WTA 2018: dodici match da ricordare (seconda parte) - Pagina 2 di 3

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WTA 2018: dodici match da ricordare (seconda parte)

Dalle partite australiane di inizio anno sino all’Asian Swing di fine stagione, dodici incontri memorabili scelti per qualità tecnica, tattica e agonistica

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4. Simona Halep b. Sloane Stephens 7-6(6), 3-6, 6-4 – Montreal, finale
Avete presente il film “L’uomo che sapeva troppo” di Alfred Hitchcock? Il regista inglese lo girò due volte: una nel 1934, e una nel 1956, convinto di poter migliorare la prima versione. Halep contro Stephens è un po’ la stessa cosa: dopo la finale del Roland Garros 2018, le stesse protagoniste di ritrovano qualche mese dopo in Canada, e ne esce un confronto simile per contenuti tecnico-tattici, ma ancora più appassionante. Non ci fosse stato questo match, avrebbe trovato posto nella selezione la finale parigina: ma la versione canadese penso si faccia preferire.

Halep parte meglio: sale 4-1 nel primo set, poi si fa rimontare, e sullo slancio Stephens arriva al set point. Ne ottiene due sul 6-5, e poi altri due nel tiebreak. Ma Halep riesce a salvarsi e a chiudere alla prima occasione utile, sul 10-8. Sloane incassa la delusione, e si rifà nel secondo set, che si aggiudica 6-3. Dunque, proprio come nel match francese, occorre il terzo set per stabilire la vincitrice.

Un set che procede a strappi, con continui capovolgimenti di fronte. Halep scappa avanti sul 2-0, ma poi va incontro a un momento di crisi: Stephens, con un parziale di 11 punti a 2, rovescia l’inerzia a proprio favore, sul 2-2 40-0. Pare avere girato le sorti dell’incontro, e invece Simona reagisce, e con sette punti consecutivi riesce a riprendersi il break di vantaggio che la riporta avanti.
Simona sembra filare spedita verso la vittoria, ma Stephens, sotto 2-5, ha ancora una reazione di orgoglio: salva un match point sul 2-5 e poi altri due sul 3-5. Occorrerà il decimo gioco per chiudere definitivamente il match.

Due ore e 39 minuti di lotta intensissima, nel caldo agosto tipico delle US Open Series. Il remake canadese della finale del Roland Garros diventa così uno degli incontri più combattuti, equilibrati e ben giocati del 2018, non per niente vede in campo due campionesse Slam in carica (US Open 2017, French Open 2018).
Quando si fronteggiano due giocatrici così forti nei recuperi difensivi inevitabilmente si riducono i vincenti “puliti”, e la conseguenza sono statistiche un po’ meno scintillanti. Ma forse l’aspetto più interessante è che Halep ha vinto malgrado numeri peggiori. Saldo vincenti/errori non forzati: Halep -21 (22/43), Stephens -11 (29/40). Punti totali vinti: Halep 109, Stephens 111. Simona, evidentemente, ha saputo conquistare i punti più importanti.

3. Petra Kvitova b. Kiki Bertens 7-6(6), 4-6, 6-3 – Madrid, finale
Madrid è un torneo su terra differente dagli altri, perché le particolari condizioni ambientali lo rendono adatto a più tipologie di giocatrici. I quasi 700 metri sul livello del mare della capitale spagnola riducono l’attrito dell’aria e aumentano la velocità di palla; in più i campi principali molto raccolti (con il tetto richiudibile) offrono un ambiente simile all’indoor. Anche per questo negli ultimi quattro anni abbiamo avuto vincitrici dalle caratteristiche fisico-tecniche molto differenti come Simona Halep (successi nel 2016 e 2017) e Petra Kvitova (vittorie nel 2011, 2015 e 2017).
Questo non significa però che per emergere non si debbano avere, almeno in parte, doti da terraiola, a cominciare dalla capacità di tenere duro sul piano fisico quando la partita si fa equilibrata e gli scambi si prolungano. E la finale del 2018 tra Bertens e Kvitova è effettivamente una partita tra due protagoniste estremamente vicine nel rendimento, in grande forma e fiducia: Petra reduce dalla vittoria a Praga, Kiki da quella a Charleston.

Nelle ultime tre stagioni Bertens ha vinto oltre l’80% di match sulla terra (solo Halep vanta una percentuale simile), grazie alla capacità di colpire in scivolata con grande coordinazione e a una gestione dello scambio articolata ed efficace. Difficile trovarle punti deboli, tra la spinta possente del dritto e la pericolosità, meno evidente ma da non sottovalutare, del rovescio slice, con il quale maschera l’alternanza fra la traiettoria profonda e la smorzata.

In avvio di match Kvitova conta molto sulle proprie doti offensive e punta a prevalere sulla diagonale sinistra, quella che contrappone il suo dritto mancino al rovescio di Bertens. E invece Kiki si dimostra solidissima, tanto da da conquistare un break di vantaggio. Allora Petra cambia orientamento tattico in corsa: maggiore insistenza sull’altra diagonale e la fine dell’illusione di punti rapidi e facili. Dunque chi la spunterà lo farà attraverso un match di battaglia, in cui conterà molto la capacità di soffrire. Kvitova vince il primo set al tiebreak, ma Bertens pareggia i conti nel secondo set, nel quale un unico break fa la differenza.

Nel terzo set la sensazione è che Bertens ne abbia di più fisicamente, ma Kvitova è ugualmente capace di imporsi trovando nuova linfa tecnica e mentale: da una parte riesce a stringere di più gli angoli e ad “allargare” così la quantità di campo che Kiki deve coprire; dall’altra scova in se stessa energie inaspettate, che le permettono di conquistare scambi anche quando sembra ormai in debito di ossigeno.
Il match si conclude dopo 2 ore e 51 minuti disputati a un livello non solo molto alto, ma anche straordinariamente costante. Quasi tre ore di grande tennis praticamente senza passaggi a vuoto, tra due protagoniste che in campo hanno veramente dato tutto quello che avevano sul piano fisico, tecnico e caratteriale.

a pagina 3: Le partite numero 2 e 1

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