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Al femminile

WTA, diario di un decennio: il 2018

Nona puntata dedicata agli anni ’10 in WTA: la fine del tabù Slam per Caroline Wozniacki e Simona Halep, i segnali importanti delle nuove generazioni e la vittoria di Naomi Osaka a New York nella finale più discussa degli ultimi anni

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Naomi Osaka e Serena Williams - US Open 2018 (foto Art Seitz c2018)
 

Wimbledon 2018
A Wimbledon si ha l’ennesima dimostrazione del grande equilibrio che regna nel biennio 2017-18. Tutte le prime 10 teste di serie cadono entro il quarto turno, e negli ottavi di finale il posto delle prime due del ranking è occupato da giocatrici fuori dalle teste di serie: Cibulkova sostituisce la 1 Halep (eliminata da Hsieh) e Giorgi la 2 Wozniacki (eliminata da Makarova).

La vittoria di Hsieh è probabilmente il match più spettacolare della prima settimana, con Su-Wei che elimina in rimonta la fresca vincitrice del Roland Garros. Simona dichiara di sentirsi stanca, fisicamente e mentalmente, e contro una giocatrice come Hsieh non si può usare il “pilota automatico”, non è possibile basarsi sugli aspetti di routine del gioco: Su-Wei li scardina tutti, e questo obbliga a un sovrappiù di applicazione mentale e fisica che Simona non è pronta a offrire.

Halep nel terzo set era arriva a un passo dal successo: prima sul 5-2 e poi perfino al match point sul 5-4. Ma Hsieh estrae dal cilindro un rovescio lungolinea che atterra a pochi centimetri dalla riga, e rimette tutto in gioco, finendo per vincere gli ultimi tre game del match (3-6, 6-4, 7-5).

Nella seconda settimana di torneo le cose cambiano. Dopo tutte le eliminazioni eccellenti dell’inizio, gli ultimi turni sono più prevedibili. In semifinale si assiste a “Germania contro Resto del mondo”: Kerber contro Ostapenko e Goerges contro Williams. Due tedesche contemporaneamente semifinaliste a Wimbledon non si vedevano dal 1997 con Graf e Huber.

Vincono le giocatrici più esperte, che concedono sei game alle loro avversarie: 6-3, 6-3 di Kerber a Ostapenko, 6-2, 6-4 di Williams a Goerges. Lungo il cammino per la finale Angelique ha perso un solo set (contro la qualificata Liu); Serena nessuno.

Kerber b. S. Williams 6-3, 6-3 Wimbledon, Finale
Williams e Kerber si erano già incontrate per il titolo dei Championships due anni prima, nel 2016. Serena aveva vinto 7-5, 6-3, dando l’impressione di avere sempre sotto controllo la situazione. Nel 2018, anche per il percorso netto nei turni precedenti, è ancora considerata favorita; ma il risultato smentirà le previsioni.

In due anni molte cose sono accadute. Williams dopo la gravidanza ha perso un po’ di mobilità, in più sembra che la quota 24, cifra fatidica del record di Slam vinti da Margaret Smith Court, finisca per gravare come un peso insostenibile sul suo stato d’animo: si presenta in campo tesa, quasi bloccata, e Kerber ne approfitta disputando un match solido ed efficace.

Toglie il servizio a Serena nel primo game, lasciandola a 30. Poi ha l’unico, piccolo passaggio a vuoto nel quarto game, facendosi raggiungere sul 2-2. Ma l’equilibrio finisce qui: altri due break consegnano il 6-3 a Kerber.

Nel secondo set ad Angelique è sufficiente un break nel sesto gioco per vincere il parziale 6-3, visto che non solo non perde mai la battuta, ma non concede nemmeno palle break. Sul 5-3 serve per il titolo e chiude la partita al primo match point, senza timori o titubanze.

Il commento di Kerber in sala stampa sul match è piuttosto sobrio, tanto che non sembra nemmeno descrivere un successo di importanza assoluta come Wimbledon: “Ormai ho trent’anni, e nel tempo ho acquisito tanta esperienza. So cosa si prova a giocare semifinali e finali importanti, e avevo già disputato una finale qui. Sapevo cosa aspettarmi. E questo mi ha aiutato a essere più rilassata”. In fondo, nei diversi stati d’animo delle finaliste c’è buona parte della spiegazione del risultato finale.

International di Mosca: l’arrivo del nuovo millennio
Mosca 2018 è un torneo International speciale per diverse ragioni: perché si gioca su terra alla fine di luglio (appendice sul rosso che ha sostituito Båstad); perché pur assegnando i soliti 280 punti alla vincitrice ha un montepremi quasi triplo, che sfiora quello di un Premier. E soprattutto perché al suo primo anno di storia presenta due teenager in finale.

È la finale più giovane in WTA degli anni ’10, tra due giocatrici nate addirittura nel 2001 (in gennaio Danilovic, in marzo Potapova). Potapova è nel torneo principale grazie a una wild card, mentre Danilovic è una lucky loser, visto che è stata sconfitta nelle qualificazioni, ma è rientrata in tabellone per il forfait di Petra Martic.

Quando si affrontano due ragazze così giovani per avere indicazioni occorre rifarsi a precedenti da junior (2-0 Potapova). Una finale WTA tra diciassettenni inevitabilmente assume un significato simbolico al di là degli aspetti tecnici. Però alla prova dei fatti questo match non offre solo curiosità statistiche e record di precocità: è una partita di qualità, ricca di spunti tecnici e rovesciamenti di fronte. Più creativa Olga, più regolarista Anastasia, che parte meglio (4-1 nel primo set), ma Danilovic rientra con quattro game consecutivi e chiude il primo set a proprio favore.

Tutto potrebbe finire in due set quando sul 7-5, 5-4, 40-30 Danilovic raggiunge il match point. Ma Potapova si salva, e sullo slancio rientra in corsa fino a dominare il tiebreak 7-1. Sembra essere lei ad avere in mano la situazione quando nel set decisivo si trova al servizio sul 4-3 40-0. Ma arriva invece il ritorno decisivo di Danilovic che vince tre game consecutivi per il 7-5, 6-7(1), 6-4 definitivo.

Una sensazione del tutto particolare deriva da questa partita di Mosca: è come un salto in avanti nel tempo, una finestra aperta sul futuro della WTA.

a pagina 4: Gli US Open più discussi

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