Nei dintorni di Djokovic Down Under: Sweet Home Australia, la seconda casa di Nole - Pagina 2 di 3

Nei dintorni di Djokovic

Nei dintorni di Djokovic Down Under: Sweet Home Australia, la seconda casa di Nole

Risveglio di Cilic a parte, pochi gli squilli dei rappresentanti dei paesi dell’ex Jugoslavia all’Australian Open. Ma c’è lui: Novak Djokovic, che in finale rimonta Thiem e si laurea campione per l’ottava volta

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SINGOLARE MASCHILE

PRIMO TURNO – BORNA NON ESCE DAL TUNNEL

Partiamo dal gruppetto più folto (erano in cinque), quello della nazione vincitrice della prima ATP Cup, la Serbia. Il campione in carica e n. 2 del tabellone Novak Djokovic, al suo 60esimo Slam, doveva faticare un pochino all’esordio per conquistare la 900esima vittoria nel circuito maggiore contro il giocatore meglio classificato tra quelli non testa di serie, il n. 33 del mondo Jan Lennard Struff, cedendo un set ma chiudendo comunque senza grossi patemi (7-6 6-2 2-6 6-1). L’altra testa di serie serba Dusan Lajovic (n. 24 del seeding) iniziava con una bella vittoria  in tre set contro Kyle Edmund, semifinalista nel 2018, senza farsi distrarre dall’interruzione per pioggia che lo costringeva a scendere in campo due giorni di fila per chiudere la pratica.

Proseguendo in rigoroso ordine di classifica ad inizio torneo, il n. 40 ATP Laslo Djere non riusciva ad imitare i due connazionali meglio classificati e si arrendeva in 4 set a Nishioka, che sopravanzava di una trentina di posizioni nel ranking ma è giocatore sicuramente più a suo agio sul cemento all’aperto rispetto al 24enne di Senta. Passava il turno invece il n. 41 del mondo Filip Krajinovic, che da due set sopra si complicava la vita contro il francese Halys, ma alla fine – anche lui come Lajovic in due giorni – la spuntava 7-5 al quinto. Per ultima la grande speranza serba, il semifinalista delle ultime Next Gen Finals Moimir Kecmanovic. Che dopo aver perso a Milano dal “Seppi 2.0” Jannik Sinner, a Melbourne si doveva inchinare all’esperienza e alla solidità del Seppi originale (“È stato veramente solido da fondocampo, ha fatto pochissimi errori, non sono riuscito a sfondare in nessun modo”), che lo superava in tre set.

Dalla nazione vincitrice dell’ATP Cup, a quella vincitrice dell’ultima edizione “tradizionale” della Coppa Davis, la Croazia, presente nel tabellone principale dello Slam australiano con tre giocatori. Dei quali il migliore in classifica era la testa di serie n. 25 Borna Coric, che però faceva subito i bagagli, eliminato in tre set dal bombardiere statunitense Sam Querrey. Continua dunque il (lungo) periodo no del 23enne croato, che dopo l’infortunio patito ad Halle – e, un paio di mesi dopo, la separazione da coach Piatti –  a parte l’unico acuto di San Pietroburgo (sconfitto in finale da Medvedev) da sette mesi non riesce a infilare due vittorie di fila. Una involuzione molto preoccupante quella di Coric, che con questa sconfitta scivola in 30esima posizione e quindi dovrà rimboccarsi le maniche per risalire la corrente.

E pensare che è passato solo un anno da quando salutava Melbourne dopo essersi spinto per la prima volta sino agli ottavi (nelle quattro apparizioni precedenti era sempre stato eliminato al primo turno, come quest’anno) ed al 13esimo posto del ranking mondiale. Sembra una vita fa. Per carità, Borna è ancora giovane e può recuperare il terreno perduto,  ma obiettivamente cominciano ad essere in diversi – e più giovani – ad ambire ai medesimi traguardi con le stesse – e più d’uno anche maggiori – potenzialità del croato. Insomma, quella top ten che un anno fa sembrava solo questione di tempo, ora appare molto più lontana. Non era invece testa di serie – ed era la prima volta dall’Australian Open 2014, il suo primo Slam dopo il rientro dalla controversa squalifica per dopingMarin Cilic, che partiva in modo convincente superando agevolmente in tre set Moutet, in una partita che poteva nascondere qualche insidia considerato che il francese arrivava dalla finale persa contro Rublev a Doha.

Marin Cilic – Australian Open 2020 (via Twitter, @AustralianOpen)

Chiudiamo la pagina croata maschile con l’eterno Ivo Karlovic, che al suo 17esimo Australian Open, conquistava l’ennesimo record di longevità, diventando il primo over 40 nel main draw australiano da Ken Rosewall nel 1978 (“Muscles” aveva 44 anni all’epoca). E superando poi al primo turno Pospisil, in tre set, il quasi 41enne zagabrese (compirà gli anni il 28 febbraio) diventava anche il primo over 40 a vincere un match del tabellone principale 42 anni dopo il leggendario tennista australiano.

Il bosniaco Damir Dzumhur lottava, come da DNA, contro il campione dell’edizione 2014 Stan Wawrinka, strappandogli anche il secondo parziale al tie-break prima di arrendersi con onore in quattro set. L’unico rappresentante sloveno, Aljaz Bedene, nelle interviste dichiarazioni di inizio stagione aveva dichiarato di puntare molto su questi primi mesi della stagione, dato che non avendo molti punti da difendere una buona partenza stagionale potrebbe consentirli di affacciarsi nella top 30, con un bel salto dalla 58esima posizione di inizio stagione. Anche se dopo l’uscita al primo turno al torneo di Adelaide, il 30enne lubianese ha rischiato di fare la stessa fine anche a Melbourne, dato che ha dovuto rimontare da due set a uno sotto contro l’australiano Duckworth.

SECONDO TURNO – FILIP, CHE LEZIONE

Nessun problema per Djokovic, che concedeva solo sette game alla wild card giapponese Tsasuma Ito. Anche Lajovic doveva affrontare una wild card, il 22enne giocatore di casa Marc Polmas, e anche lui faceva più o meno la stessa (poca) fatica del suo più titolato connazionale, lasciando un paio di game in più al suo avversario. Tutt’altra storia invece per l’ultimo dei tennisti serbi in gara, Filip Krajinovic, che raccoglieva addirittura  meno giochi – sei – delle due wild card sopra citate. Giustificato dal fatto di trovarsi di fronte  un signore abbastanza esperto a livello Slam, avendone vinti un paio di decine: Roger Federer. Quarto confronto diretto e quarta lezione del The Swiss Maestro al buon Filip, che ha probabilmente pagato – come sportivamente ammesso dallo stesso Federer – la stanchezza per le oltre tre ore di gioco che gli erano servite solo il giorno prima per concludere il match di primo turno.

Se per Cilic la vittoria all’esordio contro Moutet era stata abbastanza agevole, non lo è stata altrettanto quella con l’altro transalpino runner up della settimana precedente, Benoit Paire, n. 21 del seeding. Per ottenere la quinta vittoria in cinque match contro il 30enne di Avignone, Marin ha avuto infatti bisogno di cinque set, spuntandola solo al tie-break del set decisivo dopo tre ore e mezza di gioco. Un match che ha avuto qualche strascico nell’immediato post-partita, dove Paire – che già si era rivolto più volte all’arbitro durante la partita –  si è lamentato per la scorrettezza dei tifosi croati, che a suo dire parlavano durante gli scambi e tra la prima e la seconda di servizio del francese. “La prossima volta possono rimanere in piscina” ha commentato sarcastico, alludendo alle calottine della nazionale croata di pallanuoto indossate da diversi supporter del suo avversario sugli spalti. “Dr. Ivo” Karlovic usciva a testa alta, battagliando per tre ore a suon di missili di servizio contro la tds n. 10 Gael  Monfils, che lo batteva solo 7-5 al quarto. Per il gigante zagabrese il grosso rimpianto del tiebreak del secondo set  perso 10-8, nel quale ha avuto un set point – anche se sul servizio del francese – che poteva portarlo a condurre due set a zero.

Qualche rimpianto anche per Bedene, per le tante occasioni non sfruttate (otto, per la precisione)  di strappare il servizio a  Gulbis nei primi due set. Occasioni che invece il lettone ha saputo cogliere, prima di diventare ingiocabile al servizio nel terzo set e sfruttare alla distanza anche la stanchezza dello sloveno dopo i cinque set del match di esordio (“Mi sentivo bene, ma poi si è notato che arrivavo da un match duro…”).

TERZO TURNO – SEGNALI DI MARIN

Altra sfida contro un rappresentante del Sol Levante per Djokovic, che si dimostrava equo e concedeva a Nishioka lo stesso numero  di giochi (sette) concessi due giorni prima al connazionale Ito. Per Nole, però, niente derby serbo tra i singolaristi dell’ATP Cup, poiché Lajovic doveva arrendersi alla solidità di trottolino Schwartzman, che lo eliminava in tre set. Sconfitta che lasciava  un po’ di amaro in bocca al 29enne di Stara Pazova per quanto accaduto nel tie-break del terzo, perso 9-7 dopo aver fallito tre set point. In particolare per quello svanito in seguito alla chiamata errata del giudice di linea, poi corretta dalla giudice di sedia Thompson in seguito al challenge chiesto da Lajovic. La decisione di rigiocare il punto appare sostanzialmente giusta perché Schwartzman dà la sensazione di bloccare l’esecuzione della risposta in seguito alla chiamata, ma è anche vero che dalla posizione in cui era finito per cercare di rispondere al servizio esterno del serbo difficilmente avrebbe messo in campo una risposta competitiva. Si dice – giustamente –  che non può essere un punto a decidere un match, ma in questo caso ci siamo molto vicini: perché molto probabilmente senza quella chiamata errata quel punto avrebbe permesso a Lajovic di andare al quarto set.

Altra maratona vincente per Cilic, che si imponeva nuovamente al quinto. Il 31enne di Medjugorje rendeva infatti pan per focaccia a Bautista Agut, che lo scorso anno lo aveva sconfitto al set decisivo, dando al croato la prima grossa delusione (difendeva la finale dell’anno prima) di un 2019 che sarebbe stato tennisticamente da dimenticare. Stavolta invece gli ha regalato la prima grossa soddisfazione dopo un bel po’ di tempo, dato che Marin non superava un top 10 dalle ATP Finals del 2018 (vittoria 6-4 al terzo su Isner).


PAG. 3 – La seconda settimana e il trionfo di Djokovic

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