Focus
Tennis e mental coaching: che il flow sia con te
Puntata dedicata ad uno degli argomenti più affascinanti, lo stato di flow, ed al suo stretto legame con ciò a cui ogni giocatore aspira: la peak performance

Parigi, 5 giugno 2010: Francesca Schiavone entra nella storia del tennis. Superando l’australiana Sam Stosur nella finale del singolare femminile del Roland Garros diventa la prima tennista italiana a vincere un torneo del Grande Slam. Dopo l’ultimo errore di rovescio della sua avversaria che le consegna il titolo, Francesca si lascia cadere a terra, incurante della terra rossa che sporca il suo candido completo bianco. Poi, dopo essersi rialzata ed aver ricevuto il meritato applauso del pubblico del Philippe Chatrier, la “Leonessa” corre sulle tribune ad abbracciare il suo team ed i suoi amici, alcuni venuti dall’Italia appositamente per la finale facendole una sorpresa, che per l’occasione hanno indossato una maglietta con la scritta: “Schiavo, nothing is impossible”.
Sì, nulla era impossibile per la Francesca Schiavone di quei giorni. La tennista milanese era in un assoluto stato di grazia, giocava un tennis fantastico, come ben ricorderanno coloro che seguirono la sua vittoriosa cavalcata parigina. Un dato può far capire il livello delle sue prestazioni in quel Roland Garros 2010: dopo aver perso il primo set del match d’esordio contro la russa Kulikova, non ne perse più nemmeno uno in tutto il torneo. Francesca in quelle due settimane a Porte d’Auteuil era entrata nel “flow”.
Probabilmente molti di noi hanno provato almeno una volta nella loro carriera tennistica, indipendentemente dal proprio livello di gioco, l’esperienza del flow, in italiano “flusso di coscienza”, conosciuto anche come “the zone” o “trance agonistica” o “esperienza ottimale”. Hanno vissuto in prima persona quella incredibile condizione psicofisica in cui in campo tutto fluisce senza sforzo apparente, il nostro gioco funziona alla perfezione. Sembra quasi magia: la pallina colpita dall’avversario che arriva piano, così piano da darci tutto il tempo per posizionarci correttamente e colpirla, in assoluta scioltezza e senza il minimo sforzo, avendo la certezza che finirà lì, nel punto più difficile per la ribattuta del nostro avversario. E chi non l’ha provato giocando a tennis, avrà sperimentato in qualche altro ambito della propria vita – nella realizzazione di un progetto o nell’esecuzione di una attività particolarmente impegnativa sul lavoro, durante un allenamento o una gara di un altro sport o mentre si stava dedicando ad un proprio hobby – quello stato di coscienza in cui si è completamente immersi nell’attività che si sta facendo, totalmente coinvolti da essa, focalizzati sull’obiettivo, assolutamente positivi sul raggiungimento del risultato, intrinsecamente motivati e gratificati dallo svolgimento stesso del compito.
Ma cos’è esattamente lo stato di flow?
Il concetto del flow è stato teorizzato negli anni Settanta dallo psicologo americano di origine ungherese Mihaly Csikszentmihalyi (off topic, una piccola curiosità sulla sue origini: nacque nel 1934 a Fiume, al tempo facente parte del Regno d’Italia, per poi emigrare dall’Europa negli Stati Uniti a ventidue anni), che osservò come persone impegnate in attività molto diverse fra loro – l’atleta che migliora il proprio record, il medico che porta a termine una difficile operazione, l’artista che crea una nuova opera, l’architetto che realizza un progetto – descrivevano in modo simile il loro stato mentale in determinate situazioni: ciò che provavano era simile sotto molti aspetti. Definì questo stato mentale flow – flusso, in italiano – in quanto molte di quelle persone paragonavano l’esperienza vissuta ad una corrente d’acqua che li trascinava mentre svolgevano l’attività. Dai suoi studi risulta inoltre che questo stato è caratterizzato da determinate condizioni, nove in tutto, definite da Csikszentmihalyi “le nove dimensioni del flow”:
- Equilibrio tra sfida e abilità – Nello stato di flow le persone percepiscono la situazione come stimolante e sfidante e la sfida è bilanciata dalle risorse individuali.
- Unione tra azione e coscienza – Le persone sono completamente coinvolte nell’azione e ciò le porta a performare in maniera più fluida, evitando la percezione dello sforzo o l’emergere di pensieri esterni.
- Obiettivi chiari – Per vivere lo stato di flow è necessario avere obiettivi chiari, definiti e misurabili, al fine di aumentare la motivazione e il significato dell’esperienza, che porta all’ottimizzazione della performance.
- Feedback diretti e immediati – Durante la performance, la situazione fornisce alle persone un feedback chiaro e immediato utile a monitorare la correttezza del compito in corso al fine di raggiungere gli obiettivi attesi.
- Concentrazione sul compito – La concentrazione è focalizzata sul compito che si sta svolgendo, sul “qui e ora”, non c’è spazio nella mente per elaborare informazioni non necessarie allo svolgimento dell’attività.
- Senso di controllo – Questa dimensione fa riferimento alla percezione delle persone di un senso di controllo automatico e spontaneo.
- Perdita della autoconsapevolezza – Le persone si percepiscono come parte di quello che stanno svolgendo. La loro energia è completamente focalizzata sull’azione, senza preoccuparsi del giudizio degli altri.
- Distorsione del senso del tempo – Il senso del tempo è alterato: in alcuni casi rallentato, in altri velocizzato. Questa dimensione può essere una conseguenza della concentrazione intensa richiesta per affrontare il compito o può essere una determinante della qualità positiva dell’esperienza.
- Esperienza autotelica – Fa riferimento alla soddisfazione intrinseca legata allo svolgimento dell’attività, indipendentemente dalla motivazione originale, dai risultati attesi e senza il bisogno di alcuna ricompensa esterna.
Lo stato di flow ha anche una spiegazione fisiologica. Si è scoperto infatti che in tali situazioni la persona utilizza in modo completo e simultaneo le potenzialità di entrambi gli emisferi cerebrali. I due emisferi presentano infatti un certo grado di specializzazione, seppur non totale, per determinate funzioni: l’emisfero sinistro è la sede della razionalità da cui derivano, ad esempio, l’elaborazione del linguaggio, l’apprendimento motorio ed il perfezionamento del gesto tecnico, mentre l’emisfero destro è principalmente coinvolto con l’emotività, e per questo abilitato, ad esempio, nella elaborazione degli stimoli visivi, nella rappresentazione mentale dello spazio e nell’esecuzione di movimenti automatizzati. Parlando in termini tennistici, il giocatore deve imparare a riconoscere quando analizzare una situazione (ad esempio, che tipo di colpo giocare in funzione dell’andamento dello scambio) e quando invece è il momento di eseguire meccanicamente (ad esempio, nell’esecuzione del colpo), passando da una fase all’altra in modo rapido ed efficace (decido il tipo di colpo, lo eseguo, decido il tipo di colpo successivo, lo eseguo…). Nello stato di flow, non c’è passaggio da un emisfero all’altro, come avviene normalmente: i due emisferi operano in simbiosi (e a quel punto decisione ed esecuzione sono praticamente contemporanei: penso a come colpire, lo faccio).
Una delle caratteristiche fondamentali dello stato di flow è che la persona “in the zone” riesce a sfruttare al massimo le proprie potenzialità. Sempre parlando in ambito tennistico, significa che ciò può consentirgli di raggiungere traguardi mai raggiunti prima. Ad esempio, ai massimi livelli può arrivare a vincere uno Slam. Come appunto Francesca Schiavone nel 2010. O come Marin Cilic a New York nel 2014: la sua seconda settimana degli US Open di tre anni fa è un altro clamoroso esempio di “trance agonistica” prolungata. A partire dal vittorioso quinto set degli ottavi di finale contro il francese Simon il tennista croato divenne ingiocabile, infilando una serie di dieci set consecutivi in cui lasciò le briciole a tre top ten come Berdych, Federer e Nishikori e conquistando così il suo primo – e sinora unico – torneo del Grande Slam. Nello stato di flow l’atleta è perciò in grado di realizzare con più facilità quella che viene definita la “peak performance”, la prestazione eccellente, che lo psicologo statunitense Jean M. Willams descrisse come “una specie di momento magico nel quale tutto si svolge perfettamente, dal punto di vista sia mentale che fisico, e la qualità eccezionale della prestazione sembra oltrepassare gli ordinari livelli di rendimento”. Chi tra noi ha sperimentato lo stato di flow, nel ritornare con la memoria all’esperienza vissuta vi ritroverà le condizioni sopra descritte e molto probabilmente avrà anche il ricordo di una prestazione – per un periodo di tempo più o meno prolungato – ben superiore a quella normale. Una peak performance, appunto.
Proprio con riferimento alla peak performance merita soffermarsi un momento sulla prima dimensione del flow, l’equilibrio tra sfida e abilità. Il fatto che l’esperienza dello stato di flow si sviluppi quando sia la sfida che le abilità richieste per affrontarla sono elevate appare infatti perfettamente coerente con quanto avviene nel corso della peak performance, in cui vi è il pieno coinvolgimento delle abilità della persona, la sua attenzione è totale, il suo corpo e la sua mente sono impegnati al massimo. Quando invece questi due parametri non sono in equilibrio vi è la comparsa di stati d’animo negativi: noia, quando la sfida è poco stimolante rispetto alle abilità, ansia, quando invece accade il contrario e la sfida viene percepita come superiore alle proprie capacità, o apatia, quando non solo la sfida non è stimolante ma è sufficiente una minima parte delle proprie abilità per portarla a termine. Inutile aggiungere che uno stato d’animo di questo genere sia tutto fuorché propedeutico al flow e di conseguenza all’ottenimento di una prestazione di picco.
Quanto appena visto ci permette di dire – prima “pillola” di coaching dell’articolo – che il primo passo verso lo stato di flow e, di conseguenza, per ottenere performance eccellenti è quello di riconoscere ed evitare noia, ansia ed apatia quando giochiamo, in allenamento ed in partita. Se vogliamo entrare nel flusso o anche semplicemente essere in grado di esprimerci al nostro meglio dobbiamo prima di tutto evitare di trovarci in uno stato d’animo non funzionale (argomento che abbiamo trattato sotto un altro punto di vista in uno degli articoli precedenti). Attenzione perciò, ad esempio, ad allenarci costantemente con chi ha un livello di gioco significativamente inferiore al nostro. Magari è comodo perché quella persona è sempre disponibile, ben contenta di giocare con un avversario più forte, e non dobbiamo metterci a cercare e contattare ogni volta partner di gioco diversi. Spesso si tratta di un amico, così possiamo anche fare piacevolmente due chiacchiere prima e dopo l’allenamento. Tutto molto comodo, ma deleterio per il nostro tennis. All’inizio non ce ne rendiamo conto, perché il nostro maggior tasso tecnico ci permette di alzare il livello del nostro gioco quando vogliamo. Ma proprio perché la nostra superiorità è tale da rendere questi “cambi di marcia” superflui, va a finire che non quel pedale sull’accelleratore non lo mettiamo neanche più: perché subentra la noia per il fatto che sappiamo già come andrà a finire, dato che ogni volta che alziamo il livello non c’è praticamente più partita. Ed ecco che allora pian piano, spesso inconsciamente, ci accontentiamo, rimaniamo ancorati a quel livello di gioco che consente al nostro partner di tenere lo scambio. Finché un giorno, improvvisamente, lo proviamo ma il cambio di marcia non ci riesce più. Il livello del nostro tennis si è adeguato al livello (basso) della sfida. Perciò è importante fare attenzione e cogliere il momento in cui cominciamo a provare noia: prima che subentri l’accontentarsi, prima che – richiamando anche qui un argomento che abbiamo già trattato – cominciamo a chiuderci sempre di più nella nostra zona di comfort. È il momento in cui fermarsi un attimo e riflettere con sincerità su cosa vogliamo dal tennis: se per noi è un semplice passatempo per fare un po’ di movimento un paio d’ore la settimana, va bene così e non c’è nessun problema, se invece abbiamo ancora degli obiettivi di prestazione – che siano a livello agonistico o anche solo di qualità di gioco – dobbiamo intervenire, perché non siamo assolutamente sulla strada giusta.
Allo stesso modo dobbiamo fare attenzione e riconoscere anche quando proviamo una sensazione di ansia. Cosa che è possibile che accada, ad esempio, quando affrontiamo con una certa frequenza avversari nettamente più forti di noi in allenamento e/o in torneo. Anche in questo caso c’è da stare attenti: la crescita ed il miglioramento come giocatori passa necessariamente attraverso il confronto con giocatori più forti, ma se ci mettiamo ad affrontare solo e sempre avversari che ci sono superiori e ci battono sempre, se in campo siamo sempre in difficoltà perché il ritmo di gioco è troppo elevato per le nostre possibilità, quello non è il percorso di crescita giusto per noi. Perché c’è il tangibile rischio di perdere la fiducia in noi stessi ed allo stesso tempo di non migliorare la nostra tecnica, dato che va a finire che giochiamo costantemente contratti per cercare di fare bella figura o limitare i danni. Di conseguenza, se cominciamo a percepire ogni qualvolta entriamo in campo una spiacevole sensazione di apprensione è anche questo il momento in cui fare uno stop, per riflettere e riconsiderare il nostro approccio al tennis.
Arriviamo infine ad uno dei temi fondamentali quanto si parla dello stato di flusso. Dato che non è frequente e sembra accadere in maniera involontaria, il flow è replicabile volontariamente? Le opinioni sono discordanti: secondo alcuni questo stato di coscienza non può essere controllato consapevolmente, altri invece sostengono la tesi opposta. Con riferimento al contesto sportivo, questi ultimi ritengono che una delle caratteristiche dei grandi campioni sia proprio la capacità di di attivarsi al momento giusto, esattamente nell’istante in cui la loro prestazione agonistica sta per iniziare, avendo imparato – più o meno intenzionalmente – a riconoscere e a riprodurre lo stato psicofisico ideale precursore dello stato di flow. Ecco perciò che nel campo dello sport coaching uno dei modi per lavorare sull’incremento della performance è quello di identificare le condizioni che hanno portato l’atleta ad entrare nel flow e di individuare le percezioni avute durante l’esperienza. Ad esempio, uno strumento sviluppato in quest’ambito è la Flow State Scale (FSS), un questionario di auto-valutazione basato sulle nove dimensioni descritte sopra e costituito da 36 domande, quattro per ciascuna dimensione. Un aspetto importante da considerare nella valutazione dell’esperienza di flow è relativo al fatto che non è possibile farlo nel momento esatto in cui si sta svolgendo: la FSS è stata concepita proprio per essere sottoposta all’atleta al termine dell’attività. Avendo poi a disposizione tutte queste informazioni, il coach supporterà l’atleta nell’andare a ricreare le condizioni antecedenti lo stato di flow e le percezioni vissute, in modo che l’atleta sia poi in grado di applicare queste strategie mentali autonomamente e, con il passare del tempo, sempre più naturalmente. Sia in fase di approccio alla gara (ad esempio con l’utilizzo di tecniche come la visualizzazione o il self talk) che durante la prestazione, in particolare nei momenti di pausa (nel caso del tennis, pensiamo alle routine di riattivazione dopo il cambio campo).
Ciò ci porta alla seconda “pillola”. Quando – in qualsiasi campo – abbiamo l’opportunità di provare l’esperienza del flow, al termine fermiamoci un attimo. E dopo aver preso doverosamente fiato, nel rivivere la magia di quanto accaduto prendiamoci il tempo necessario ad annotare le sensazioni che abbiamo provato ed i ricordi di quanto successo prima che accadesse. Ci sono studi che fanno delle distinzioni tra le nove dimensioni: tra quelle considerate fattori predisponenti alla peak performance – l’equilibrio tra sfida e abilità, su cui ci siamo già soffermati, gli obiettivi chiari ed i feedback diretti e immediati – e quelle che rappresentano caratteristiche descrittive dell’esperienza. Ecco, con le informazioni raccolte possiamo andare a rilevare le caratteristiche comuni alle nostre esperienze di flow nell’ambito delle tre dimensioni predisponenti. Ad esempio, scoprire che lo stato di flusso si genera solo quando affrontiamo compiti altamente sfidanti, ci consente di dire che un fattore predisponente a noi necessario è quello di definire obiettivi particolarmente impegnativi. Già sapevamo, dato che ne avevamo parlato in uno dei primi articoli, che una delle caratteristiche degli obiettivi “ben formati” è quella di essere fattibili ma al contempo motivanti. In questo caso abbiamo un’informazione in più: che per noi è essenziale porre l’asticella della motivazione il più in alto possibile. E non è una cosa da poco.
Alla fine, se ci pensiamo, si tratta di “ritrovare” qualcosa che abbiamo già provato, di far riemergere qualcosa che è lì, in attesa solo di risvegliarsi. Perché il flow è dentro di noi. E possiamo farlo solo provando e sperimentando, senza timore di sbagliare. Perché se arriva, quello è il flow. Proprio come diceva il maestro Myagi a Daniel in The Karate Kid:
“Devi solo aver fiducia in quadro”.
“Come so se il mio quadro è quello giusto?”.
“Se lo senti nascere in te quadro è sempre giusto”.
Ilvio Vidovich è collaboratore dal 2014 di Ubitennis, per cui ha seguito da inviato tornei ATP e Coppa Davis. Personal coach certificato, ha conseguito un Master in Coaching, una specializzazione in Sport Coaching e tre livelli di specializzazione internazionale in NLP (Programmazione Neuro Linguistica), tra i quali quello di NLP Coach. Giornalista pubblicista, è anche istruttore FIT e PTR.
ATP
ATP Miami, Fritz: “I Big 3 non erano completi come Alcaraz quando avevano la sua età”
Lo statunitense ha parlato di cosa vuol dire affrontare il murciano: “Penso che non ti conceda nulla, quindi devi lavorare molto per vincere, per vincere praticamente ogni punto”

Le parole a caldo di Taylor Fritz dopo la netta sconfitta per mano di Carlos Alcaraz nei quarti di finale del Miami Open
IL MODERATORE: Che sfortuna, Taylor. Era la prima volta che affrontavi Carlos. Cosa lo ha reso così difficile da battere stasera?
TAYLOR FRITZ: Penso che non ti conceda nulla, quindi devi lavorare molto per vincere, per vincere praticamente ogni punto. Voglio dire, penso che stasera abbia giocato incredibilmente bene i punti importanti. Sai, penso che abbia vinto tutti i punti importanti della partita, quindi ha fatto una grande differenza.
D. Cosa hai sentito che non funzionava per te stasera? Ovviamente indipendentemente da quanto bene ha giocato, cosa ti è sembrato mancasse nel tuo gioco?
TAYLOR FRITZ: Sì, se stiamo solo parlando di quello che stava succedendo nel mio gioco, non puoi semplicemente dare via il tuo servizio per iniziare entrambi i set. Ero davvero entusiasta di iniziare il secondo set, perché mi sentivo, a volte esci, e non ero, immagino, pronto alla velocità a cui avremmo suonato. Nel primo gioco, mi sono fatto breakkare durante la partita, ma dopo mi sentivo come se avessi giocato molto bene per il resto del set. Non aveva più possibilità di breakkarmi. Ho avuto la possibilità di strappare il servizio a lui. Avevo voglia di entrare nel secondo set, avevo davvero buone possibilità. Poi ho buttato via di nuovo il mio servizio per iniziare il secondo set. Quindi è stato estremamente, immagino, demoralizzante, perché ora devo giocare un altro set di rincorsa. È solo più fuori dai miei errori. Ovviamente giocando con il miglior giocatore del mondo, non puoi semplicemente abbassare il rendimento al servizio per iniziare entrambi i set. Inoltre, mi sentivo come se avessi commesso troppi errori. Gli ho dato troppi punti gratis.
Q. Immagino che tu probabilmente volessi affrontarlo da un po’ ormai, e Tommy l’aveva affrontato, Frances ovviamente ci ha giocato. Riguardo a quello che ti aspettavi cosa puoi dirci? Hai detto che avevi qualche problema ad adattarti, non eri pronto per il ritmo, ma…
TAYLOR FRITZ: Ero pronto per il ritmo. Era più come la prima volta che giochi contro qualcuno, come la tattica prima della partita, in un certo senso capire con quali colpi posso farla franca e con cosa non posso farla franca, con quali colpi mi punirà e su quali colpi non mi punirà. Ovviamente quando giochi con giocatori diversi, alcune persone ti faranno male, immagino, solo a diversi livelli di colpi. Quindi nel primo set penso di aver giocato un po’ troppo sul sicuro, non volendo sbagliare, e lui mi ha punito. Quindi ho capito, ok, dovrò aumentare la velocità media solo un po’ di più. Si trattava di trovarlo, che sentivo di aver trovato dopo il primo o il secondo gioco. È uscito davvero pronto. Mi sentivo come se il terzo gioco della partita, il secondo gioco che ho servito, fosse probabilmente il gioco di livello più alto della partita. Come se stesse colpendo vincenti su tutto, vincenti sui colpi aggressivi che ho colpito, e poi ho pensato di avergli preso le misure, ma ero tipo, wow, se questo è il livello, allora sarà davvero dura. Ma sentivo che quello non era effettivamente il livello. È uscito estremamente eccitato e ha giocato davvero bene in quel gioco, ma dopo mi sono sentito come se mi fossi sistemato. Per il resto del set, sai, sono stato in alcuni giochi di servizio e mi sono tenuto abbastanza bene. Ma, sì, ci sono stati molti scambi su cui mi aspettavo di essere al sicuro e su cui sono stato punito.
Q. Penso che siano state quattro buone settimane per te. Ti avevo detto al Delray Open che avresti vinto quel torneo e che avresti avuto delle belle partite. La mia domanda è con tutti i cambiamenti di ieri, pensi che ti riguardino oggi? Hai parlato con Tommy Paul del match di oggi con Carlitos? Perché ha giocato ieri.
TAYLOR FRITZ: No, non credo che il fatto di non aver giocato ieri abbia davvero influenzato qualcosa, ad essere onesto. Penso che probabilmente sarei stato più impreparato a giocare ieri, perché mi hanno detto tutto il giorno che sarebbe stato — ho solo sentito parlare del tempo tutto il giorno che avrebbe piovuto. Quasi mi aspettavo di non giocare. Quindi non penso che ciò abbia influenzato i cambiamenti. Non ho parlato con Tommy, perché, primo, posso guardare la partita ed essere conscio di come mi sento, e poi anche io e Tommy giochiamo in modo incredibilmente diverso. Non posso giocare come gioca lui. Gli piace molto andare a rete ed è uno dei ragazzi più veloci del tour. Quindi direi che non avrebbe molto senso per qualunque strategia
Q. Hai giocato contro Roger, hai giocato contro Rafa, contro Novak, e Carlitos ha appena detto due giorni fa che vuole partecipare a quella conversazione. Vuole essere una leggenda di questo sport. Cosa c’era di simile? Cosa hai trovato oggi? Ovviamente è stato il tuo primo incontro, ne avrai molti altri, ma cosa hai visto oggi che lo confermerà?
TAYLOR FRITZ: Non è qualcosa che ho visto oggi. È quello che vedo da un po’ di tempo. L’ho detto un anno fa quando l’ho visto giocare, per quanto è giovane, ha tutti gli strumenti, sai. Può andare a rete, può tirarti un dropshot, può lanciarti, è incredibilmente veloce, ha tutta la potenza, il suo diritto è buono, il suo rovescio è buono. E’ molto raro vedere qualcuno così giovane così, immagino, appena sviluppato nel loro gioco e non avere davvero nulla su cui lavorare così tanto. Ha tantissimi modi diversi di giocare e può incorporare tantissimi piani di gioco diversi per giocare con giocatori diversi perché ha così tanti strumenti per vincere una partita. Penso che sia qualcosa che non direi che nessuna di quelle persone avesse in così giovane età. Ci sono sempre cose su cui le persone devono migliorare. Inoltre, solo parlando della partita di oggi, ho sentito che il livello delle prime tre partite era assolutamente insopportabile. Stava colpendo vincenti netti a 110 miglia all’ora di seconda di servizio che stavo indirizzando al suo corpo. Sto intensificando e schiacciando i cross di rovescio, e lui tira vincenti sulla linea di rovescio in posizione aperta. Quello non era il livello per il resto della partita. Sono stato in grado di ambientarmi molto di più, e lui non lo ha fatto per tutta la partita. Ma ovviamente possiede quel livello, e per quei primi due giochi è stato piuttosto travolgente.
Q. Come lo paragoni alla prima volta che hai affrontato Roger, Rafa e Novak?
TAYLOR FRITZ: Oh, mi sentivo decisamente come se avessi più respiro contro quei ragazzi che in questa partita. Penso che, sai, siano diversi stili di gioco. Novak fa questi scambi lunghi, ma lentamente ti fa uscire dalla posizione e ti travolge. Sento ancora di poter restare a lungo in questi scambi e avere più possibilità di attaccare. Penso che tornerei ai primi due game della partita. Ha appena vinto molti colpi, vincenti e colpi che mi hanno ferito quando altri giocatori normalmente non mi fanno male. Decisamente meno. Ho solo sentito che era più offensivo e mi ha pressato molto di più.
ATP
ATP Miami: impresa Sinner, batte Alcaraz e vola in finale
Tre ore di grande tennis all’Hard Rock Stadium di Miami mandano Jannik Sinner alla sua seconda finale Masters 1000. Seconda sconfitta stagionale per il n. 1 Alcaraz.

(da Miami il nostro inviato)
[10] J. Sinner b. [1] C. Alcaraz 6-7(4) 6-4 6-2

Volendo esagerare un poco, ma nemmeno tantissimi, si potrebbe dire che Jannik Sinner ha dominato la semifinale del Miami Open presented by Itaú contro il n. 1 del mondo Carlos Alcaraz, considerando tutte le chance avute nel primo set poi perso al tie-break. Infatti la vittoria in tre set di Sinner è arrivata dopo aver ceduto per 7-4 il tie-break del primo parziale nel quale era stato in vantaggio per 4-1 leggero, aveva avuto sulla racchetta lo smash per andare a due palle del 5-1, e poi, dopo aver annullato un set point sul 5-6 (per la verità omaggiatogli con un doppio fallo da Alcaraz), era andato in vantaggio 4-2 nel tie-break commettendo poi due errori piuttosto banali sul proprio servizio.
Poi Sinner ha dato prova di grande maturità, tenendo il controllo dei nervi e del suo gioco, approfittando del calo di tensione di Alcaraz all’inizio del secondo set per andare in vantaggio, e non si è innervosito nemmeno quando quel diavolaccio di spagnolo ha rimontato subito sul 2-2.
Certamente bisogna segnalare che verso la fine dell’incontro, giocato per oltre un’ora a ritmi siderali, Alcaraz ha palesato qualche problema muscolare che lo hanno certamente limitato, ma d’altra parte la condizione fisica fa parte di ciò che è necessario a un tennista per prevalere, e oggi Sinner si è dimostrato certamente il migliore nella giornata.
PRIMO SET – Siccome è stato Sinner a perdere l’ultima partita tra i due, è lecito aspettarsi che sia lui il primo a cambiare qualcosa. Nei primi due turni di battuta fa 11 su 12 di prime, dopo che a Indian Wells era rimasto sotto il 50% in tutta la partita. E sulle seconde di Alcaraz è sempre a rispondere con i piedi nel campo. La tensione di inizio match per l’altoatesino si esaurisce nei quattro diritti sbagliati nel primo game che lo fanno andare ai vantaggi, e la sua pressione su Alcaraz si fa subito sentire. Lo spagnolo esordisce nel quarto game con un doppio fallo, con due gratuiti da fondo si trova 15-40, e quando il suo diritto in recupero vola oltre la riga di fondo Sinner e il suo angolo esplodono in giubilo per il break del 3-1.
Sinner gioca benissimo, Alcaraz è chiaramente scosso dalla partenza dell’italiano, si inguaia sulla battuta sul 15-30, ma quando ha sulla racchetta la chance per due palle del 5-1, Sinner mette in rete uno smash non impossibile, e la partita cambia direzione. Alcaraz tiene un game da 12 punti nel quale commette anche un doppio fallo, ma senza concedere palle break.
Un neonato in tribuna piange e strilla a pieni polmoni, ma è l’unico a non divertirsi, soprattutto quanto i due mettono in scena uno scambio di 25 colpi da cineteca con tutti i colpi del campionario tennistico e chiuso da un passante di rovescio incrociato stretto di Sinner che lascia Alcaraz a terra. Ma la percentuale di prime di Sinner cala, Carlitos si esibisce in una delle sue splendide demi volée, e quando tocca a Sinner giocarne una simile la palla finisce in rete e il break di vantaggio svanisce.
Con paio di magie in pallonetto Alcaraz impatta sul 4-4, ma Sinner non si scompone e ricomincia a macinare punti sul suo servizio per il disappunto dello spagnolo, che tira una pallata di stizza attraverso il campo, e anche per il disappunto del pubblico, chiaramente in gran parte favorevole ad Alcaraz.
Sul 5-5 è invece Alcaraz a spingere in risposta per andare sullo 0-30, si procura due palle break e sulla seconda chiude una volée di diritto colpita nemmeno troppo bene ma comunque vincente. Sinner rimane agganciato al set azzannando le seconde di Alcaraz, e la tattica paga dividendi perché dopo che Jannik si è mangiato una volée a campo aperto sul 30-30, Carlitos commette doppio fallo sul set point e finisce per perdere la battuta rimandando la soluzione del set al tie-break.
È Sinner ad andare avanti per primo, approfittando di un errore di Alcaraz per il 4-2, poi però commette due errori che gli costano il parziale: sul 4-3 mette una palla corta senza senso in mezzo alla rete, e sul punto successivo sbaglia un diritto da fondocampo dopo che Alcaraz aveva rimandato un pallonetto difensivo atterrato nell’ultimo metro di campo.
Lo spagnolo questa volta non ha bisogno di altro e chiude il set dopo 77 minuti di gioco infilando gli ultimi cinque punti consecutivi.
SECONDO SET – La lunga durata del primo set ha messo a dura prova il pubblico americano che durante i primi giochi del secondo parziale svuota per metà gli spalti. Durante questa pausa fisio-gastronomica degli spettatori succede che Sinner strappa subito il servizio a un Alcaraz in calo adrenalinico dopo il rush finale della prima frazione, e poi consolida sul 2-0, ma il vantaggio è di breve durata, perché al successivo turno di battuta l’intensità di Sinner si affievolisce, arriva anche un doppio fallo e alla terza palla del controbreak un errore di diritto rimette tutto in parità.
Si procede seguendo i servizi con un’intensità leggermente minore, ma sempre con una qualità di gioco elevatissima. Il tema principale è la grande aggressività dei due sulla seconda dell’avversario, e spesso anche sulla prima. Alcaraz risponde sempre a tutto braccio, sempre in spinta, indipendentemente da come sia il servizio dell’avversario. E Sinner non gli è da meno, anche se sulla prima rimane leggermente più indietro.
Sul 3-4 l’altoatesino viene fuori da un game complicato rimediando a un paio di errori di direzione sui suoi attacchi con delle buone battute, cancellando sue palle break che avrebbero mandato lo spagnolo a servire per il match. Alcaraz non reagisce bene alla mancata occasione: sul 4-4 inizia il turno di servizio con un doppio fallo, poi gioca una palla corta di rovescio lungolinea senza troppo senso, e con due errori di diritto cede la battuta a zero con Sinner che così si trova a servire per il set. Carlitos allora cambia qualcos’altro, estrare dalla sua immensa faretra un’altra arma e comincia a togliere ritmo sulla “diagonale rovescia” con colpi tagliati e bassi. Sinner risponde bene, si prende il 30-15 con un passante di rovescio lungolinea appoggiato nel “sette” e dopo due ore e 12 minuti si va al terzo set.
TERZO SET – Nell’intervallo Alcaraz prende la sua borsa e va a cambiarsi d’abito mentre Sinner rimane in campo a fare saltelli per rimanere caldo e concentrato. Passano quasi 10 minuti tra la fine del secondo set e l’inizio del terzo, e mentre Alcaraz è fuori dal campo il cronometro viene pure fermato sull’1:01 in attesa del ritorno dello spagnolo. Non una novità, ma quando accade è sempre il caso di segnalarlo.
I volti scuri di Juan Carlos Ferrero e del resto dell’angolo del n. 1 del mondo venivano spiegati alla ripresa del gioco: Alcaraz gioca un game di peste, cede il servizio a “quindici” con quattro gratuiti e nel gioco successivo prende un ace senza quasi muoversi, dando segno di avere un principio di crampi alla gamba destra.
Sullo 0-2 gioca un game in grande libertà e riesce a tenere agevolmente la battuta, ma mentre il suo team prepara una bevanda energetica per reintegrare i sali minerali persi ci si rende conto che il match potrebbe precipitare da un momento all’altro. Sinner disputa un game esemplare tenendo la prima a tre quarti velocità e angolata per far spostare Alcaraz, e quest’ultimo sbaglia quattro risposte.
Lo spagnolo modifica leggermente il servizio a causa del problema muscolare e prova ad adattare il suo gioco alla nuova situazione, va sotto 0-30 e poi comunque riesce a rimanere aggrappato al suo turno di battuta. Sinner si impappina servendo sul 3-2, commette due gratuiti che omaggiano Alcaraz della palla del 3-3, ma Carlitos mette in rete la risposta su una seconda a 87 miglia orarie di Sinner. Jannik trova comunque il 4-2 e si aggrappa al game successivo durante il quale Alcaraz chiede tutto l’aiuto del pubblico dopo aver chiuso la volée del 40-30, ma due ace esterni e un tuffo per evitare il contropiede non gli bastano per evitare il doppio break. Infatti due sanguinosi doppi falli consecutivi, seguiti da un errore su un diritto anomalo lo condannano al 2-5.
Un diritto incrociato vincente dopo tre ore e un minuto di gioco pone fine a questa splendida partita e manda Jannik Sinner alla sua seconda finale qui al Miami Open e nei tornei Masters 1000.
L’ultimo atto del torneo lo vedrà dunque opposto a Daniil Medvedev, che lo ha sconfitto nella finale dell’ABN AMRO Open di Rotterdam poche settimane fa nell’ultimo dei cinque confronti diretti tra i due, tutti andati ad appannaggio del tennista russo.
Questa affermazione garantisce a Sinner il ritorno alla posizione n. 9 della classifica mondiale, suo best ranking finora, che potrebbe però migliorare in caso di vittoria nel torneo quando si isserebbe addirittura al n. 6.
Flash
WTA Miami: Kvitova, prima finale al Sunshine Double
Petra Kvitova vince in rimonta il primo set poi chiude di slancio il secondo sconfiggendo Sorana Cirstea. Per lei l’ostacolo Rybakina per tentare il ritorno in Top 10

(da Miami il nostro inviato)
[15] P. Kvitova b. S. Cirstea 7-5 6-4

Nella sua novantanovesima apparizione in un torneo WTA 1000 Petra Kvitova è riuscita a raggiungere la sua prima finale al Miami Open sconfiggendo in due set una delle giocatrici più calde di questo periodo di stagione, la rumena Sorana Cirstea.
Un irresistibile strappo tra la fine del primo set e l’inizio del secondo che le ha permesso di vincere sette giochi consecutivi ha deciso la partita in favore della ceca, che dopo aver iniziato il match sbagliando un po’ troppo alla ricerca di angoli molto accentuati, ha poi messo a fuoco il mirino ed è stata assolutamente irresistibile facendo letteralmente a brandelli la seconda dell’avversaria (2 punti su 13 per un 15% nel primo set, per poi chiudere con un globale 26% a fine match).
PRIMO SET – Inizio di partita molto equilibrato tra due giocatrici che si conoscono molto bene, essendosi incontrate già 10 volte in oltre un decennio a tutte le latitudini e su tutte le superfici. Kvitova provava a sfruttare le sue traiettorie mancine tagliando il campo con angoli molto acuti. La ceca arrivava per prima alla palla break, ma Cristea rispondeva alla situazione molto bene. Sul 3-2 era Cirstea che con tre splendide risposte vincenti (o quasi) si conquistava tre palle break, tutte però annullate da colpi lungolinea di Cirstea che mancavano il bersaglio. Sulla quarta però il suo rovescio incrociato finiva in corridoio concedendo il primo allungo alla rumena.
Kvitova continuava imperterrita a cercare gli angoli, ma la precisione le faceva difetto, e Cirstea, dopo che i suoi fan erano stati redarguiti dall’agente di Kvitova per aver fatto rumore tra la prima e la seconda di servizio, rimontava da 0-30 issandosi 5-2.
Nel game in quale Cirstea serviva per il set sul 5-3, Kvitova trovava tre splendidi colpi risalendo da 40-15 a palla break, ma mancava poi la risposta sul punto decisivo. Due punti più tardi le andava meglio, affondando il rovescio dell’avversaria con un lungolinea e recuperando il break di svantaggio per il 5-4.
Con un parziale di 13 punti a 1, Kvitova rivoltava il set come un calzino recuperando il break di svantaggio e mettendosi nella posizione di servire per il set sul 6-5. Anche per la ex campionessa di Wimbledon servire per il set non era una cosa banale: un doppio fallo e un gratuito da fondo la portavano 0-30, ma quattro punti consecutivi le consentivano di chiudere il parziale 7-5 dopo 58 minuti di gioco, 16 minuti più tardi rispetto ai set point avuti da Cirstea.
SECONDO SET – La furia di Kvitova non si arrestava anche nel secondo parziale: portava a sette i giochi consecutivi vinti sprintando subito sul 2-0. Petra sembrava incapace di sbagliare, tutti i suoi colpi finivano sulla riga, tanto da indispettire un po’ Cirstea che chiamava “il falco” per controllare il punto di rimbalzo della palla. Sullo 0-2 15-40, con due chance del secondo break, la rumena aveva un’impennata d’orgoglio e metteva a segno quattro vincenti per rimanere in scia dell’avversaria.
Da lì in poi però Kvitova diventava sempre meno trattabile sui suoi servizi, arrivava a servire per il match sul 5-4 quando sciupava il primo match point con un doppio fallo, ma sul secondo una micidiale curva mancina le consegnava la sua prima finale a Miami per tentare di conquistare il suo nono titolo WTA 1000.
Con questo risultato Kvitova è sicura di risalire almeno al n.11 del ranking WTA lunedì prossimo, e potrà rientrare nelle Top 10 in caso di vittoria del torneo. Nel match decisivo di sabato (ore 15 locali, le 21 in Italia), Kvitova affronterà Elena Rybakina, contro la quale ha disputato due incontri, peraltro piuttosto recentemente (a Ostrava a fine stagione nel 2022 e lo scorso gennaio ad Adelaide), portando a casa una vittoria nell’ultima occasione.