WTA 2018: dodici match da ricordare (seconda parte) - Pagina 3 di 3

Al femminile

WTA 2018: dodici match da ricordare (seconda parte)

Dalle partite australiane di inizio anno sino all’Asian Swing di fine stagione, dodici incontri memorabili scelti per qualità tecnica, tattica e agonistica

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2. Daria Kasatkina b. Venus Williams 4-6, 6-4, 7-5 – Indian Wells, semifinale
Esistono giocatrici che quando si trovano una contro l’altra producono speciali alchimie. Sembra incredibile considerando quanto sono distanti sotto tutti gli aspetti, o forse è proprio per questo, fatto sta che quando si incontrano Kasatkina e Williams offrono sempre partite memorabili. Prima di questo match californiano si erano incontrate due volte nel 2016: ad Auckland in gennaio, e Kasatkina aveva vinto 6-7(4), 6-3, 6-3; poi si erano ritrovate qualche mese dopo a Wimbledon e Venus, malgrado l’erba amica, aveva dovuto lottare oltre ogni immaginazione per prevalere 7-5, 4-6, 10-8. Il terzo incontro è proprio questo di Indian Wells 2018 e di nuovo la chimica esplode in un confronto che è davvero uno spot per il tennis: due ore e 48 minuti di puro divertimento. Sì, direi che si tratta innanzitutto di un match divertente e spumeggiante, ma poi anche coinvolgente, sorprendente, e ricco di colpi spettacolari. In sintesi: davvero ben giocato.

Evidentemente il modo di impostare lo scambio tra di loro produce una energia particolare, perché capita di rado di assistere a soluzioni così varie tecnicamente: rovesci slice, drop-shot, lungolinea in contropiede per Kasaktina; e da parte di Venus discese a rete in controtempo, volèe in allungo gestite alla perfezione, attacchi a sorpresa centrali, con palla al corpo per non dare angolo all’avversaria; e poi seconde di servizio slice con effetti incredibili per quanto sono carichi. E questi sono solo alcuni esempi.

Un repertorio di colpi eccezionalmente ampio, quasi che una leggenda come Venus stimolasse in Daria il desiderio di dimostrare quanto è brava, ma d’altra parte in Venus nascesse la voglia di replicare, con soluzioni che vanno oltre la potenza (che tutti le riconoscono), a conferma che non si vincono sette Slam solo tirando forte; del resto la maggiore delle Williams conosce bene tutta l’enciclopedia del tennis, anche le pagine con i colpi più tecnici; a cui però non sempre ricorre.

Nel primo set malgrado il servizio non si riveli un fattore (addirittura sette break) è Venus a prevalere al decimo gioco, in 50 minuti. Nel secondo set il game chiave è l’ottavo, nel quale Kasatkina in vantaggio di un break riesce a salvarsi da cinque break point e salire 5-3, per poi chiudere 6-4. Nel terzo set l’equilibrio è totale, fino al break decisivo nell’undicesimo game.

In un anno con poche soddisfazioni, per Venus la semifinale di Indian Wells rimane il punto più alto della stagione; anche se con il rammarico di non essere stata in grado di incidere al servizio come in altre occasioni. Per Kasatkina, invece, semplicemente una prestazione da incorniciare. Obbligatorio rivedere gli Highlights, anche se troppo brevi per una partita del genere:

1. Naomi Osaka b. Aryna Sabalenka 6-3, 2-6, 6-4 – US Open, ottavi di finale
So bene che certe valutazioni sono indimostrabili, perché non esistono dati oggettivi su cui basarsi. Però voglio ugualmente proporne una del genere: se ho deciso di mettere Osaka contro Sabalenka in cima alla lista è perché mentre seguivo il loro confronto ho avuto la sensazione che stessero offrendo il livello di tennis più alto del 2018. Non il più bello, non il più vario e nemmeno il più creativo, ma quello più difficile da sconfiggere. In sintesi: durante il loro match ho pensato che fossero le più forti. Non in assoluto o per il futuro, ma per quanto visto nella stagione 2018, sì. Quantomeno sul cemento.

A partire da battute attorno ai 190 km/h, per proseguire con risposte di alta qualità e uno sviluppo dello scambio con una palla esternamente profonda e pesante. Un tennis che, quando funziona, solo pochissime giocatrici riescono a contrastare e che forse si potrebbe spiegare così: due modi diversi di mettere in campo la potenza. Da una parte quella più gestita e razionale della Osaka versione 2018, dall’altra quella più sfrontata, quasi selvaggia, di Sabalenka. Simili ma diverse, e per molti aspetti la differenza di gioco rappresenta anche la diversità di carattere delle due protagoniste.

Ricordo i risultati di Osaka negli altri match degli US Open 2018: 6-3 6-2 a Siegemund, 6-2 6-0 a Glushko, 6-0 6-0 a Sasnovich, 6-1 6-1 a Tsurenko, 6-2 6-4 a Keys, 6-2 6-4 a Serena Williams. Massimo di giochi concessi all’avversaria: sei. Aggiungo un altro dato quasi incredibile: in questi match Osaka ha perso la battuta solo due volte: una volta contro Siegemund e una volta contro Serena. Stop. Una specie di Ninja in missione, con una continuità mostruosa, che forse non raggiungerà mai più, visto che da dopo la vittoria nello Slam le responsabilità sono cresciute, e dubito potrà giocare nella stessa condizione di chi è ispiratissima senza avere nulla da perdere.
Ebbene, in questa serie di KO tecnici newyorkesi, l’unica eccezione è rappresentata da Aryna Sabalenka; la sola che sia riuscita ad arginare Naomi, e anzi per un tratto di match ha fatto pensare di poterla addirittura sconfiggere. Ecco come è andata quel 3 settembre sul Louis Armstrong.

Il primo set è in controllo di Osaka, che toglie due volte il servizio a Sabalenka, senza mai cedere il proprio: in perfetta continuità con il resto del torneo. Ma nel secondo set Aryna reagisce e produce il massimo sforzo: è lei a servire meglio, a spingere al massimo in ogni frangente di gioco, riuscendo a tenere in campo quasi ogni accelerazione. E così strappa due volte la battuta a Osaka senza mai cedere la propria.

Si decide tutto al terzo set. Comincia a servire Naomi, e i primi due game sono tenuti a zero da entrambe. Nel terzo game Sabalenka se possibile diventa ancora più aggressiva e riesce a strappare il servizio a Osaka. Addirittura ottiene il punto decisivo rispondendo a una seconda e buttandosi immediatamente a rete, trasposizione in chiave contemporanea del chip&charge.
Ora Osaka è veramente con le spalle al muro. Si può dire sia il momento più difficile di tutto il suo torneo, l’unico nel quale si trova in svantaggio: Naomi reagisce, risponde benissimo e ottiene il controbreak immediato. Da questo momento in poi il servizio di Osaka tornerà ad essere intoccabile, dato che nei turni successivi perderà in totale due soli punti.
E questa eccezionale efficacia in battuta mette grande pressione ad Aryna, che sul 2-3 si trova sotto 0-40 ma riesce a salvarsi con cinque punti consecutivi, prendendo grandi rischi anche sulle seconde. Poi però la stessa situazione si ripete sul 4-5, e quindi ogni palla break è automaticamente un match point. Di nuovo Sabalenka risale da 0-40, ma questa volta non riesce a chiudere ai vantaggi e cede al quarto match point. Dopo che per diverse volte aveva trovato aiuto da seconde di servizio ad alto rischio, a condannarla è un doppio fallo.
Possibile fattore decisivo del match? Direi la maggiore efficacia dei colpi di inizio gioco di Osaka. Saldo finale vincenti/errori non forzati: Sabalenka -14 (28/42), Osaka -10 (22/32). Significativa la differenza al servizio (ace/doppi falli): Sabalenka -4 (4/8), Osaka +6 (9/3).

A fine partita emerge la differente natura di due tenniste con punti di contatto fisico-tecnici, ma molto diverse caratterialmente: l’estroversione di Aryna la porta a gettare la racchetta verso la propria sedia, ma anche a fare i complimenti all’avversaria al momento della stretta di mano a rete. D’altra parte Naomi, dopo il saluto al pubblico, torna a sedersi con la testa sotto l’asciugamano e piange: segno di quanto le sia costato mentalmente vincere questo match.

QUI gli Highlights

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