'Capre sulla neve': sport in cui ci si azzuffa meno sul GOAT. Carlsen, il Nole degli scacchi

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‘Capre sulla neve’: sport in cui ci si azzuffa meno sul GOAT. Carlsen, il Nole degli scacchi

Nel tennis si litiga, ma ci sono sport in cui sembra più facile identificare il più forte di sempre. La quinta puntata è ambientata su una scacchiera

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Magnus Carlsen, campione di scacchi, 'tradisce' il suo sport con il tennis
 

Episodio 1: la sostenibile leggerezza di Jarl (combinata nordica)
Episodio 2: mi manda Tarjei (biathlon)
Episodio 3: fino a quando non verrà un’altra regina (sci alpino)
Episodio 4: una poltrona per due (sci di fondo)

Episodio 5: Magnus

Scacchi: Magnus Carlsen – Chance di Goatismo: 95%

Eccolo là, un altro norvegese. Ma stavolta neve e sci non c’entrano nulla. Magnus Carlsen (ma per gli amanti del suo sport il cognome è superfluo) vede bianco solo per metà: 32 delle 64 caselle che compongono una scacchiera. Un minuscolo spazio vitale che racchiude più permutazioni di quanti atomi ci siano nell’universo osservabile. Interessante sì, ma so già cosa vi starete chiedendo. Cosa c’entrano gli scacchi con gli sport invernali?

Di inclusione degli scacchi alle Olimpiadi non si è mai ufficialmente parlato; hanno quelle loro, che si svolgono ogni due anni, affollate quando le altre. Ben 180 paesi nel mondo hanno portato una squadra agli ultimi giochi di Batumi, in Georgia. Qualche tempo fa però si iniziò a discutere di carta Olimpica per il Bridge. E per evitare un sovraffollamento nelle Olimpiadi estive, si definì che tutti gli sport da tavolo, o “Sport della Mente”, dovessero essere contemplati per il CIO alla stregua di competizioni invernali. Se poi si considera che il Wimbledon degli scacchi, il torneo olandese di Wijk aan Zee, si svolge a gennaio, il quadro invernale è completo.

Gli scacchi si prestano alla perfezione, più di qualunque altro sport, all’analisi sul più grande di tutti i tempi, offrendo delizie statistiche che le altre discipline si sognano. Anzitutto, la performance di un atleta è analizzabile secondo parametri che più oggettivi non si può, grazie all’analisi del Computer. Correva l’anno 1997 quando Kasparov perdeva contro Deep Blue, e poco più di due decenni dopo l’Intelligenza Artificiale gioca e analizza ormai a livelli inarrivabili per la mente umana.

Immaginate se alla fine di una partita di tennis, un computer potesse dire con esattezza se davvero a un tennista è convenuto seguire quell’attacco a rete, se in un dato punto avrebbe dovuto servire centrale o a uscire, se quel rovescio lungolinea era troppo rischioso per il vantaggio nello scambio che faceva acquisire. Bello o brutto che sia, sarebbe uno strumento notevole. Con gli scacchi si può fare. Programmi specializzati oggi analizzano le mosse dei Grandi Maestri e per ogni posizione sulla scacchiera restituiscono un numero che dà l’idea di quanto un giocatore sia in vantaggio, e di quanto abbia perso con una data mossa rispetto a quella che sarebbe stata ideale.

Il secondo punto è il confronto con i match e i maestri del passato. Il gioco è sempre lo stesso da secoli, le mosse sono state registrate e riportate fin dal 1475. E la precisione e lo stile di Magnus Carlsen possono essere paragonati a quelli di Kasparov, che dominava vent’anni fa, o di Gioacchino Greco, il più forte scacchista dei primi anni del 1600. Ovviamente i giocatori moderni hanno due vantaggi.

Il primo assoluto è il computer stesso: per secoli gli scacchisti hanno dovuto studiare, ideare, provare e confutare teorie nuove solo con l’aiuto della propria mente. Oggi combinazioni e tattiche sono date in pasto ai macchinari che restituiscono la linea giusta (o comunque superiore a quella ipotizzabile da un essere umano) per ogni posizione. Ciò non significa che giocare a scacchi sia divenuto più semplice, ma di certo ha contribuito ad innalzare il livello. Possiamo dire che l’era pre-computer è quella delle racchette di legno.

Il secondo vantaggio che ogni nuova generazione ha su quella precedente, è il lavoro fatto dai propri avi. Ogni campione di oggi è un “Nano sulle spalle dei giganti”, per usare le parole di Newton, che può avvalersi delle scoperte e delle linee prodotte dai grandi giocatori del passato. Il “nano” di questa generazione però è probabilmente il più alto di tutti i tempi. Magnus Carlsen ha portato il gioco degli scacchi a vette nuove, stabilendo record di vittorie (ad esempio i sette “Wimbledon” di Wijk aan Zee) e di ranking. Negli scacchi vige una classifica particolare chiamata Elo, usata anche (solo a fini ufficiosi) nel tennis. Non si assegnano punti a seconda dell’importanza o dello stadio del torneo, ma solo e unicamente a seconda della forza dell’avversario. Vincere contro un giocatore più debole porta in dote pochi punti, così come ne fa perdere pochi una sconfitta contro uno più forte. Una patta può dare punti a un giocatore (quello col rating più basso) e toglierne a un altro, e così via. A differenza del tennis, non è solo importante essere numero uno del mondo. Particolare enfasi viene anche data a quanti punti Elo si hanno.

Ad esempio non molti fan di tennis sono a conoscenza di quale sia il record di punti ATP mai registrato (appartiene a Djokovic che raggiunse i 16,950 il 6 giugno 2016) ma quasi ogni appassionato di scacchi ha ben piantato in mente il record Elo di Magnus Carlsen, 2882, raggiunto ben due volte: la prima nel maggio 2014 e poi successivamente lo scorso agosto. Al secondo posto di questa classifica c’è quello che potremmo definire l’attuale goat, Kasparov, che raggiunse i 2851 punti nel 1999. Il russo però ha dalla sua un primato che difficilmente gli sarà tolto, essendo rimasto in cima al ranking per ben 255 mesi (che al cambio sono oltre 21 anni) ritirandosi quando ancora era numero uno. Nella storia del ranking scacchistico, che curiosamente fu adottato quasi in contemporanea con quello tennistico all’inizio degli anni 70, solo in sette si son fregiati della corona di numero uno.

Carlsen è già al secondo posto per longevità e si appresta al giro di boa nella sua rincorsa al russo, con 118 mesi di primato (come avrete intuito, il ranking FIDE si aggiorna ogni mese, e non ogni settimana come quello ATP). Come Federer con Sampras, anche Kasparov e Carlsen hanno fatto in tempo ad incontrarsi in un contesto ufficiale, una volta sola, nel rapido intrecciarsi delle loro carriere. Correva l’anno 2004 e nel torneo Rapid (ovvero con tempo a disposizione ridotto) di Reykjavik, svolto con l’inusuale forma del tabellone tennistico a eliminazione diretta, il numero uno del ranking deve affrontare al primo turno, come da regolamento, il giocatore con classifica più bassa. Si tratta della wild card Magnus Carlsen, tredicenne all’epoca e già soprannominato “Il Mozart degli scacchi” sia per la sua precocità che per il suo stile estroso.

La regola prevede due partite a colori invertiti, e nella prima Kasparov si aggiudica il match con il bianco. In quella successiva però, Carlsen (che deve vincere a tutti i costi per prolungare il match) dà sfoggio di tutto il suo potenziale offensivo costringendo Kasparov a una posizione di svantaggio. Il giovane talento norvegese però trovandosi a corto di tempo perde mordente e alla fine i due concordano per una patta. Passaggio del turno per Kasparov (che vincerà il torneo) e onori della cronaca per Carlsen. Per molti quell’incontro è il passaggio del testimone, proprio come quegli ottavi di finale a Wimbledon 2001 lo furono fra Pistol Pete e il giovane Roger.

Il piccolo Carlsen e Kasparov, nel 2004

A pagina 2, l’eredità di Bobby Fischer… e il resto della storia di Carlsen

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