Yips, il disturbo che crea problemi in battuta a Sara Errani. E forse anche Federer...

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Yips, il disturbo che crea problemi in battuta a Sara Errani. E forse anche Federer…

I doppi falli di Coria, il dritto “storto” e mutevole di Gulbis e il lancio di palla di Ana Ivanovic hanno una spiegazione. Per quanto riguarda la cura, invece…

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Sara Errani - Indian Wells 2019 (foto @Sport Vision, Chryslène Caillaud)
 

Non è mai stato il suo punto di forza e, se in diverse occasioni il servizio di Sara Errani si è rivelato anzi una miniera di punti per l’avversaria di turno, in altre il problema ha assunto dimensioni mastodontiche. Durante il torneo di Bogotà dello scorso aprile, per ricordare un episodio che ha particolarmente colpito il pubblico, scatenando peraltro commenti di cui non si sentiva il bisogno, l’azzurra è dovuta ricorrere con sempre maggiore frequenza alla seconda di servizio “da sotto”; nel secondo set set dell’incontro dei quarti di finale perso con Sharma, poi, Sara ha battuto solo underarm – e giustamente, perché, se la prima non entra mai, è meglio darsi due possibilità con lo stesso tipo di movimento.

Recentemente, al W60 dell’Antico Tiro a Volo di Roma, Sara è tornata a servire in modo più ortodosso lasciando certe esecuzioni all’estemporaneità di professionisti dell’intrattenimento come Nick Kyrgios, anche se restano i soliti problemi, fra cui un punto di impatto ben al di sotto dell’altezza ottimale e il lancio di palla estremamente impreciso nei momenti di maggiore tensione e spesso molto all’indietro, che agevola sì il kick, ma compromette la trasmissione di forze e, nel caso qualcuno volesse provare, mette a rischio la schiena. I guai dell’ex numero 5 del mondo ci offrono lo spunto per affrontare un problema che non tutti ancora conoscono, tanto che addirittura chi ne è afflitto può ignorare che sia documentato da medicina e psicologia sportive. Negli USA quasi non si nominano perché fanno paura, in Italia perché non ne esiste la traduzione; e, allora, (non) parliamo di yips.

CHE ROBA È? – Sul sito della Mayo Clinic (alle cui cure si sono affidati, tra gli altri, Juan Martin Del Potro, Cici Bellis, Madison Keys e Laura Robson), ci viene spiegato che gli yips sono uno spasmo involontario del polso che solitamente si verifica quando i golfisti eseguono il putt”, il colpo delicato nei pressi della buca. Ai massimi livelli, ne ha sofferto Tiger Woods, mentre gli altri sport maggiormente interessati sono il cricket, le freccette e il baseball, con il giocatore che non è più in grado di tirare la palla con precisione; non si tratta però del lanciatore dilettante al nono inning che deve eliminare il battitore avversario per non far perdere la propria squadra, bensì di un catcher (quello che sta accovacciato dietro il battitore) professionista della Major League che, a gioco fermo, non riesce più a passare la palla al suo lanciatore distante una decina di metri. E anche nel tennis, come vedremo, gli esempi sono molteplici.

Si verifica una specie di “scatto” a livello dell’articolazione del polso o del gomito che fa perdere fluidità a quello che dovrebbe essere un movimento naturale. Per essere chiari, parliamo di un colpo entrato nel bagaglio tecnico di un giocatore che, all’improvviso, sparisce. Riguardo alle cause, ultimamente, è invalsa l’ipotesi proposta dai neurologi, la distonia focale (citando il dottor House durante la diagnosi differenziale, “che sorpresa, per il neurologo è un problema neurologico!”). Anche alla Mayo confermano che “in alcune persone, gli yips sono un tipo di distonia focale che provoca contrazioni muscolari involontarie durante uno specifico compito. Con ogni probabilità, è collegato all’uso eccessivo di un gruppo di muscoli, simile al crampo dello scrittore”. E aggiungono, nel caso ci fossero dubbi, che “l’effetto è esacerbato dall’ansia”.

Ma attenzione: per quanto le conseguenze sulla prestazione possano apparire simili, gli yips non sono una variazione del blocco che può capitare sotto pressione le prime volte che si partecipa a un torneo o a pochi “15” da una vittoria importante e non vanno perciò confusi con il “braccino” o, come dicono oltreoceano, choking; per quanto, come detto, situazioni di grande tensione possano aggravare la condizione, “l’ansia non è la causa, dato che, di solito, gli yips sono presenti a prescindere dal fatto che il giocatore sia nervoso o meno e perfino quando non sente di averli”. A scriverlo è David Owen sulle pagine del prestigioso periodico The New Yorker.

Ana Ivanovic (foto Fabrizio Maccani)

LA RAGIONE HA TORTO – Con gli yips, succede esattamente il contrario di quel let it happen, lascia che accada, il concetto alla base del libro di Timothy Gallwey “Il gioco interiore del tennis”, pietra miliare dell’approccio mentale al nostro sport. Gallwey spiega che bisogna semplicemente fidarsi del proprio “io interiore”: se ci mettiamo a calcolare velocità, traiettoria e spin della palla in arrivo mentre pensiamo ai piedi, alla rotazione delle spalle, al backswing (e a cosa significa backswing), siamo pronti a colpire quando sono ormai passate dieci palline; invece, il nostro corpo è bravissimo a fare istantaneamente e istintivamente tutti questi calcoli. Provate (per modo di dire, non provateci davvero) a scendere le scale di corsa comandando razionalmente ogni muscolo, tendine, articolazione: o vi ritrovate contusi sul pianerottolo di sotto o, più probabilmente, restate fermi con un piede che penzola sopra il primo gradino.

Chi ne è affetto, allora, finisce così, “storto” o bloccato, perché la memoria muscolare preposta a un determinato gesto tecnico – l’automatismo – è andata in tilt. La locuzione inglese “paralysis by analysis” è piuttosto esplicativa: il nostro io razionale, il “Sé 1” nella terminologia di Gallwey, prende il sopravvento, pensa troppo alla meccanica del colpo, e la fiducia del “Sè 2” scompare insieme alla naturalezza (ed efficacia) del colpo stesso. Il problema non è nemmeno limitato allo sport. Per alcune persone, ad esempio, è impossibile inghiottire la pillola prescritta dal medico, non importa quanto piccola. E c’è chi, pur sanissimo sotto ogni aspetto, arriva temporaneamente al punto di non riuscire più a deglutire il cibo o addirittura la propria saliva.

I COLPI DEL TENNIS… – Il servizio è inevitabilmente il fondamentale più a rischio, probabilmente perché, diciamolo, si presenta come un colpo innaturale al primo approccio, forse proprio a cominciare dalla presa continental. Se prendiamo qualcuno che ha visto qualche incontro di tennis in TV senza averlo mai giocato e gli mettiamo in mano una racchetta dicendogli di battere, la afferra con un’impugnatura western di dritto (tipo Jack Sock), si lancia la palla poco più in alto del naso e la colpisce come se avesse in mano uno scacciamosche – altro che rotazione tronco-spalle, trophy position, spinta delle gambe, ribaltamento degli assi con la racchetta nascosta al proprio sguardo per tutto il percorso fino all’impatto che viene da domandarsi sospettosi “cosa starà succedendo là dietro?”, eccetera.

Basta davvero poco perché qualcosa in questo meccanismo si inceppi con risultati per forza di cose disastrosi. Non a caso, una piccola imperfezione tecnica in un servizio altrimenti eccellente viene solitamente ignorata; per esempio, come puntualmente illustrato dal nostro Luca Baldissera in uno dei suoi imprescindibili spunti tecnici, invece di mantenersi di taglio durante il percorso fino all’impatto, la racchetta di Matteo Berrettini guarda per un attimo il cielo, tipo il vassoio di un cameriere che si fa largo fra i troppi avventori. Il servizio di Matteo non si tocca, va benissimo così. E un altro paio di birre a questo tavolo, grazie.

Può succedere che il giocatore perda il ritmo della battuta in una giornata di vento (al secondo turno dell’ATP di Houston, si percepiva chiaramente la difficoltà di Ryan Harrison, al di là dei “soli” nove doppi falli) o a seguito di un infortunio anche piccolo che comporti una modifica più o meno volontaria dell’esecuzione. Quasi sempre, il tennista ritrova subito il ritmo; a volte, però, il pensiero si fissa su quell’ultima volta in cui le cose non andavano bene (“sto entrando con l’anca? sto puntando la palla con il tappo del manico?”) oppure c’è un’impercettibile esitazione per la paura di sentire ancora dolore o di farsi male di nuovo e il problema esplode.

… E I TENNISTI COLPITIIl caso più eclatante è stato forse quello di Guillermo Coria, il quasi campione del Roland Garros 2004. Per lui, operazione alla spalla un paio di mesi dopo quell’incredibile finale e prime avvisaglie di yips un anno dopo, con i 20 doppi falli commessi agli ottavi dello US Open contro Massu e i 14 nella sconfitta al turno successivo con Ginepri, tra cui spiccano i due consecutivi al 12° gioco del quinto set con cui ha consegnato il match allo statunitense. Dai dati disponibili relativi alla sua ultima stagione, il 2008, ne contiamo 111 in 129 turni di battuta. Per quanto riguarda le ragazze, Anna Kournikova servì 182 doppi errori in dieci incontri tra le fine del ’98 e il successivo Australian Open, mentre la fiducia al servizio di Maria Sharapova non è stata più la stessa dopo la chirurgia alla spalla del 2008.

Non può non meritare una menzione speciale, visto che è uno dei problemi di Sara, il lancio di palla di Ana Ivanovic: cosa c’è di più facile che lanciarsi quella sfera gialla sempre nello stesso punto o, se non sei uno di quelli davvero bravi, in uno dei tre punti a seconda del tipo di servizio – piatto, kick, slice – che vuoi tirare? E l’esecuzione è senz’altro facile da allenare, non serve nemmeno andare sul campo; eppure, spesso, la distanza tra la palla lanciata da Ana esageratamente dietro la propria testa e quella più sulla destra si contava in metri.

Abbandonando (malvolentieri) l’ex tennista serba, resta da chiedersi che fine avesse fatto il drittone con cui aveva vinto il Roland Garros 2008.
A proposito di dritto, Ernests Gulbis ha dichiarato che, se sta un paio di settimane senza giocare, si dimentica come si tira e la memoria di YouTube è pronta a testimoniarci le diverse versioni di quel fondamentale portate sul terreno di gioco dal lettone. A causa della perduta capacità di trovare il naturale ritmo con quello che era il suo solito movimento, Gulbis è dovuto ricorrere ad aggiustamenti dello swing e della postura finanche bizzarri, tra cui è rimasto impresso il cosiddetto “albatros”, una tragedia tecnica sia per l’uso sconsiderato del braccio sinistro sia per il punto d’impatto arretrato rispetto a quello ottimale.

Ernests Gulbis (foto Art Seitz)

Magari mette in campo meno appeal di Ernests, ma Monica Niculescu è un’altra che combina cose poco usuali dal lato destro. Stando alle sue parole, da giovanissima aveva un dritto “normale”; poi, senza motivo apparente (tensione per un incontro di torneo?), un giorno ha iniziato a uscirle così, tagliato, e tale è rimasto accompagnando e certo facilitando la sua ascesa nel ranking junior fino al numero 5. Non c’è nulla di strano o di negativo nell’avere un chop efficace, anzi; se, però, non è un’arma con cui variare lo scambio bensì l’unico modo in cui si riesce a eseguirlo perché il corpo si blocca o rifiuta il pensiero di uno swing piatto o in topspin, ecco che scomodare gli yips non sembra affatto fuori luogo.

ROGER FEDERER (!?) – Oltre a quello che si poteva capire da alcune prestazioni, il fenomeno di Basilea aveva provato in tutti i modi a suggerirlo, ma molti (non tutti) lo hanno ignorato; oppure, seconda ipotesi, non c’era nulla da capire e lui non ha suggerito alcunché. Siamo a Wimbledon 2018 e le cose si sono messe male contro Kevin Anderson, con il dritto che sembra non funzionare più come nel primo set e mezzo. Bisogna salvare il turno di servizio, la palla è comoda in mezzo al campo: dritto molto arcuato e profondo sul rovescio di Anderson che non riesce a mettere insieme un passante. Scelta tattica ineccepibile o incapacità di fare il solito buco per terra?

A Shanghai, il nastro colpito di Nishikori trattiene e alza la palla che neanche il maestro del circolo quando la accomoda per allenarti a tirare il vincente: Roger la spacca? No, fa scendere la testa della racchetta ben sotto il livello della palla e la spazzola quasi ci fosse una rete alta un metro e mezzo da superare. Melbourne, avversario Tsitsipas: dritti slice senza alcun motivo, diverse chiusure sopra la spalla destra, praticamente mai “sopra la palla”. Ma no, è una giornata storta come capita a tutti i suoi colleghi più giovani, figuriamoci a quell’età. In un’intervista successiva, rivela un piccolo infortunio alla mano proprio prima di Wimbledon che lo ha infastidito per qualche mese, assicurando che il suo dritto “tornerà a schioccare”.

Roger Federer – Australian Open 2019 (foto @Sport Vision, Chryslène Caillaud)

I COMUNI MORTALI – Come abbiamo visto, quindi, non si tratta del rovescio coperto che il tennista di circolo non ha mai imparato ed evita costantemente rifugiandosi nello slice (o, magari, lo sa fare, ma non si sente di tirarlo quando gioca un match se non costretto dalla situazione tecnico-tattica – d’altra parte, ci sono esempi eccellenti come Steffi Graf, Roberta Vinci e Steve Johnson), ma di un colpo di cui si aveva padronanza. La reazione tanto scontata quanto antipatica quando un tennista di club o un normale “quarta categoria” racconta di aver perso il servizio o il dritto è “ma tu non l’hai mai avuto”. Al contrario, il nostro giocatore della domenica (e di altre due o tre volte alla settimana) ha il dritto che esteticamente non sarà granché ma, al suo ritmo, sa tenerne mediamente in campo sei o sette consecutivi e, se l’avversario accorcia, è in grado di metterlo in difficoltà o addirittura di tirare il vincente.

Un giorno, però, sbaglia quasi ogni palla che gli arriva sul lato destro e quelle che pure centrano il campo gli danno la sensazione che ci siano finite per caso. Si sente incredibilmente goffo nello swing, non trova né il consolidato tempo sulla palla (qui, di nuovo, il suo timing, non certo quello di un seconda categoria che non avrà mai) né gli appoggi, né la giusta distanza dal punto di impatto. Insomma, il colpo che, pur con tutti i limiti tecnici fino a ieri usava per battagliare sui campi del proprio circolo, non esiste più, neppure nella sua comfort zone, contro l’amico che batte (o da cui perde) tutti i lunedì sera da tre anni.

Fra i tennisti di questo livello intervistati sull’argomento, c’è quello soggetto un paio di volte all’anno alla “perdita pressoché totale del dritto” che misteriosamente (ma fortunatamente) torna dopo poche ore di gioco; l’altro che, dopo uno strappo al polpaccio, ha ricominciato con l’ovvia paura a spingere sulle gambe ma, pur passata quella, per un mese la sua palla di servizio finiva più spesso oltre la recinzione che nell’apposito rettangolo. Abbiamo incontrato chi, giocando sopra una caviglia dolorante invece di mettersi a risposo come peraltro non farebbe alcun vero appassionato, ha verosimilmente modificato gli appoggi e, di conseguenza, perso l’efficacissimo rovescio bimane per sempre.

Ma anche il ragazzo che, alla sua prima finale, già dal palleggio si scopre incapace di centrare il campo con il dritto e attribuisce il problema alla tensione del momento, ma il suo colpo non torna durante l’ora successiva con l’amico né nei mesi seguenti; nel frattempo, migliora il rovescio bimane, già che c’è impara quello a una mano e, sorpresa, dopo un anno il dritto torna all’ovile e lui sale in terza categoria. La prossima volta che entrate in campo con la racchetta, non pensate a quello che avete appena letto.

LE CURE – Sul sito della Mayo Clinic, i suggerimenti sono rivolti ai golfisti (pare che addirittura uno su tre sperimenti prima o poi gli yips) e sono i soliti classici adattabili pure al tennis: cambio dell’impugnatura così da usare altri muscoli, attrezzo differente, tecniche di rilassamento, iniezioni di Botox (per limitare le contrazioni dei muscoli, non per apparire sorridenti dopo aver superato di cinque metri una buca a 30 cm). C’è chi propone l’immaginazione motoria o una routine prima della prestazione e non mancano gli psicologi che si dicono in grado di curare il disturbo. Sebbene esistano rassegne narrative, una revisione sistematica pubblicata nel 2018 conferma, almeno a quella data, l’assenza nella letteratura scientifica di prove conclusive sull’efficacia di qualsiasi piano di trattamento. Prima di ricorrere a un professionista (senza per questo eludere l’analisi della propria situazione extra-tennistica, quindi lavorativa, familiare…), vediamo altre soluzioni.

Fermo restando che gli yips su un colpo al rimbalzo sono presenti perfino se si va a tirare contro il muro, c’è chi trova inspiegabili benefici palleggiandoci impugnando la racchetta con l’altra mano (i destrimani tireranno il dritto con la sinistra) oppure passando dal rovescio monomane al bimane o viceversa. Esistono poi alcuni escamotage temporanei che, lungi dal far direttamente tornare il proprio colpo come per magia, possono salvare la giornata, anche nel caso di banale eppur spiacevole choking. L’aiuto maggiore è disporre di un colpo alternativo. Per esempio, chi normalmente gioca il dritto in topspin con il finale a tergicristallo (windshield wiper forehand, per chi preferisce l’inglese) e una presa semi-western può passare alla continental, impugnatura che richiede uno swing diverso da quello “dimenticato” e concede un punto di impatto più arretrato, senza dubbio più agevole quando si è preda di insicurezze; se proprio non se ne esce, c’è sempre lo slice. Il taglio sotto la palla è naturalmente la prima soluzione se è il rovescio piatto o coperto a scomparire. Il servizio può invece beneficiare di un movimento abbreviato, con il braccio-racchetta che va per fuori-alto eliminando la caduta della testa dell’attrezzo dietro la schiena.

RIDIAMOCI SU – Gli yips sono entrati di prepotenza anche nella cultura pop americana. Diverse serie TV hanno dedicato un episodio al fenomeno, tra cui How I Met Your Mother (tradotto con “cilecca”) e Psych (“blocco mentale”). All’epoca, il termine coniato dal golfista Tommy Armour non era ancora entrato nell’uso comune, altrimenti avrebbe probabilmente trovato spazio nella puntata di Happy Days in cui Fonzie perde il suo “cool”: il juke-box non parte più con il colpetto della mano e la bellona di turno non cade ai suoi piedi al solito schiocco di dita.

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