WTA, diario di un decennio: il 2018 - Pagina 4 di 4

Al femminile

WTA, diario di un decennio: il 2018

Nona puntata dedicata agli anni ’10 in WTA: la fine del tabù Slam per Caroline Wozniacki e Simona Halep, i segnali importanti delle nuove generazioni e la vittoria di Naomi Osaka a New York nella finale più discussa degli ultimi anni

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Naomi Osaka e Serena Williams - US Open 2018 (foto Art Seitz c2018)
 

US Open 2018
Flushing Meadows 2018 passa alla storia come un torneo speciale, a causa di una finale che supera i confini dello sport e finisce per far discutere anche chi normalmente non segue il tennis.

Ma allo stesso tempo è un torneo che comincia come molti Slam del periodo: dopo Wimbledon anche a New York escono anzitempo praticamente tutte le Top 10. Resistono fino ai quarti di finale Pliskova (8) e Stephens (3), ma in semifinale ci arrivano quattro teste di serie comprese fra il numero 14 e il numero 20: Keys 14, Williams 17, Sevastova 19, Osaka 20.

La numero 1 del mondo Halep è eliminata al primo turno da Kaia Kanepi, la numero 2 Wozniacki al secondo turno da Lesia Tsurenko. La numero 3 e campionessa in carica Stephens è sconfitta da Sevastova, che a distanza di dodici mesi si prende la rivincita (nel 2017 Sloane l’aveva battuta al tiebreak del terzo set). La numero 4 Kerber si ferma al terzo turno contro Cibulkova.

Dopo i primi turni la sensazione è che siano tre le giocatrici che stanno giocando meglio: Serena Williams, Naomi Osaka e Aryna Sabalenka. Solo che Naomi e Aryna sono in rotta di collisione nello stessa porzione di draw: se la vedono agli ottavi di finale e la vittoria in tre set di Osaka è uno dei passaggi decisivi per il destino del torneo.

Osaka b. Sabalenka 6-3, 2-6, 6-4 US Open, 4T
Uno dei match memorabili del 2018. Forse non il più bello, non il più vario e nemmeno il più creativo, ma di sicuro una partita giocata con una intensità e una potenza rare. A partire da battute attorno ai 190 km/h, per proseguire con risposte di alta qualità e uno sviluppo dello scambio con una palla estremamente profonda e pesante. Sabalenka si rivelerà l‘unica giocatrice in grado di togliere un set alla Osaka concentratissima e senza passaggi a vuoto di questa edizione degli US Open.

Il primo set è controllato da Osaka, che toglie due volte il servizio a Sabalenka senza mai cedere il proprio: in perfetta continuità con il resto del torneo: 6-3.

Ma nel secondo set Aryna reagisce e produce il massimo sforzo: è lei a servire meglio, a spingere al massimo in ogni frangente di gioco, riuscendo a tenere in campo quasi ogni accelerazione. E così strappa due volte la battuta a Naomi senza mai cedere la propria. 6-2 Sabalenka.

Si decide tutto al terzo set. Comincia a servire Osaka, e i primi due game sono tenuti a zero da entrambe. Nel terzo game Sabalenka se possibile diventa ancora più aggressiva e riesce a strappare il servizio a Naomi. Addirittura ottiene il punto decisivo rispondendo a una seconda e buttandosi immediatamente a rete, trasposizione in chiave contemporanea del chip&charge.

Ora Osaka è veramente con le spalle al muro. Si può dire sia il momento più difficile di tutto il suo Slam, l’unico nel quale si trova in svantaggio: Naomi reagisce, risponde benissimo e ottiene il controbreak immediato. Da questo momento in poi il servizio di Osaka tornerà a essere intoccabile, dato che nei turni successivi perderà in totale due soli punti.
E questa eccezionale efficacia in battuta mette grande pressione ad Aryna. Che si salva sul 2-3 0-40; ma la stessa situazione si ripete sul 4-5, e quindi ogni palla break è automaticamente un match point. Di nuovo Sabalenka risale da 0-40, ma poi cede al quarto match point. A condannarla è un doppio fallo.

Flushing Meadows 2018 è una edizione con punte di caldo estremo, tanto da incidere sull’andamento dei match. Nei giorni peggiori a volte le giocatrici che si trovano indietro nel punteggio quasi non hanno la forza di reagire: probabilmente il caldo toglie non solo energie fisiche, ma anche mentali. In condizioni così al limite, più o meno consciamente, prevale l’istinto di conservazione, che rende l’ipotesi della rimonta come qualcosa al di là delle proprie possibilità fisiche. E così tutti i quarti di finale si concludono in due set, con match poco combattuti: dopo i primi game sono già indirizzati.

Anche le semifinali si risolvono in vittorie in due set. Serena supera Sevastova 6-3, 6-0, Osaka batte Keys 6-2, 6-4.

Naomi è da sempre una dichiarata ammiratrice di Serena, la tipica fan che da ragazzina appende in camera il poster del suo modello di sportiva. Si sono già incontrate a Miami, quando Williams era ai primi passi del rientro dopo la gravidanza (Osaka aveva vinto in due set). Ma ora le cose sono diverse: Serena ha una condizione di forma ben superiore e ha alle spalle una fresca finale Slam, a Londra.

Osaka b. S. Williams 6-2, 6-4 US Open, Finale
Come a Wimbledon, Serena è favorita, ma come a Wimbledon la sua avversaria parte meglio. Osaka non si dimostra inferiore nei colpi di inizio gioco e ha più spesso la prevalenza una volta entrate nello scambio. La sorpresa ulteriore è che Osaka sembra avere la meglio anche in uno dei maggiori punti forza di Williams: nello scambio sulle diagonali attraverso gli incrociati stretti. Due break (al terzo e quinto game) decidono il primo set: 6-2 per Naomi.

Secondo set. Durante il secondo game, il giudice di sedia (il portoghese Carlos Ramos) punisce Serena con un warning per coaching. Ha valutato i gesti del suo allenatore, Patrick Mouratoglou, come consigli illeciti. Di per sé un solo warning non provoca conseguenze, ma può incidere sul punteggio se ne arrivano altri.

Nel quarto game Serena strappa la battuta a Osaka per la prima (e unica) volta nel match, e sale 3-1. Ma Naomi reagisce immediatamente e ottiene il controbreak: 3-2. A questo punto arriva il secondo passaggio cruciale sul piano disciplinare. Serena ha un gesto di rabbia e rompe la racchetta. In questi casi il warning è inevitabile, e le costa un quindici.

Naomi tiene la battuta a zero e pareggia sul 3-3. E poi si porta avanti con il secondo break consecutivo: 4-3 e servizio. Al cambio campo arriva un terzo warning per Serena per le parole che rivolge all’arbitro. Probabilmente ciò che induce Ramos a intervenire per la terza volta è quando Serena gli dice: “Mi hai rubato un punto, sei un ladro”.

Il terzo warning significa un game perso e così Osaka tiene il turno di battuta del 5-3 senza giocare. Il pubblico, compattamente schierato per la giocatrice di casa, non la prende bene: lo stadio è ormai una bolgia, con gli spettatori che gridano anche durante gli scambi. Ma di fatto gli ultimi due giochi seguono la logica dei servizi: Serena tiene il proprio a zero, mentre Naomi vince quello definitivo a 30. 6-2, 6-4 in 1 ora e 19 minuti.

Segue un post-match unico e probabilmente irripetibile: la cerimonia con il pubblico in subbuglio, le lacrime di Naomi che si scusa per la vittoria, la conferenza stampa con le recriminazioni di Serena, gli articoli pro/contro le sue parole, gli opinionisti di ogni provenienza (anche quelli che non conoscono le regole del tennis) che prendono posizione.

Indipendentemente da come si voglia giudicare il comportamento di Serena, tutti sul momento si dispiacciono per Osaka: per il finale di partita tra le urla del pubblico, per come non abbia potuto godersi la premiazione, per avere perso il ruolo di protagonista che spetterebbe alla vincitrice. Ma a distanza di tempo mi sento di aggiungere che Naomi da questa vicenda è uscita con un surplus di carisma che probabilmente non avrebbe potuto conquistare in un match normale.

Intendiamoci: non sto certo dicendo che sia stata fortunata, ma che le circostanze negative hanno comunque finito per ingigantirla sul piano della personalità, facendone una figura più stimata e popolare di quanto non sarebbe stato altrimenti.

Sul piano sportivo la sua vittoria ha un valore epocale per una nazione: Osaka diventa la prima tennista giapponese a vincere uno Slam. Ed è la seconda giocatrice nata nel 1997 a conquistare un Major, dopo il Roland Garros 2017 di Jelena Ostapenko.

Finale di stagione
Come sempre l’anno si chiude con i due Masters. Per l’ultima volta le WTA Finals si tengono a Singapore: su un campo lento come non mai, prevale Elina Svitolina in finale su Sloane Stephens, chiudendo il cerchio di una stagione iniziata con il successo di un’altra giocatrice di difesa come Wozniacki. Come già nella finale del Roland Garros, Stephens vince il primo set, ma poi cede alla distanza (3-6, 6-2, 6-2).

Mentre nel “Masterino b” di Zhuhai vince una giocatrice che farà parlare di sé nel 2019: Ashleigh Barty.

Rimangono da citare due dati significativi. Al numero 1 del mondo chiude per il secondo anno consecutivo Simona Halep, davanti a Kerber, Wozniacki, Svitolina. Quattro giocatrici con un grande gioco di difesa ai primi quattro posti.

Mentre per quanto riguarda gli Slam, fra il 2017 e il 2018 vanno in archivio otto nomi differenti per gli otto titoli. Dagli Australian Open 2017 agli US Open 2018 queste sono le vincitrici: Serena Williams, Ostapenko, Muguruza, Stephens, Wozniacki, Halep, Kerber, Osaka.

Le puntate precedenti:

WTA, diario di un decennio: il 2010
WTA, diario di un decennio: il 2011
WTA, diario di un decennio: il 2012
WTA, diario di un decennio: il 2013
WTA, diario di un decennio: il 2014
WTA, diario di un decennio: il 2015
WTA, diario di un decennio: il 2016
WTA, diario di un decennio: il 2017

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