Roland Garros, Del Potro vs Cilic: dove eravamo rimasti?

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Roland Garros, Del Potro vs Cilic: dove eravamo rimasti?

L’argentino ed il croato si scontrano per la 13esima volta. Sono nati a pochi giorni di distanza e hanno uno Slam a testa in bacheca, ma le loro storie sono molto diverse

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Se c’è una partita che può rappresentare simbolicamente le differenze tra Juan Martin del Potro e Marin Cilic è quella della finale di Coppa Davis 2016. Per due ore ci fu solo un Marin Cilic praticamente perfetto in campo, che vinse i primi due set e arrivò a due game dall’Insalatiera. Poi si svegliò del Potro, che trascinato dalla torcida albiceleste che riempiva gli spalti della Arena Zagreb, ribaltò il match e di fatto consegnò la coppa all’Argentina, dato che l’ultimo match – la vittoria di Delbonis su Karlovic – a quel punto divenne una mera formalità poiché che i croati erano rimasti tutti con la testa al break subito da Cilic sul 5 pari del terzo. Da una parte l’ennesima resurrezione dell’argentino, che da qualche mese ritroviamo tra i primi dieci del mondo dopo il lunghissimo calvario per i problemi ai polsi, in particolare quello sinistro. Ed il suo legame con il pubblico, argentino e non solo, che dovunque giochi il tandilese lo supporta calorosamente, quasi a volerlo ripagare dal punto di vista affettivo per tutto le sofferenze patite e per il tempo perduto (“Sento questa connessione con il pubblico, anche qui a Parigi, è bellissimo” ha detto l’altro giorni in conferenza stampa.)

Dall’altra l’ennesima impresa incompiuta del tennista di Medjugorje, che in quel 2016 l’aveva combinata uguale e pure peggio nella semifinale di Wimbledon contro Roger Federer, persa dopo essere stato anche lì in vantaggio di due set e aver avuto persino tre match point a a favore. Ci aggiungerà poi la finale praticamente non giocata a causa delle vesciche contro lo stesso Federer ai Championship 2017, con pianto in mondovisione per la disperazione di non potersi giocare le sue chances, e la rimonta fermatasi alla palla break all’inizio del quinto set in quella di quest’anno a Melbourne, sempre contro il fuoriclasse svizzero. Tanto che la sorprendente vittoria all’US Open del 2014 sembra rappresentare la splendida anomalia della sua carriera: la settimana perfetta (dai quarti in poi non perse un set) di una carriera imperfetta. Che di fatto lo fa considerare dagli occhi degli appassionati di tutto il mondo un po’ uno Slam Winner per caso, nonostante le altre due finali raggiunte. E che anche in Croazia non gli permette di scrollarsi di dosso l’ombra del suo ex coach Goran Ivanisevic, anche lui più uno splendido perdente che altro (Wimbledon 2001 a parte, ovviamente), ma dal carisma e dalla simpatia che ancora adesso oscurano in patria il timido e riservato Marin.

Tecnicamente, da una parte c’è la devastante potenza di del Potro, in primis ovviamente con il superbo dritto anomalo, il suo marchio di fabbrica, e con il servizio. Peraltro qui a Parigi il n. 6 del mondo ha confermato la ritrovata solidità sul lato sinistro, affidandosi solo di rado al rovescio in back e spingendo invece con buona efficacia con il rovescio bimane, anche in risposta alle bordate di servizio di Isner. Dall’altra parte un Cilic con un bagaglio tecnico probabilmente più omogeneo, che quando è in palla riesce a spingere con efficacia con tutti e tre i fondamentali. Ma che quando è in difficoltà fa più fatica rispetto al suo avversario – che il dritto lo mette dentro anche se lo svegli alle due di notte – a trovare un colpo a cui affidarsi finché non passa la tempesta. Il croato si fa preferire un pochino dal punto di vista fisico in termini di agilità e mobilità, sarà perché a parità di altezza (1,98m) deve spostare una decina di chili in meno rispetto all’argentino, che sfiora il quintale. Qualità che il tennista di Medjugorje ha dimostrato anche nell’ultimo match contro il nostro Fognini, dove non è calato ed ha continuato a picchiare da fondo anche nel quinto set. Dal punto di vista mentale si fa invece preferire del Potro, dato che dei due è quello che in genere le rimonte le fa – da quella della finale dell’US Open 2009 contro Roger Federer all’ultima contro Thiem lo scorso anno, sempre a New York – e non le subisce. Anche se la sensazione è che Marin abbia lavorato molto su questo aspetto nell’ultimo periodo.

Se andiamo a vedere i precedenti, si nota che la potenza del tandilese ha avuto quasi sempre la meglio: 10-2 per del Potro, che non stringe la mano a Cilic da sconfitto dal 2011. Se ci limitiamo agli scontri diretti dopo l’ultimo rientro di JMDP, la situazione non cambia anche se i numeri sono di molto ridotti: 2-0 Argentina, con la vittoria in due set a Basilea lo scorso anno che fa il paio con la citata rimonta in Davis. Qui sulla terra rossa del Roland Garros si sono trovati di fronte già in una occasione, sei anni fa. E tanto per cambiare vinse del Potro. “Ci conosciamo benissimo. Sarà un match duro” hanno detto praticamente all’unisono i due, nati a cinque giorni di distanza (Juan Martin il 23 settembre 1988, Marin il 28) nelle rispettive conferenze stampa prima della partita. Vedremo se la porterà a casa l’argentino che vuole recuperare il tempo perduto e cogliere l’occasione di conquistare la seconda semifinale parigina in carriera oppure il croato che comincia ad essere stanco di perdere tempo ed occasioni e che vincendo entrerebbe nel ristretto club dei giocatori che hanno raggiunto la semifinale in tutti e quattro gli Slam. Con tanti saluti a Goran.

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