima. Forse ho accelerato troppo per volontà di rientrare presto, e allora mi sono detto di staccare, ho fatto le valigie e sono andato in vacanza“. Meglio tornare al lavoro con calma, approcciando pratiche più soft. L’attrezzo del mestiere rimesso in borsa per l’esibizione araba alla Diriyah Tennis Cup e una pesante sconfitta contro Medvedev, poi la vittoria dell’auspicabile rinascita, nella World Tennis League di Dubai contro Novak Djokovic. Un brodino, sì, ma quando si è digiunato a lungo non c’è nulla di più rincuorante.

Gli alti e bassi erano in preventivo, anche se retrocedere di un passettino quando con enormi fatiche se n’era appena fatto uno avanti è complicato da accettare. Inizio d’anno e United Cup, pesante rovescio al cospetto di Jiri Lehecka: “Il mio tennis è molto lontano da dove vorrei che fosse“, dichiara Sascha, il cui orizzonte è di nuovo incupito da nuvole cariche di cattivi pensieri. “Per l’Australian Open non ho nessuna aspettativa“. E in effetti l’inverno si complica: sconfitte al secondo turno a Melbourne contro Michael Mmoh e a Rotterdam contro Tallon Griekspoor; un paio di buone prestazioni, con la semifinale colta a Dubai e un terzo turno a Indian Wells ceduto in volata a Daniil Medvedev, che si rivelerà il crash test primaverile utile a provare i miglioramenti sulla strada del ritorno ai vertici. Un buco clamoroso a Miami, umiliato da Taro Daniel e il cauto approccio alla stagione sul mattone tritato. In mezzo, l’assoluzione per insufficienza di prove dalle accuse di violenza domestica rivoltegli dall’ex fidanzata Olya Sharypova.

Eccezion fatta per il tonfo al primo turno del torneo casalingo di Monaco di Baviera – “fatico a reggere la pressione quando gioco in Germania“, dirà – la stagione sulla terra rossa restituisce piano piano al pubblico una versione credibile di Zverev. La sconfitta a Montecarlo condita da abbondante contorno di polemiche al tie-break del terzo set contro Daniil Medvedev è la prestazione più convincente degli ultimi mesi, e se Carlitos Alcaraz, che gli lascia appena tre game in quarto turno a Madrid insieme a ulteriori dubbi sulla permanenza in vita del suo dritto, è al momento una spanna sopra le possibilità di pressocché chiunque, e un altro ko a Roma contro il futuro campione Daniil Medvedev l’avrebbe volentieri evitato, la sensazione è che Sascha, il ragazzo rientrato in campo sulla sedia a rotelle per salutare Nadal e il pubblico lo scorso, maledetto tre di giugno, sia di nuovo un giocatore di tennis. L’uscita dalla top 20 ATP dopo sei anni di continuativa permanenza è solo il risultato di un calcolo del computer.

Domani affronterà il sorprendente argentino Etcheverry per un posto nella semifinale del Roland Garros. Ad attenderlo ci sarebbe uno dei due vichingi da clay, Casper Ruud oppure Holger Rune. Il risultato, già adesso, a poco più di un anno dal rovinoso infortunio, pare eccezionale. “Ti chiamano leone – la bizzarra domanda di un giornalista nella conferenza di ieri – ti sei mai chiesto perché?“. “Non saprei – la risposta -, forse perché i leoni dormono diciotto ore al giorno e per le restanti sei mangiano o fanno sesso? Mi sta anche bene!“. Probabilmente non sono le uniche caratteristiche che accomunano Sascha nostro al Re della foresta.

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ATP

L’anno del riscatto di Nico Jarry. Chi lo ferma ora?

Nel 2019 si era già affacciato tra i primi 40 giocatori del mondo. Poi la squalifica per doping e una lenta risalita fino alla svolta di quest’anno con il torneo di casa. Gli ottavi a Parigi (affronterà Ruud, battuto pochi giorni fa) non sono una sorpresa

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Nicolas Jarry - Roland Garros 2023 (foto Roberto Dell'Olivo)

Non sono pochi i nomi inattesi che hanno raggiunto gli ottavi di finale del tabellone maschile di questo strano Roland Garros 2023. Ofner è indubbiamente quello più sorprendente, seguito da Varillas, Etcheverry e in parte anche Nishioka, che comunque è accreditato della 27esima testa di serie. C’è poi Nico Jarry: unseeded sì, ma forse la sorpresa meno inaspettata di tutte. Si tratta infatti di uno dei giocatori più in forma del momento e, più in generale, di questa prima metà di stagione e siamo certi che i big abbiano tirato un bel sospiro di sollievo quando hanno visto il suo nome posizionato dal sorteggio ben lontano dal loro. Il cileno, però, pian piano si sta avvicinando a tutte le teste di serie più alte e, anzi, una l’ha già raggiunta: dopo aver superato Dellien, Paul e Giron, agli ottavi se la vedrà infatti con il numero 4 e finalista dello scorso anno Casper Ruud in un match dall’esito tutt’altro che scontato.

Nico viene infatti da sette vittorie consecutive e tra queste ce n’è una ottenuta proprio contro il norvegese. Nell’ultimo torneo prima di Parigi, a Ginevra, Jarry ha giocato un tennis di altissimo livello che gli ha permesso di battere per l’appunto Ruud ai quarti di finale (in tre set) e poi anche Zverev in semifinale e Dimitrov – un altro che sta attraversando un ottimo momento di forma – nell’atto conclusivo del 250 svizzero. Con questa cavalcata degna anche di un torneo di categoria superiore, Nicolas ha conquistato il secondo titolo della stagione: la stagione del suo riscatto. Nella prima classifica del 2023 Jarry era infatti in 152esima posizione, mentre ora è virtualmente tra i primi 30 del mondo.  

IL BEST RANKING NEL 2019 – Già qualche anno fa, nel 2019, il giocatore di Santiago aveva iniziato a respirare l’aria dell’alta classifica: risultati come i quarti a Barcellona, la finale a Ginevra e il successo a Bastad lo avevano portato al numero 38 del ranking. Alto quasi 2 metri e dotato di un servizio molto pesante, si stava costruendo la fama di specialista della terra ad alta quota, dove l’aria è più rarefatta e la palla va quindi più veloce. Tra i suoi primi risultati più importanti, nel 2018, ci sono infatti le semifinali a San Paolo e Kitzbuhel: oltre 700 metri sul livello del mare in entrambi i casi.

 

LA SQUALIFICA PER DOPING – Negli ultimi tre anni, però, di Jarry ci eravamo sostanzialmente dimenticati. Il cileno era infatti letteralmente scomparso dai radar, nel senso che dall’ottobre del 2020 al febbraio 2021 il suo nome non figurava più nel ranking. Mentre tutto il circuito era fermo causa pandemia, Nico scontava infatti una squalifica per doping ed era quindi l’unico a perdere punti in classifica. Il nipote d’arte (suo nonno materno è quel Jaime Fillol ex numero 14 del mondo e in campo anche nella finale di Davis del ’76 vinta dall’Italia di Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli), in realtà, aveva dimostrato la sua innocenza: gli integratori incriminati non erano vietati ma erano stati cross-contaminati alla fonte, cioè in fase di produzione in laboratorio. Nicolas ricevette comunque una squalifica di 11 mesi dall’ITF e decise di rinunciare al ricorso dal momento che, come detto, in quel periodo non si giocava alcun torneo.

LA RIPARTENZA – Ripartire da zero o quasi, però, non è stato affatto semplice: Jarry perse i primi tre match dopo lo stop, a novembre 2020, in un Challenger e in due Futures, cedendo anche a un diciottenne americano numero 980 del mondo. Solo a marzo della stagione successiva Nico ricominciò a ottenere qualche risultato. Lo fece sfruttando l’aria di casa a Santiago: prima onorò al massimo delle sue possibilità in quel momento la wild card concessagli nel torneo del circuito maggiore combattendo per quasi tre ore contro Tiafoe e poi tornò a vincere due partite di fila nel Challenger che si disputava sempre sui campi della sua città.

IL RITORNO AD ALTI LIVELLI – Da lì è iniziata una graduale risalita che ha avuto un’altra tappa fondamentale di nuovo a Santiago, pochi mesi fa. A dire il vero il 2023 di Jarry era già partito con il piede giusto: qualificazione al main draw dell’Australian Open e vittoria al primo turno su Kecmanovic e poi un ottimo percorso nel 500 di Rio de Janeiro interrotto solo da Alcaraz in semifinale (e per giunta dopo tre set). Nella città natìa, però, Nico ha dato la conferma di essere tornato quello del 2019, se non addirittura più forte. Dopo una serie di lotte su tre set ha infatti conquistato il titolo in assoluto più significativo per lui facendo impazzire i suoi connazionali e concittadini sugli spalti.

Nei tornei di Marrakech, Barcellona, Madrid e Roma ha poi attraversato un naturale calo fisiologico, ma a Ginevra il cileno ha ripreso il filo del discorso. Gli ottavi a Parigi, adesso, significano due cose: i geni di nonno Jaime, di cui Nico ha eguagliato il miglior risultato al Roland Garros, hanno funzionato bene e, soprattutto, non si può più dire che Jarry sia solo un giocatore da tornei in altura.

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Flash

Per Nadal il compleanno più amaro, lontano da Parigi

Il campionissimo spagnolo, fermo per un infortunio all’ileopsoas che mette a rischio la sua carriera, non è abituato a festeggiare lontano da Parigi

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Rafael Nadal - Roland Garros 2022 (foto Roberto Dell'Olivo)

A partire dal 2022 la giornata nazionale del tennis in Spagna si festeggia il 3 giugno, non una data casuale, ma il giorno del compleanno di Rafael Nadal.

A onor del vero Rafa non ha festeggiato molti compleanni in terra spagnolo poiché la data della sua nascita cade proprio a cavallo delle due settimane in cui si gioca il Roland Garros. Destino, forse. La sua prima partecipazione allo slam francese risale al 2005 quando, proprio nel giorno del suo diciannovesimo compleanno, si trovò a giocare e vincere la semifinale contro colui che sarebbe diventato poi il suo più grande rivale, e amico, Roger Federer. Fatalità, forse. Due giorni più tardi Rafa vincerà per la prima volta il Roland Garros, sconfiggendo Mariano Puerta.

Da quel giugno 2005 solamente in tre occasioni Nadal non era a Parigi a festeggiare: nel 2009 quando perse negli ottavi da Soderling, nel 2016 quando dovette ritirarsi per un problema al polso e nel 2020 quando non si giocò il torneo causa pandemia. E da quel giugno 2005 è inutile ricordare che per ben altre 13 volte, pochi giorni dopo il suo compleanno, Rafa ha alzato al cielo il trofeo destinato al vincitore, sbriciolando ogni statistica e ogni record Slam, ante Nadal.

 

A pochi giorni dall’inizio del Roland Garros 2023 Rafa ha annunciato che questa edizione non l’avrebbe visto scendere in campo e ha aggiunto che il prossimo anno sarà il suo ultimo anno nel circuito. Ciò significa che il prossimo 3 giugno, infortuni e avversari permettendo, sarà l’ultima volta in cui, nel giorno del suo compleanno, Nadal potrà scendere sulla terra rossa del Philippe Chatrier, mentre tutto il pubblico intonerà per lui “Joyeux Anniversaire”. I francesi, evento raro, l’hanno adottato come fosse un eroe di casa. Una statua campeggia sotto il centrale di Parigi e lì resterà a memoria dell’incredibile impresa sportiva compiuta da Rafa negli anni. Egli ha conquistato l’amore del pubblico non solamente a suon di vittorie, ma anche dimostrando una sportività e un’umiltà fuori dal comune. Il famoso “merci” ai ragazzi che gli passano l’asciugamano o ai raccattapalle, la classe nel non avere mai, nemmeno nei momenti più difficili, distrutto una racchetta, il suo sorriso e la sua disponibilità hanno conquistato il cuore di tutti gli appassionati, anche di coloro che per ragioni sportive hanno poi tifato per un suo rivale. L’immagine di Rafa e Roger che piangono tenendosi per mano nel giorno dell’addio di Federer rimarrà a suggello della fine di un’epoca, scritta da due campioni immensi in campo, e fuori. Ed essere campioni fuori dal campo resta sicuramente la sfida più difficile. Si dice che i grandi sportivi non si ritirano mai davvero. Per questo oggi, mentre Rafa festeggia a Maiorca con la sua splendida famiglia, a Parigi lui c’è e ci sarà finché si giocherà il Roland Garros. Le sue imprese verranno raccontate ai nuovi appassionati da coloro che le hanno vissute e saranno tramandate come una leggenda negli anni. Perché è così che accade ai campioni. 

Chi entrando nello stadio del Santos può non pensare a Pelè? Chi sedendosi sugli spalti di quello che era il San Paolo non si lascia sopraffare dalla nostalgia per le magie di Maradona (ora lo stadio, peraltro, si chiama come lui)? Chi varcando la soglia di Wimbledon non vede Roger danzare sull’erba? Chi nello United Center di Chicago non immagina Michael Jordan volare a canestro? Chi a Misano o al Mugello non si aspetta di vedere un sorpasso impossibile di Valentino Rossi? E così chiunque entri sul Philippe Chatrier avrà sempre l’impressione di poter vedere da un momento all’altro, Nadal correre e combattere per chiudere con un lungo linea impensabile uno scambio che sembrava perso.

Buon trentasettesimo compleanno, Rafa. Parigi ti aspetta per festeggiare con te il prossimo anno.

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