WTA, diario di un decennio: il 2018

Al femminile

WTA, diario di un decennio: il 2018

Nona puntata dedicata agli anni ’10 in WTA: la fine del tabù Slam per Caroline Wozniacki e Simona Halep, i segnali importanti delle nuove generazioni e la vittoria di Naomi Osaka a New York nella finale più discussa degli ultimi anni

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Naomi Osaka e Serena Williams - US Open 2018 (foto Art Seitz c2018)
 

Nono articolo dedicato agli anni ’10 del tennis femminile, che tratterà del 2018. Per la illustrazione dei criteri adottati, rimando alla introduzione del primo articolo, pubblicata martedì 26 novembre.

ANNO 2018

Australian Open 2018
Si potrebbe definire il primo Slam del 2018 come quello della supremazia del tennis difensivo su quello offensivo. Wozniacki, Halep, Kerber e Mertens sono le semifinaliste, e forse per la prima e unica volta negli anni ’10 manca fra le ultime quattro una giocatrice con caratteristiche spiccatamente di attacco.

Era stata Angelique Kerber nel 2016 a interrompere lunghi anni di prevalenza negli Slam di tenniste aggressive; l’edizione 2018 degli Australian Open rappresenta il punto più alto della tendenza opposta, basata sulla efficacia del gioco di contenimento.

Nel quarto presidiato da Elina Svitolina emerge Elise Mertens, che sconfigge nettamente Svitolina (6-4, 6-0). Kerber (testa di serie numero 21) esce vincitrice dalla porzione di tabellone teoricamente di Muguruza (tds 3), e che offre le partite più sorprendenti della prima settimana. È merito soprattutto di Hsieh Su-Wei: la giocatrice di Taiwan sconfigge Garbiñe al secondo turno e Radwanska al terzo, grazie al suo tennis creativo che in questo torneo si esprime ai massimi livelli. E poi dà vita a un grande match contro la stessa Kerber, che prevale solo al terzo set al termine di una partita memorabile.

Ma il cammino è tutt’altro che tranquillo anche per le altre due semifinaliste, le teste di serie numero 1 Halep e numero 2 Wozniacki. Entrambe seguono la tradizione delle ultime edizioni degli Australian Open, che ha visto arrivare in finale giocatrici sopravvissute a match point contrari. Era accaduto nel 2014 (Li Na, poi vincitrice), 2015 (Sharapova), 2016 (Kerber, poi vincitrice).

A Caroline lo spavento capita nel secondo turno contro Jana Fett. La croata numero 119 del ranking si trova a condurre nel terzo set 5-1, 40-15 e servizio. Sul primo match point serve una prima imprendibile che atterra vicinissima alla linea del servizio. Dentro? Fuori? La giudice di linea la chiama fuori, e Fett, malgrado le indicazioni del suo angolo, rinuncia a chiedere la verifica del falco.

Fett perderà i due punti successivi e poi Wozniacki rimonterà vincendo sei game consecutivi sino al 7-5 finale.

Halep invece rischia addirittura due volte. La prima nel terzo turno contro Lauren Davis. Un match maratona, sotto un caldo terribile, tra due giocatrici che amano il tennis basato su scambi articolati. Simona salva tre match point consecutivi sull’10-11, 0-40 e servizio.

Halep vince 4-6, 6-4, 15-13 dopo 3 ore e 44 minuti di lotta. Ma le sue fatiche non sono finite, visto che in semifinale dà vita a un altro incontro durissimo contro Angelique Kerber. È un’altra battaglia estremamente incerta, che non può che concludersi al terzo set. Simona ha due match point sul 5-4 e servizio, ma non riesce a chiudere. E deve a sua volta fronteggiare due match point sul 5-6, 40-15 servizio Kerber:

Per la seconda volta nel torneo Simona si salva a un passo dal precipizio, finendo per vincere per 6-3, 4-6, 9-7. E dovrà essere pronta a un altro match fisicamente durissimo contro Wozniacki che ha sconfitto in due set Mertens.

Wozniacki b. Halep 7-6(2), 3-6, 6-4 Australian Open, Finale
La finale dura quasi tre ore (169 minuti), e si disputa nella Rod Laver Arena con il tetto aperto. A causa della condizioni climatiche estreme, si applica la cosiddetta heat rule, la norma che prevede dieci minuti di pausa al termine del secondo set. Con due tenniste molto forti nel gioco di contenimento, diventano fondamentali i fattori tattici e quelli fisici.

Parte tattica: scendono in campo una giocatrice simmetrica come Halep (cioè con dritto e rovescio equilibrati), contro una giocatrice asimmetrica come Wozniacki (che possiede rovescio di grande qualità, ma dritto incerto). Dunque sulla carta la diagonale sinistra si annuncia con un leggero vantaggio danese, quella destra a vantaggio rumeno.

Da sempre il primo accorgimento a cui Caroline ricorre per non soffrire troppo con il suo colpo più debole è adoperare spesso il dritto lungolinea, in modo da invogliare l’avversaria a costruire il gioco sulla diagonale sinistra, quella dei rovesci. In sostanza (a conferma della sua asimmetria) Wozniacki usa i lungolinea con due obiettivi opposti: a scopo offensivo con il rovescio, a scopo difensivo con il dritto.

Di fronte a questa strategia, Halep ha fondamentalmente a disposizione due soluzioni: la prima, più prudente, prevede la replica al dritto lungolinea con il rovescio lungolinea, per rifiutare la “proposta” avversaria di spostare lo scambio sulla diagonale sinistra. La seconda soluzione prevede invece di aggredire le palle meno incisive del dritto di Wozniacki con accelerazioni di rovescio incrociato, in modo da mettere in soggezione l’avversaria e provare a ottenere vincenti diretti.

Ma Halep non riesce a capitalizzare abbastanza con questa seconda opzione: in parte per le grandi capacità di Caroline nelle fasi di contenimento; in parte per una certa difficoltà a produrre vincenti immediati. E quando Simona non riesce a fare male con il suo primo rovescio incrociato, si trova incastrata sulla diagonale destra: esattamente l’obiettivo di Wozniacki. E così una tennista che sulla carta ha un deficit tecnico di una certa rilevanza, riesce a fare partita pari, “mascherando” i propri limiti.

Ma quanto più i fattori tecnico-tattici si equivalgono, tanto più diventano determinanti quelli fisici. Halep ha speso di più nei turni precedenti, ed è reduce da una semifinale logorante contro Kerber. Nei game finali il confronto si decide sul terreno più favorevole a Wozniacki: quello della resistenza.

Sintesi definitiva dell’ultima parte di match è il punto del terzo set sul 5-4, 30-30 in cui Simona non riesce a sfondare le difese avversarie, è destabilizzata da un rovescio in cross strettissimo di Caroline (davvero un gran colpo), e finisce per perdere il quindici, pagandone le conseguenze anche nello scambio successivo. Infatti sul match point sbaglia un colpo non impossibile, chiudendo la partita con un rovescio in rete.

L’evoluzione tecnico-tattica del confronto ha reso decisive le doti fisiche. E, nel caldissimo sabato di Melbourne, fisicamente la più forte è Caroline Wozniacki. Dopo le maratone contro Davis e Kerber, lo sforzo richiesto a Simona Halep durante la finale è tale da farle passare la notte precauzionalmente in ospedale, ricoverata per problemi di disidratazione.

Wozniacki riesce finalmente a coronare un sogno inseguito per tutta la carriera: conquistare uno Slam. Non c’era riuscita da giovanissima emergente, quando era stata battuta da Clijsters in finale agli US Open 2009. Non era riuscita a vincere Major nemmeno nel periodo in cui era stata numero 1 del mondo (fra il 2010 e il 2012). E le era sfuggito nel 2014, quando era tornata in finale a New York, ma aveva trovato una Serena troppo superiore.

Il successo a Melbourne rappresenta una grande rivincita professionale per Wozniacki, spesso accusata di essere incapace di vincere i tornei che contano davvero. E per quattro settimane Caroline tornerà anche numero 1 nel ranking. Il 2018 è la sua ultima grande stagione prima di scoprire di soffrire di artrite reumatoide, un passo che la avvicina al ritiro annunciato per gli Australian Open 2020, il torneo che le ha regalato la soddisfazione più grande della carriera.

a pagina 2: Da Indian Wells a Parigi

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