Berrettini, Fognini, Fabbiano: tutti in ottavi? Due azzurri sono favoriti, il terzo può farcela

Editoriali del Direttore

Berrettini, Fognini, Fabbiano: tutti in ottavi? Due azzurri sono favoriti, il terzo può farcela

LONDRA – Già 3 al terzo turno c’erano stati solo nel 1949. Scoprite qui chi erano. In ottavi potrebbero trovare Federer, Querrey e Anderson

Pubblicato

il

Thomas Fabbiano - Wimbledon 2019 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

Spazio sponsorizzato da Barilla

da Londra, il direttore

Oggi a Wimbledon mi sono sentito improvvisamente troppo giovane. Eh già, infatti non c’ero – sarei nato un paio di mesi dopo – nel 1949 quando 4 tennisti italiani si qualificarono per il terzo turno dei Championships. Come anche, per la prima volta nell’Era Open, Fabbiano, Fognini, Berrettini. In un momento di esagerata esaltazione potremmo, montandoci il capo, dire che anche noi abbiamo due Fab, anche se il primo lo è di cognome e il secondo di nome. Mentre il terzo è solo un Cap (little Cap).

Bando alle battute di scarso appeal… mi duole dirlo, tre di quei quattro tennisti che raggiunsero contemporaneamente il terzo turno li ho conosciuti e li ho perfino visti giocare a tennis. Mi manca, nelle mie personali figurine Panini, Gianni Cucelli (in realtà Kucel, quando Istria e Dalmazia erano ancora italiane, e meno male perché sennò anche Orlando Sirola nato a Fiume, Rjeka oggi, ce lo saremmo perso, insieme al suo trionfo al Roland Garros in doppio con Pietrangeli, alla finale di Wimbledon, a decine di vittorie in Coppa Davis dove i due, soprattutto in Europa, erano praticamente imbattibili).

Poiché pochi sapranno come arrivarono al terzo turno i nostri quattro moschettieri di allora, ve lo dico io. Anche se temo proprio che alla grande parte dei lettori di Ubitennis i nomi dei loro avversari diranno poco o nulla. Poi però vi dirò qualcosa sui nostri eroi di allora. Lo anticipo sperando di incuriosirvi almeno un poco.

Dunque: Marcello Del Bello vinse per W/O su Skonecki (dal quale avrebbe probabilmente perso) e poi su Stolpa 6-1 al quinto, prima di cedere a Cockburn troppo più forte, 6-0 6-2 6-3. Rolando Del Bello, il fratello più giovane, Salo e Vad in 4 set ma poi cedette all’indiano Kumar (cui avrei fatto da raccattapalle a Firenze ed era un personaggio fantastico). Marcello era più singolarista, Rolando più doppista. Non si somigliavano per niente. Marcello, pochissimi capelli quando l’ho conosciuto, era magrissimo, di carnagione scurissima, forse anche perché stava ore e ore sul campo, era un formidabile corridore, remava in fondo al campo e dovevi fargli il punto dieci volte. Rolando era più biondastro, anche qualche ricciolo, ben più rotondo, carnagione così chiara che ti domandavi come potessero essere fratelli, più incline a scherzi e sorrisi, decisamente più pigro, ma molto più dotato di tocco, soprattutto a rete dove eccelleva.

Cucelli, che forse era un turno indietro in aspettito, battè Huber, Motram e Peten prima di perdere dal sudafricano Eric Sturgess (classe 1920) che, finalista in tre finali di Slam e in altrettante semifinali, era di un’altra categoria.

Infine Vanni Canepele batté in tre set Reeve e Butler (mai sentito nominare quest’ultimo? Vi dice nulla la Coppa Butler a Montecarlo? Il tradizionale Player Party rilanciato da Anna Galoppo e Cecilia Ghe nacque grazie a sua moglie) e perse in tre da Frank Sedgman, il grande campione australiano che avrebbe vinto soltanto 22 titoli dello Slam fra singolari e doppi. In singolare ha vinto gli Australian Championship 1949 e 1950; gli U.S. Championship nel 1951 e nel 1952 e il Torneo di Wimbledon 1952. In quell’anno giunse in finale anche agli Australian Championships e al Roland Garros.

Ecco di Vanni Canepele, anzi dell’avvocato Canepele, autore di tantissimi scritti giuridici legati alle discipline sportive potrei raccontare mille aneddoti singolari, avendoci giocato il doppio a fianco al circolo tennis Firenze, città dove lui bolognese si era trasferito per aver sposato una marchesa fiorentina, Mimì Rosselli del Turco, dopo che aveva vinto gli Assoluti italiani sia nel ’39 sia nel ’49. Quando furono ripresi dopo la seconda guerra. Sarebbe stato anche il mio relatore per la mia tesi di laurea in diritto penale, molti anni dopo.

Nel primo doppio che giocammo insieme, sul campo davanti alla club house delle Cascine, gli avversari a un certo punto giocarono un lob mal riuscito, assai corto, che rimbalzò vicino alla rete. Io stavo per avventarmici, lui mi precedette e fermò la palla in aria con la mano: “Troppo facile!”. Si girò e andò a servire per il punto successivo, lasciando gli amici avversari interdetti.

D’estate, al Tennis Roma della famiglia Taddei e del maestro Bertolucci, Gino, il papà di Paolo che insegnava il più bel rovescio del mondo in pantaloni lunghi di flanella beige, tutte le sere giocavamo due, tre ore di doppi a girare. Cinque o sei amici. Compreso mio padre, Fausto Gardini, Lea Pericoli, Paolo Galgani, Loris Ciardi, Lapo Focosi, Mario Isidori, l’avvocato Canepele, il “Pomero” De Stefani, Eugenio Migone, Guccio Bichi Ruspoli, Fabio Rossi e chi altri c’era purché fosse o prima, o seconda categoria o un forte terza.

Ogni set vinto da una coppia che poteva godere anche di un vantaggio, un game, un 15 in alcuni game, valeva 1000 lire. Ma non era chic parlare di soldi, c’erano anche tante signore che venivano a vedere. E allora le volgari 1000 lire erano state ribattezzate in un… più elegante caffè. A fine di ogni serata chi aveva vinto 1 set più di quelli persi aveva vinto un caffè, se ne aveva vinti due erano due caffè.

L’avvocato Canepele, personaggio tanto spiritoso quanto tirchio, era un pessimo pagatore. Così quando una sera io vinsi alla fine di 3 set vinti e 2 persi il famoso caffè, tutti mi dissero di andare a “riscuotere il caffè” da Canepele ben sapendo quanto fosse difficile. Deferente per il gap anagrafico e il ben diverso CV, mi rivolsi a lui con un “scusi avvocato, ma lei mi dovrebbe un caffè…”. “Umorista!” replicò immediatamente con quella esse bolognese strisciante che 20 anni di frequentazioni fiorentine non avevano intaccato. “Avvocato non si preoccupi, se non può darmele oggi, me le darà domani…” dissi con una certa timidezza. “Ottimista!” ribatte subito, lasciandomi senza parole.

Senza parole rimase anche il collega della Nazione Carlino Mantovani, appassionatissima tennista della domenica. Giocò alcuni palleggi sotto gli occhi dell’avvocato e poi gli chiese: “Avvocato, mi scusi, ma che dovrei per migliorare il mio rovescio?”. E Canepele: “Man-to-va- ni… – disse scandendo benissimo tutte le sillabe prima di una pausa – si riposi per sei mesi…”, e giù un’altra pausa. “E poi avvocato… e poi?”. “E poi… smetta definitivamente!” sempre con la esse sibilante.

Racconterò l’ultima anche se ne avrei tantissime ancora. Canepele, capitano di Coppa Davis quando l’Italia vinse sull’erba di Perth contro gli Stati Uniti la semifinale interzone grazie a una prodigiosa rimonta di Orlando Sirola su Barry MacKay (perse oppure gli sfilarono l’orologio nella calca del trionfo e perorò presso il presidente federale di allora, Luigi Orsini perché “anziché la solita medaglia a ricordo dell’impresa per la conquista della prima finale di Davis contro l’Australia, molto meglio un bell’orologio ricordo!”) fu eletto per la prima volta nel consiglio federale, allora composto da 8 membri.

Vigeva consuetudine che il neoeletto offrisse il pranzo a tutti gli altri consiglieri anziani. Al momento del conto il presidente Orsini fece un segno al cameriere perché lo portasse a Canepele. Tutti si scambiarono un segno d’intesa. Canepele non fece una piega. Aprì con voluta lentezza il foglio ripiegato del conto e… ”sedicimila, perfettamente divissssciibile!”. Strappò l’ilarità generale e, indenne, se la cavò anche quella volta.

Vabbè, spero di non avervi stufato. Vero che oggi certi personaggi non ci sono più. Si attaccano alle poltrone come sanguisughe e non ti fanno sorridere neppure una volta per sbaglio.

Parliamo invece di Berrettini e Fognini, visto che di Fabbiano abbiamo già parlato a lungo per le sue virtù di “Giant-Killer” così poco gradite a Opelka e Karlovic e anche perché sta per uscire un eccellente articolo di Roberto Ferri sugli attuali top-ten degli “under 1 metro e 80” con una brillante storia su un campione di un metro e mezzo (o poco più… stiamo verificando l’esatto numero dei centimetri) capace di centrare – udite udite – due quarti di finale a Parigi, tre terzi turni a Wimbledon, quattro ottavi ai Campionati degli Stati Uniti, quando ovviamente non erano ancora Open. Vi voglio sadicamente lasciare con la curiosità di scoprire chi fosse.

Allora non starò a ripetere le eccellenti, dettagliate cronache dei due match vinti da Berretto e Fogna (oh, io non mi sarei permesso, dati anche i rapporti non idilliaci con il secondo, di ribattezzarli così, ma se lui per primo e i suoi amici non ci trovano nulla di disdicevole, io non capisco – come diceva Ferrini, comico nel team di Arbore – ma mi adeguo).

Certo è che Berrettini è sembrato tennista di altra epoca rispetto al pur glorioso (e ieri commosso e commovente) Baghdatis al canto del cigno. Ha rischiato di rimetterlo un attimo in corsa sul finire del secondo set quando si è distratto al momento di servire per il secondo set – subendo l’unico break e ritrovandosi a un tiebreak che era più prudente evitare – ma per il resto è stato sempre talmente in controllo che non c’è mai più stato un momento nel quale si potesse temere per lui.

Tutto il contrario per Fognini, dal quale non sai mai cosa attenderti. Pause e regali quando c’è lui non sono mai pochi, così come i colpi strappa-applausi capaci di suscitare mini-orgasmi nei veri intenditori del bel gioco.

Fabio Fognini – Wimbledon 2019 (foto Roberto Dell’Olivo)

Doveva vincere il primo set e lo ha perso. Era avanti di due set a uno e ha perso male il quarto. Era avanti di un break e si è fatto raggiungere sul 3 pari. Lì, con una discreta angoscia nel cuore, sono dovuto scappar via a malincuore dalla sala stampa, per assistere ad una delle più vivaci conferenze stampa degli ultimi tempi, quella di Kyrgios che ne ha dette di tutti i colori sul conto dell’arbitro francese ma non è stato tenero neppure con Nadal che evidentemente non sopporta. Antipatia del resto reciproca che avrebbe immediatamente percepito anche il non addetto ai lavori che avesse visto anche soltanto la stretta di mano finale fra i due, senza che i loro occhi si incrociassero per un nano secondo. Mentre Kyrgios si toglieva tutti i sassolini dalle scarpe vedevo sul monitor che Fognini vinceva gli ultimi tre game, break all’ottavo gioco e ultimo servizio tenuto agevolmente.

Beh, avrebbe potuto fare la metà della fatica per arrivare per la quinta volta al terzo turno, ma alla fine l’importante è che ce l’abbia fatta. E forse che anche il suo prossimo avversario, Sandgren, da lui battuto due volte su due ma sulla superficie più amata e dopo 2 battaglie poco rassicuranti nel 2018 – 4-6 6-4 7-6(6) a Rio in ottavi, 7-6 7-6 nei quarti a Ginevra – ha dovuto soffrire per 3 ore e tre quarti per aver ragione di Simon, il francese che con Fognini vantava ben diverso record: 5 vittorie a zero! “Ma io l’ho battuto a Montecarlo…” scherzava Fabio che al Country Cub approfittò di un virus intestinale occorso al francese bestia nera.

Insomma, Sandgren serve bene, è vero, e Fognini quache break lo subisce sempre, però al terzo di turno di Wimbledon non ti può capitare tanto di meglio. Dopo 5 terzi turni, questo sembra la volta buona per raggiungere gli ottavi e la seconda settimana per la prima volta. In fondo questo 2019 fin qui ha girato bene. E, anche se guai a anche solo ipotizzare più di un passo alla volta quando gioca Fabio, se superasse Sandgren per raggiungere i quarti non si troverebbe di fronte una testa di serie, ma Millman o più probabilmente Querrey (che certo su questi campi una testa di serie la vale…).

Vedo francamente con più chances di arrivare al quarto turno lui che non Fabbiano oggi con quella vecchia volpe di Verdasco il quale sembra talvolta accusare qualche dolorino – ora la schiena… si è ritirato dal doppio, secondo me per precauzione – ma poi prima di mollare si farebbe crocifiggere. Sta giocando il 65mo Slam di fila… insomma non si può davvero dire che la salute lo abbia mai davvero abbandonato. Sei volte in carriera ha vinto match risalendo da 2 set a zero. Soltanto cinque tennisti in attività sono riusciti in un numero maggiore di remuntade. Era sotto due set anche contro Kyle Edmund (e tutto il Regno Unito) l’altro giorno, eppure ha vinto il terzo al tiebreak e poi quarto e quinto 6-3 6-4 alla faccia dei 36 anni che compirà a novembre.

È mancino Fernando e i mancini a Wimbledon, più che altrove, sarebbe sempre meglio poterli evitare. Se qua, in 16 precedenti apparizioni, il madrileno è arrivato 5 volte negli ottavi (e nel 2013 nei quarti, perse da Murray dopo essere stato avanti 2 set a zero), beh, non può essere un caso. Unica statistica a conforto delle speranze di Fabbiano: negli ultimi 3 anni qui Verdasco aveva sempre perso al primo turno. Insomma o ha preso lo stesso elisir di giovinezza del suo concittadino Feliciano Lopez ed è tornato a nuova vita quando nessuno più se lo aspettava, oppure le avvisaglie di un suo declino avevano un senso.

Ho lasciato per ultimo Matteo Berrettini, forse perché dei 3 è quello che a mio avviso e sulla carta ha più chances di diventare il quinto italiano dell’Era Open a raggiungere gli ottavi dopo Adriano Panatta nel ’79, Davide Sanguinetti nel ’98, Gianluca Pozzi nel 2000, Andreas Seppi nel 2013.

Le sue caratteristiche tecniche, servizio in particolare, la sua continuità sull’erba depongono a suo favore nei confronti del Peque, del piccolo Schwartzman che peraltro gli ha fatto un doloroso sgambetto agli ultimi Internazionali d’Italia. Ma insomma, sebbene si sottolinei spesso l’importanza degli appoggi bassi e dei colpi piatti sull’erba dell’argentino che ha fin qui dominato nei precedenti due turni (Ebden e Koepfer), secondo me il Berrettini di oggi è talmente sereno e convinto dei suoi mezzi che lo vedo vincente. E quindi avversario del suo idolo Federer (che avrà prima in Pouille il primo avversario di una certa consistenza) che… gli è sfuggito due volte. A Roma quando Matteo fu fermato dal norvegese Ruud, a Halle quando lo stop gli fu imposto dal belga Goffin. Speriamo che qui non valga la regola del due senza tre.

Matteo Berrettini – Wimbledon 2019 (foto Roberto Dell’Olivo)

Dirò, a questo punto, di più: se tutti e tre gli azzurri approdassero agli ottavi mi stupirei forse per la triplice circostanza concomitante, ma non per ciascun singolo successo. Questo 2019 sembra l’anno buono perché accadano vicende inconsuete. Perché non sperarci? Due su tre, Berrettini e Fognini, sono favoriti anche in termine di classifica, per quel che conta, e quanto a Fabbiano il modo in cui ha giocato sia con Tsitsipas n.6 del mondo sia con Karlovic, consente di essere fiduciosi in un’altra sua brillante prestazione. Insomma, fatemi sognare un bel tre a zero Italia, che vorrebbe dire tutti e tre in seconda settimana. Questo sì che sarebbe un risultato degno di entrare a vele spiegate nella storia del nostro tennis.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement