Più di Federer e Raonic regna il doppio fallo. Ma Roger è competitivo, nessuna intenzione di smettere (video)

Editoriali del Direttore

Più di Federer e Raonic regna il doppio fallo. Ma Roger è competitivo, nessuna intenzione di smettere (video)

L’inaccettabile conflitto di interessi di John McEnroe. I trascurati meriti di Riccardo Piatti. Andy Murray risponde meglio di Roger Federer: vincerà. E Bjorn Borg…

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WIMBLEDON – Non tutte le storie hanno il lieto fine… around the world. Qualcuna lo ha solo in Canada. E probabilmente l’avrà domenica la Gran Bretagna, perché io credo – mi butto! – che Andy Murray batterà Milos Raonic, nel confronto fra il miglior ribattitore e uno dei migliori battitori dei Championships (dopo Karlovic e Isner), e vincerà così il suo secondo Wimbledon e il terzo Slam della sua carriera. Potrei scrivere il secondo Wimbledon e mezzo …ricordando che Andy ha vinto qui nel 2012 anche l’oro olimpico.

Il pubblico del Centre Court ha tifato fino alle lacrime (davvero ho visto qualcuno piangere) per Roger Federer nella prima semifinale almeno quanto ha tifato poi per Andy Murray nella seconda contro Tomas Berdych, battuto con un periodico 6-3 in due minuti meno di due ore e lasciando la sensazione di sempre: il ceco non perde quasi mai da quelli più indietro di lui nel ranking, ma non batte quasi mai quelli davanti. Aurea mediocritas, direbbe Lotito. Aurea però… Fatto sta che nella seconda semifinale non c’è certo stata la suspence che c’è stata invece nella prima. Ma era ampiamente previsto. Tutt’altro pathos. L’altro giorno sembrava sempre che Federer fosse sul punto di perdere (con Cilic) e oggi invece sempre sul punto di vincere (fino a tutto il quarto set).

La prima semifinale, seppur emozionante, non è stata fantastica tecnicamente. Difficile che lo sia un match che ha tra i suoi protagonisti un bombardiere come Milos Raonic, che sicuramente gioca meglio a tennis dei vari Isner, Mahut e Karlovic, ma resta pur sempre un big server, uno che spezza ogni ritmo all’avversario e allo spettacolo.
Rievocando le frasi di Seppi (“Se dovessi giocare sempre con gente come Raonic smetterei, non è proprio divertente” disse Andreas dopo averci perso al secondo turno) potrei solo affermare che vedere un’ipotetica semifinale tra Raonic e Cilic sarebbe stato ancora meno divertente. Insomma non lamentiamoci, c’è sempre qualcosa di peggio.

Anche quando Federer non è al massimo offre sempre qualche perla inestimabile. Lo ha fatto anche oggi, anche se – per forza di cose – senza grande continuità.
Ciò detto non credo che Roger prenderà sonno tanto facilmente stanotte. Per un tennista che non commette neppure un doppio fallo in cinque set contro Cilic, e che ne aveva fatti soltanto due in tutto il torneo, infilarne due di fila quando si è a un passo dal tiebreak del quarto set – avanti due set a uno e sul 5-6 40-15, dopo essere stato 40-0 – è quasi inspiegabile. E lui stesso, in conferenza stampa, ha usato proprio questa parola in inglese: “Inexplicable!”.

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Editoriali del Direttore

Serie A: un campionato che dissangua gran parte dei club iscritti. Inesistente ritorno economico

Nessun premio neppure a chi lo vince. 16 circoli di tennis spendono 1.600.000 euro per sostituirsi di fatto a FITP

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Il campionato di serie A comincia domenica 8 ottobre e si concluderà allo Stampa Sporting Club di Torino con le finali il 10 (le donne) e l’11 dicembre (gli uomini).

 E’ un bagno di sangue parteciparvi per una bella parte dei 16 circoli della A maschile. La A femminile costa meno: i suoi incontri sono imperniati su soltanto 3 singolari e un doppio, mentre in quello maschile sono 6, 4 singolari e 2 doppi.

Non mi credete? Informatevi e chiedetelo ai dirigenti di quei club che non abbiano un fatturato (derivante dalle quote sociali e dai corsi) superiore al milione. Per il club che ha più di quel milione di fatturato mettere mano al 10% del fatturato non sarà un bagno di sangue per un campionato che porta comunque giocatori di buon livello nel proprio club, promuovendo anche il tennis fra i giovani. Tuttavia esso resta ingiustificato perché quell’investimento dovrebbe farlo la FITP e non un circolo privato che già paga tasse consistenti per le iscrizioni ai campionati, per i propri tesserati, per i seconda categoria (70 euro!) e per non so più quali gabelle. I dirigenti dei club finora hanno subito senza troppo reagire. Conservano anzi un entusiasmo straordinario, animato dalla loro incrollabile passione. Degna di miglior causa.

 

Ogni club deve “ingaggiare” almeno sei giocatori, spesso 7 o 8, un circolo che debba schierare per i 6 incontri del girone eliminatorio (andata e ritorno con le tre squadre del proprio girone) tennisti in grado di coprire i 4 singolari e i due doppi di ciascun incontro. Ciò perché non tutti sono liberi di giocare weekend dopo weekend. Molti sono impegnati in tornei e giocano nel weekend in Serie A soltanto se hanno perso prima di quel weekend. E te lo dicono all’ultimo tuffo. Per cui diventa molto difficile ogni programmazione per la propria squadra e ogni previsione sulla composizione della squadra avversaria.

Questi ingaggi oscillano mediamente per i giocatori più forti, classificati fra la 150ma e la 250 posizione ATP,  fra i 2/3 e i 7 mila euro a incontro.  Ovviamente ci sono anche eccezioni. Ma un giocatore intorno al n.200 ATP che garantisca di giocare 2 incontri dei primi 6 del girone eliminatorio più l’eventuale semifinale può chiedere (se trova chi glieli dà) sui 15 mila euro. I tennisti italiani chiedono di più di quelli stranieri di pari classifica. Ecco perché i circoli cercano giocatori stranieri…All’estero e in Bundesliga i compensi sono anche più alti. Ma, come detto, di giocatori ne servono più d’uno. In genere i club fissano gli ingaggi più onerosi sulla base di almeno tre presenze. E gli incontri, per un club che arrivasse alle fasi finali possono essere 8 o 9.

E se un club volesse accaparrarsi i servigi di un top100? E’ accaduto in passato – o era stato richiesto – euro più euro meno, per un top-20 Bautista Agut, un Ramos Vinolas, un Seppi, un Fognini. Il club dovrà  dovrà mettere a budget 10.000 euro per ogni suo incontro. Per partecipare ai playoff o playout, dovrà aver giocato almeno due dei primi sei incontri. Quindi se giocasse 3 incontri (e non 4 come sarebbe se ci fosse la finale da disputare) sarebbero 30.000 euro (27.000?) euro solo per lui.

Sebbene siano previsti dei rimborsi di discreto livello (lo scrivo più in basso) fra spese di trasferta (a Messina, Siracusa e Palermo si va in aereo…e le squadre siciliane affrontano veri salassi) e ingaggiè superiore ai 100.000 euro l’investimento medio annuo di ogni circolo impegnato nella A (che calibri le presenze dei giocatori a seconda delle loro disponibilità e degli avversari da affrontare).

 Moltiplicate quei 100mila euro – sono stato basso – per 16 e il conto totale del budget spese medio totale per tutti i club insieme è pari circa a un milione e 600.000 euro.

Quale è il ritorno economico di quei circoli?

La FITP non prevede a oggi alcun premio per chi vince l’intero campionato, figurarsi qualche premio per chi vince i singoli incontri del girone eliminatorio, le singole fasi (semifinali, playoff e playout). Premi progressivi invece sarebbe giusto che fossero previsti e stanziati, come accade per i tornei professionistici, in cui per ogni turno superato si guadagna qualcosa.

Ci sono rimborsi consistenti di qualche migliaio di euro per i club– va detto e riconosciuto alla FITP– in corrispondenza del numero di squadre allestite, delle trasferte sostenute in base ai km da percorrere, al mezzo usato (aereo per le isole…), al numero dei “viaggianti” fra giocatori e accompagnatori ufficiali. Non sarebbe corretto sostenere che la FITP non paghi proprio nulla.

Però zero euro per chi vince – lamentava un dirigente del piccolo circolo del TC Sinalunga, 3 campi e una settantina di soci super-appassionati – “mentre chi vince gli analoghi campionati in Germania, Francia, Polonia e Svizzera, gode di cospicui premi, 20/30mila euro…”.

Quasi anno dopo anno sono stati apportati piccoli correttivi regolamentari a un campionato che la FITP scarica finanziariamente in troppa parte sui singoli circoli, pur avendo raggiunto fatturati di bilancio (meritevolmente eh!) assai importanti.

C’è infatti grande, grandissima passione, quasi masochista passione in tutti quei circoli di tennis di minore forza economica che “sacrificano” fortemente le proprie casse – esponendosi anche alle critiche dei propri soci meno emotivamente coinvolti agli aspetti agonistici del proprio club – per partecipare al campionato di serie A che non dà quasi alcun ritorno economico e modesta, modestissima visibilità mediatica anche a seguito dei risultati più brillanti.

Ma attenzione! Non è che il campionato di A non serva a niente, non fraintendete. Anzi. E’ utilissimo, quasi indispensabile anzi, a tutti quei giocatori di seconda fascia nazionale e internazionale che grazie a quegli ingaggi (sempre crescenti e purtroppo sempre meno fronteggiabili da chi non ha le spalle grosse) riescono a pagarsi la propria attività agonistica per l’anno che verrà.

Ed è utilissimo perché il regolamento che incentiva la costruzione/protezione di un vivaio giovanile svolge una funzione certamente importante per la promozione giovanile e per lo sviluppo del tennis. Chi lo ha ideato a suo tempo ha avuto certamente grandi meriti, anche se col tempo sono stati necessari diversi aggiustamenti.

In ogni incontro interclub è obbligatoria schierare in due singolari e un doppio due giocatori che siano stati tesserati per almeno due anni nel “maschile”, per un singolare e un doppio una tennista nel “femminile” (e in un prossimo futuro per 3 anni).

Quando non esisteva tale regola poteva accadere che un circolo senza alcun vivaio né tradizione tennistica, ma tanti soldi…potesse ingaggiare i giocatori più forti e vincere. Ma non era un sistema giusto.

Forse se la Federazione Italiana Gioco Calcio, la FIGC (contrastando la Lega?) obbligasse le società a schierare sempre nell’11 di partenza un paio di giocatori italiani cresciuti nel vivaio societario, la nostra Nazionale di calcio avrebbe giocatori più esperti e farebbe risultati migliori. Invece in quasi tutte le squadre di serie A per trovare un giocatore italiano ci vuole il lumicino. Quando esordiscono in nazionale hanno pochissima esperienza ad alto livello. E si vede.

Il campionato di serie A è quindi utilissimo a coltivare (tramite vivai) e allargare la base del tennis (sostenendo i giocatori compresi fra i primi 300 del mondo) e a dargli i mezzi per continuare a giocare a e fare attività agonistica…

Ma non si capisce perché lo si debba continuare a fare quasi unicamente sulle spalle dei circoli meno ricchi  che paiono fin qui disposti a lasciarsi dissanguare senza reagire.

Anche perché non è tutto ora quel che brilla: i circoli più previdenti tesserano per tempo giovani tennisti, under 10, under 14, under 14, under 16, reclutandoli un po’ dappertutto – anche in città lontane – per poterli poi utilizzare anche molti anni dopo come “tennisti del proprio vivaio”. Anche se in realtà non lo sono affatto.

Questa è chiaramente una stortura del sistema, cui se ne aggiunge un’altra: questi cosiddetti “giovani del vivaio” non sono necessariamente diventati così forti tennisti da poter pretendere chissà quale ingaggio, però la loro presenza nelle squadre per quei due incontri in cui devono essere obbligatoriamente presenti, è talmente importante ed essenziale  per cui alcuni finiscono per approfittarsene e chiedere dei soldi che la loro qualità tennistica non meriterebbe. Una sorta di miniricatto, in taluni casi.

Anche i circoli, non solo la FITP, hanno le loro responsabilità, intendiamoci: se non hanno creato scuole di livello, ingaggiando maestri capaci di “trattenere” i ragazzi che decidono di lasciare il club per andare da un’altra parte, beh saranno costretti a andare a cercarsi i giocatori per partecipare e a pagarli più o meno profumatamente. I circoli invece più “bravi” i giocatori li avranno in casa e li pagheranno meno.

 Uno dei circoli tradizionalmente più forti e competitivi degli ultimi anni, il TC Prato, ha deciso di rinunciare alla A maschile – non ancora a quella femminile sebbene probabilmente non riuscirà ad affiancare alla Stefanini la sua tesserata Trevisan (così come difficilmente anche la Cocciaretto scenderà in campo per il Tennis Club Italia) – non avendo giocatori propri cui far ricorso. Dovendo quindi “ingaggiare” tutti giocatori extraclub, stranieri e non, ha sventolato bandiera bianca – i soci non avrebbero accettato un salasso – e ripartirà dalla serie D.

Il TC Prato ha fra le ragazze del proprio vivaio la Vignolini, campionessa italiana under 14, che ha deciso di frequentare la Tennis Academy di Mouratoglou nella Costa Azzurra. Ma la Mouratoglou non le consente di tornare nella sua Prato per più di due volte nei 2 mesi del campionato di A: quindi è come se il TC Prato non potesse disporne.

Oltre alle spese da affrontare per le varie trasferte i circoli a volte devono affrontare anche le spese per fare arrivare i giocatori stranieri, sia per le gare interne sia per le gare esterne.

E i dirigenti di un paio di club mi hanno raccontato che saranno costretti a pagare le trasferte anche di propri insostituibili elementi del vivaio che attualmente…stanno studiando in America! Immaginate che cosa costi farli tornare in Italia ogni volta per una serie di incontri! E che tipo di rimborsi chiedano quei “ragazzi del vivaio”. Ma anche qui: se i circoli avessero tirato su più bravi tennisti al loro interno non sconterebbero il fatto di averne pochi.

Ogni anno i circoli che non vogliono mollare si impegnano furiosamente nella caccia allo sponsor. Pochi sono in grado di arrivare ai grandi sponsor nazionali che i soldi non li regalano se non hanno garanzie di rientro economico in termini di visibilità. Ed è chiaro che non ce l’hanno.

I risultati delle varie giornate di campionato sono quasi clandestini. Escono fra le brevi, o appena un po’ meno brevi, su media di questa tipologia, “L’Informatore di Vigevano”,  “SinalungaNews”, con un trafiletto su “Il Giornale di Sicilia” a Palermo, sulla Gazzetta del Sud a Messina e Siracusa, sul Secolo XIX di Genova, sul “Dolomiten” o sul “Neue Sudtiroler Tageszetung” di Bolzano. E così via.

D’altra parte se almeno i risultati domenicali si possono comunicare è invece quasi impossibile “promuovere” gli incontri prima che si giochino: non si mai con quali elementi si presenterà la squadra avversaria e talvolta neppure la propria fino al venerdì o al sabato, 24 ore prima dell’incontro.

Un circolo pensa di dove giocare contro una squadra che potrebbe presentare Fognini, Andujar, Giannessi, Mager e quindi avverte i proprio soci del grande spettacolo cui potranno assistere…e poi di quei tennisti non se ne presenta nessuno, ma arrivano quattro ragazzotti semisconosciuti usciti dal vivaio, riserve delle riserve soprattutto quando una squadra dopo 3 o 4 partite del girone sa già di non poter recuperare e allora risparmia sugli ingaggi dei tennisti più “cari”.

E’ chiaro che in questa situazione in cui i giocatori chiedono sempre più soldi e i club ne hanno sempre meno, ala fine il livello tecnico dei giocatori e dei confronti non può che scendere e, senza nulla togliere ai grandi meriti di un piccolo circolo che magari conquista lo scudetto, troppo spesso le circostanze di alcune affermazioni sono abbastanza casuali, se non fortunate perché legate alle assenze di questo e quel giocatore in quella domenica in cui si affronta quella squadra. Lo scorso anno il TC Sinalunga ha potuto contare sempre sui propri giocatori, le altre squadre no, e questa circostanza ha favorito quel risultato a sorpresa. In un recente passato il circolo di Torre del Greco ha vinto il campionato e …poi è sparito. E mi è stato riferito che molti giocatori hanno sofferto parecchio per riscuotere il dovuto. Alla fine tutto il prestigio del campionato ne risente.

Così come abbastanza fortunata, casuale, può essere la… “pesca” del giocatore del vivaio. Un esempio: se Sonego volesse potrebbe risolvere i problemi regolamentari di vivaio dello Stampa Sporting Torino– oggi partecipante al campionato di A2 – per averci giocato un paio d’anni quando aveva 12 anni. Ma, a parte il fatto che probabilmente il suo manager (anche se il giocatore fosse disposto a giocare gratis per motivi affettivi e sentimentali) potrebbe anche chiedere 10.000 euro d’ingaggio a match – un costo insostenibile –avrebbe davvero senso una regola del genere? E se diventassero 3 anni invece di 2 cambierebbero molto le cose? N.B. Poiché Sonego è stato parte del vivaio nel suo caso basta che dei primi 6 incontri ne giochi uno solo…

Non sarebbe esatto dire che siamo proprio a livello zero in termini di comunicazione per il campionato di serie A. Anche se la sensazione diffusa è quella. Qualcosa comunica la FITP. Ma, in tutta franchezza, a livelli chiaramente insufficienti e insoddisfacenti. Il sito FITP e Supertennis fanno sì qualcosa, ma non abbastanza almeno a sentire le voci dei circoli partecipanti…

Supertennis garantisce le riprese delle finali del 10 e 11 dicembre e una qualche sintesi settimanale degli incontri …di maggior cartello.

Ma anche per la pubblicità sui campi dello Sporting Club per le due giornate delle finali i proventi vanno alla FITP: striscioni, abbigliamento dei giudici di linea, palle, ghiacciaie etcetera. Non ai circoli finalisti che per approdare a quel traguardo hanno rischiato la rovina finanziaria. Quanto avrà speso il TC Palermo per arrivare in finale lo scorso anno? Mi auguro per il club della Favorita che abbia goduto di qualche rimborso della Regione Sicilia. Così come per assicurare a Torino la disputa quinquennale delle finali del campionato di serie A, la FITP non l’ha regalata, ma ha ottenuto un contributo dalla Regione Piemonte. Per chiedere e prendere soldi da tutte le parti, Binaghi è un vero fenomeno.

Fosse almeno garantita la possibilità per i 4 circoli protagonisti delle finali di poter ospitare gratis qual premio lo striscione dei due propri maggiori sponsor…sarebbe già qualcosa che li aiuterebbe a “vendersi” ai loro benefattori fino ad oggi orfani di qualsiasi ritorno.

Come accennavo qualche riga più su …nell’arco di due mesi di attività indoor sui media nazionali non si trova traccia di quanto accade nel campionato di A. Forse ecco una breve alla fine di 60 giorni anonimi, per segnalare succintamente, e Deo Gratias, chi ha vinto.

Penso ai 3 quotidiani sportivi Gazzetta dello Sport, Corriere dello Sport e Tuttosport, perché figurarsi se i quotidiani politici che hanno tre pagine di sport possono trovare spazio per la nostra Serie A tennistica.

Quando i media non considerano degni di spazio quei risultati non c’è che una soluzione di riserva per i clubcomprare gli spazi.

E i circoli dovrebbero capire che forse è proprio il caso di comprarseli, consorzialmente se fossero in grado di consorziarsi (e la FITP non mettesse i bastoni fra le ruote a un consorzio che a quei circoli se ben rappresentati potrebbe risolvere tanti problemi e non solo quelli del campionato di serie A…), oppure singolarmente.

Li comprino dove vogliono, ma li comprino, investendo un centesimo di quanto mediamente spendono. Ciò se proprio la FITP fa orecchie da mercante, più sorda di chi non vuole sentire.

Consentitemi qui di spezzare una lancia a favore del mio Ubitennis e poi ognuno ne tragga le considerazioni che preferisce: che cosa sono 500 o 1.000  euro a fronte di 100.000 investiti per avere un banner geolocalizzato fisso giorno per giorno per 60 giorni che rinvii al sito del proprio club, che indichi data, orario e avversario di ogni incontro?

Eppure tutti sanno, o dovrebbero sapere ormai – scusate lo spot autopromozionale! – che Ubitennis ha molte ma molte più visite quotidiane di qualunque sezione tennis di qualsiasi quotidiano sportivo (spesso più di 100 mila al giorno, con punte vicino ai 200 mila). E in ogni cittadina d’Italia Ubitennis ha molti più utenti abituali interessati al tennis di quanti leggano una breve per un giorno in un giornaletto locale.

Se singolarmente o in consorzio/società i 16 club di serie A fossero capaci di mettersi d’accordo per investire insieme 1.000 euro a club, cioè un centesimo di quanto spendono mediamente, per disporre di un budget di 16.000 euro annui da canalizzare in comunicazione…non centrerebbero l’obiettivo di trovare un po’ di sfogo comunicazionale ai loro sforzi, ai loro sponsor?

E non sarebbe molto meno difficile in futuro convincere quegli stessi sponsor abituali, o altri nuovi, a tirar fuori qualche soldo in più?

Non mi sembra un discorso difficile da capire. Eppure deve esserlo. Sì perché in questi anni ho trovato solo pochi circoli “illuminati” che hanno capito che valeva la pena spendere 500/600 euro per 2 mesi di costante promozione geolocalizzata dei loro incontri, risultati, dirigenti, sponsor, e link al sito del club con tutte le proposte da esso contenute per iscriversi al club, ai corsi SAT e non, alla palestra, alla piscina… Il TC Prato ha promosso la propria partecipazione al Campionato di serie A presso chiunque si collegasse a Ubitennis da Prato, Pistoia e Firenze, il Park Genova lo ha fatto per tutta Genova e località limitrofe.

Mi ha fatto piacere che tutti quei circoli che hanno creduto in Ubitennis, di anno in anno, siano stati così soddisfatti da voler ripetere l’esperienza.

Ma ripeto: non vi sta simpatico il sottoscritto e Ubitennis? Credete che sia critico pro domo sua? Comprate allora spazi altrove, insieme o singolarmente se non trovate un accordo congiunto, da qualsiasi parte ma comprateli. Perché conviene a voi. E’ assurdo investire 100.000 euro e passa e poi risparmiare 500/1.000 euro continuando a nascondere tutti gli sforzi che state facendo.

Non mi stupisce però, alla fine, che in assenza di tale minima imprenditorialità consortile la FITP riesca a farsi dare i soldi (che i circoli continuano a sputar sangue per trovare) per una attività meritoria che dovrebbe essere invece essa per prima, la FITP, super-attiva a valorizzare e promuovere.

Fosse una federazione priva di mezzi, come lo è stata per tanti anni, capirei. Oggi con 180 milioni di fatturato annuo, non lo capisco più

Attualmente, e quasi sempre, il club che gioca la serie A e deve recuperare fondi, punta a coinvolgere e persuadere i piccoli sponsor locali.

Non è facile reperire 100/120 mila euro per far pari anche attraverso una dozzina di sponsor munifici (oppur  desiderosi di far… “lavatrice” con fatture di comodo), quando non sai che cosa offrire come ritorno economico e di visibilità effettiva a chi aiuta il club.

Non si può più  credere che basti far sapere a qualche centinaio di soci la “generosità” di uno sponsor amico… per ripagarlo del suo sostegno. Né si può chiedere beneficenza, elemosine all’infinito agli stessi “benefattori”.

Non si può chiedere a piccoli circoli come i campioni d’Italia uomini del TC Sinalunga e donne del Tc Casale di dar vita a una cordata, sorta di Lega dei circoli – ricordo che prima del 2.000 fu tentata dal professor Sacchi Morsiani del Cierrebi Bologna (che è stato anche commissario FIT nel post-Galgani) una sorta di Lega…e  a rappresentare il TC Cagliari c’era un certo Angelo Binaghi – ma i circoli più grandi dovrebbero cercare di formare un gruppo, lo chiamino Lega o come vogliano, in grado di farsi sentire e rispettare.

IN SVIZZERA SI GIOCA UN CAMPIONATO A SQUADRE IN SEDE UNICA E IN 10 GIORNI

La Svizzera, consapevole di non poter contare sulla disponibilità di più giocatori di livello per più weekend nel fitto calendario ATP, ha scelto di far ospitare il campionato in una unica sede, concentrandolo in 10 giorni e con tutte le squadre. Potrebbe sembrare la soluzione ideale, ma certamente questa è favorita dalle piccole dimensioni geografiche della nazione elvetica. Qualunque sede sarebbe abbastanza facilmente raggiungibile da tutti i circoli svizzeri e anche dai loro soci che volessero stare vicini alla loro squadra. L’Italia è…troppo lunga per favorire una situazione del genere che allontanerebbe ancor più i soci dal campionato, anche se certamente farebbe progredire il livello tecnico della manifestazione in maniera esponenziale. E il club campione d’Italia sarebbe davvero il circolo più forte. Cosa che oggi non appare scontata.

Ma così come è oggi, se le cose non cambiano e quale miglior occasione per cambiarle in prossimità delle incombenti elezioni presidenziali FITP il campionato di serie A continuerà a dissanguare i circoli approfittandosi della straordinaria passione dei loro dirigenti…troppo timidi e timorosi di farsi sentire.

La formula è quella classica con quattro gironi da quattro squadre e sfide round robin (andata e ritorno).

Apro un inciso: che sia proprio necessaria l’andata e ritorno, visti i costi per spostare una decina di persone e a volte per duelli scontati se si tratta di affrontare dei ragazzini, non sono sicuro sia la cosa più giusta da fare. Vero peraltro che se chiedi soldi agli sponsor qualche partita la devi giocare. Se facessi solo one way, potrebbe accadere che un’avventura in serie A si esaurisse in 3 incontri. Chiuso l’inciso.

In ciascuna sfida si disputano quattro singolari e due doppi. La fase a gironi, articolata in sei giornate, terminerà il 20 novembre. Play-off e play-out si disputeranno con gare di andata e ritorno il 27 novembre e il 4 dicembre, mentre le finali sono in programma il 10 e 11 dicembre in sede unica al Circolo della Stampa Sporting Torino.

REGOLAMENTO – Le prime classificate di ciascun gruppo si qualificano per le semifinali play-off, con incontri di andata e ritorno (giocheranno la gara di ritorno in casa le squadre meglio classificate nella fase a gironi). Per quanto riguarda le squadre seconde classificate manterranno il diritto di partecipare alla Serie A1 nel 2023, mentre le squadre terze e quarte classificate prendono parte ad un tabellone di play-out ad otto squadre, con formula di andata e ritorno.

Girone 1: Park Genova Tennis Club, TC Italia Forte dei Marmi, TC Crema, Matchball Siracusa

Girone 2: TC Parioli, Ct Vela Messina, Selva Alta Vigevano, TC Pistoia

Girone 3: Ct Massalombarda, TC Sinalunga (campioni 2022), TC Rungg SudTirol, Matchball Firenze

Girone 4: Sporting Club Sassuolo, TC Bisenzio, CT Palermo, Junior Tennis Perugia

Pubblichiamo a parte  il calendario delle 6 giornate con gli incontri in programma dall’8 ottobre al 19 novembre. Qui chiedo scusa per l’eccessiva lunghezza, ma l’argomento era e resta terribilmente complesso senza addentrarsi nelle pieghe del regolamento.

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Coppa Davis

Coppa Davis – Il “caso” Nazionale: io penso che Sinner meriti l’assoluzione

L’opinione del direttore di Ubitennis. “Non la merita chi lo ha sollevato”. Fossi Volandri convocherei serenamente un Sinner disponibile. Binaghi e la Real Politik di Otto von Bismark

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Jannik Sinner - Toronto 2023 (foto Twitter @atptour)
Jannik Sinner - Toronto 2023 (foto Twitter @atptour)

La prendo larga per sostenere che secondo me Jannik Sinner non merita proprio di essere lapidato, già proprio preso a pietre in faccia come è accaduto, a seguito di alcuni interventi – da Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta, sollecitati dalla linea editoriale della Gazzetta che ha sollecitato le reazioni scandalizzate di campioni di altri sport con una campagna di stampa massiccia, quasi feroce – e da tutti i colpevolisti che si sono scagliati virulentemente contro la decisione di Jannik di saltare il girone di Coppa Davis di Bologna.

A Bologna, cioè laddove  – almeno sulla carta anche se poi non è stato così – l’Italia avrebbe dovuto passare in carrozza alle finali di Malaga trovandosi alle prese con 3 squadre che (unica eccezione il Cile per via di Jarry) per quattro quinti non potevano schierare tennisti compresi fra i primi 100/150 del mondo.

Sostengo l’innocenza di Jannik anche se lì per lì mi è certo dispiaciuto che non ci fosse a Bologna –  anche ma non solo per coerenza con quanto sostenni 15 anni fa nel “caso Bolelli”.

 

E mi trovo semmai un po’ in imbarazzo per capire come dovrei reagire nel registrare invece una certa assenza di coerenza in chi vorrebbe applicare due pesi e due misure, cioè regole che valgono per alcuni e non per altri.

Regole diverse infatti sembrano valere per i tennisti molto forti, Jannik Sinner, n.7 del mondo e n.4 della Race, ma non per quelli più deboli, meno noti e con un impatto mediatico meno “forte”, Bolelli n.34, Seppi n.46 e altri condannati obbligati senza sconti a passare sotto le Forche Caudine. E’ anche vero però che si sta parlando di regole “pensate” e applicate fra il 2008 e il 2010

LA RAGION DI STATO

Tutto ciò, anche se alla fin fine anch’io accetto in parte laRagion di Stato che ha certamente ispirato recentemente Angelo Binaghi. Cioè quella “ragione” che può permettere soluzioni pragmatiche che sacrifichino la morale e la coerenza pur di risolvere in modo vincente un problema.

Si tratta…almeno un po’, senza lasciarsi prendere troppo dall’irriverente confronto, come fu per la Ost Politik del cancelliere tedesco e social democratico Willy Brandt che non era davvero comunista, ma “aprì” ragionevolmente alla Germania dell’Est e meritò anni dopo di essere insignito di un Premio Nobel per la pace. Brandt proseguiva nella tradizione della “Real Politik” dell’altro cancelliere tedesco Otto von Bismark (1815-1898), che decise di privilegiare  la politica concreta fondata sugli interessi del Paese e sulla realtà (interna e internazionale) del momento e non sui sentimenti, le ideologie, i principi.

Insomma capisco oggi anche l’atteggiamento di Binaghi, così come non lo capii 15 anni fa.

L’ANTICA STORIA DI QUANDO IL SOTTOSCRITTO ERA LO…”ZIO” DI BINAGHI

Occorre fare un po’ di storia, anche personale, prima di arrivare al “caso” Sinner e a come viene affrontato oggi rispetto a come sarebbe stato una affrontato una volta.

Neppure chi legge Ubitennis da tempo e apprezza la nostra linea giornalistica sempre autonoma, orgogliosamente indipendente dai poteri forti ATP, WTA, ITF, 4 SLAM (più in Italia FITP) e quindi esposta a correre fastidiosi rischi e brutte conseguenze, probabilmente immagina e sa che fino al 2008, il presidente federale Angelo Binaghi in carica dal 2000 a oggi, considerava – incredibile dictu! – il sottoscritto persona cui affidarsi, cui poteva convenire chiedere consiglio in virtù della sua maggiore età, esperienza e conoscenza del tennis internazionale, anche per certi aspetti comunicazionali.

Esperienze e conoscenze maturate e coltivate 30 anni prima della sua prima elezione a presidente FIT. Quindi fin dall’inizio degli anni Settanta, quando ancora – sebbene modesto giocatore – riuscivo grazie ai miei risultati da doppista fra i seconda categoria a qualificarmi per affrontare i “prima” agli Assoluti Nazionali, a vincere con il C.T. Firenze uno scudetto tricolore a squadre di prima categoria, prima di “sopravvivere” per oltre  mezzo secolo fra i giornalisti, frequentando non solo i più grandi tennisti di 6 decadi, ma anche i più grandi dirigenti dei grandi tornei e delle federazioni (un nome per tutti Philippe Chatrier),  tanti manager del tennis mondiale (Mark McCormack, Donald Dell), non senza aver avuto anche qualche piccola esperienza come promoter di qualche weekend tennistico (come l’evento similDavis Italia-Stati Uniti grazie al quale misi di fronte Adriano Panatta e Paolo Bertolucci a due mostri sacri come Arthur Ashe e Vitas Gerulaitis in Toscana), come per più anni organizzatore/direttore del torneo ATP di Firenze, quando ancor giovanissimo ero diventato amministratore delegato di una agenzia di pubblicità, D&A, Design&Advertising.

Angelo Binaghi usava allora chiamarmi zio” e mi consultava con una certa frequenza su svariati argomenti. Conservo sul mio cellulare i suoi messaggi. Fui anche consulente FIT e KPMG per una ricerca affidata all’Istituto per il Credito Sportivo.

QUANDO CONSIGLIAI ALLA FIT DI PROCURARSI UNO SPAZIO TV PER IL TENNIS

Inciso inedito: fra i vari suggerimenti che potei dare allora – ricordo che accadde nel corso di un viaggio in treno con Binaghi da Firenze a Bologna – ci fu anche quello di studiare il modo di “conquistare” uno spazio televisivo per il tennis, comprando spazi settimanali in un qualche network privato economicamente “raggiungibile”. Parlammo allora di piccoli network nazionali.

I fatturati FIT di allora non permettevano voli pindarici di altro tipo. Con meno di 30 milioni di fatturato annuo non era come averne 180 e, almeno secondo me, la FIT doveva prima di ogni cosa sistemare il settore tecnico maschile e rivedere la sua politica nei confronti dei team privati, per diversi anni per nulla incentivati, quando non addirittura osteggiati. Perfino le mie modeste conoscenze in termini di costi tv mi permettevano di escludere che una TV federale potesse chiudere i conti col break-even in tre anni, come fu invece annunciato all’esordio di Supertennis. Chiudo l’inciso, sennò dimentico Sinner e la sua presunta innocenza…

QUANDO I RAPPORTI IDILLIACI CON IL PRESIDENTE FIT CROLLARONO

Tutti questi rapporti idilliaci con Angelo Binaghi durarono dunque soltanto per i suoi primi 8 anni di presidenza. Fino al 2008. Ma che cosa accadde nel 2008?

Accadde che, settembre 2008, l’Italia di Coppa Davis doveva giocare a Montecatini per la permanenza in serie B (nel gruppo EuroAfricano) contro la Lettonia di Gulbis e…nessun altro!  Beh sì, il n.2 lettone era tale Andis Juska, n.394 del mondo…e non valeva più del suo ranking. Non avrebbe vinto contro nessuno dei primi 20 tennisti italiani.

Difatti perse i suoi due singolari senza vincere un set con Seppi e Starace che non giocarono neppure particolarmente bene. Inevitabilmente trascinò alla sconfitta in doppio anche il talentuoso Gulbis che in singolare aveva dominato nettamente Fognini in prima giornata (7-6,6-1,6-1) e avrebbe poi rimontato Seppi al quinto in terza dopo aver perso i primi due set.

Era stato anche in virtù di questa scontata debolezza del team lettone, che Simone Bolelli – consigliato dal suo coach Claudio Pistolesi – aveva osato dir di no alla convocazione in Davis emessa dal capitano Corrado Barazzutti.

C’era stato un precedente. L’anno prima Filippo Volandri, quando l’ItalDavis doveva affrontare un’altra squadretta ancor più debole, il Lussemburgo, su un campo in cemento approntato ad Alghero, fu concesso a Filippo di disertare l’evento in terra sarda, visto che voleva prepararsi per un torneo sulla terra battuta (Stoccarda?).

Bolelli era allora n.36 ATP. L’obiettivo che lui e il suo coach volevano centrare nell’autunno di quel 2008, era riuscire a rientrare almeno fra i primi 32 in modo da assicurarsi un posto fra le teste di serie all’Australian Open. Una legittima valvola di sicurezza per evitare di affrontare i più forti nei primi 2 turni.

C’erano due tornei in Oriente, Bangkok e Tokyo a settembre dove Simone era convinto di poter fare bene e conquistare punti preziosi. Ma per lui le cose non andarono come per Volandri. Il “gran rifiuto” di Bolelli scatenò un putiferio.

Nicola Pietrangeli (che giocava la Coppa Davis quando quella era molto più importante degli Slam) arrivò a dire che Bolelli “aveva sputato sulla bandiera”, la FIT proclamò una squalifica di 4 anni (poi rientrata), Binaghi disse che Bolelli non avrebbe mai più giocato in Coppa Davis (“Finchè sarò io presidente”, ma anch’esso fu provvedimento rimangiato quando Bolelli abbandonò il suo coach Pistolesi). Per un certo periodo gli fu impedito di allenarsi nei circoli italiani affiliati alla FIT.

Io avvertii Binaghi – che avrebbe desiderato il mio sostegno in quella battaglia sbagliata – che non lo avrei sostenuto perché non ero per nulla d’accordo.

Cercai di fargli presente che Connors aveva giocato in oltre 20 anni in Davis soltanto nel ’75, nell’81 e nell’84 (con pessimi risultati…perché era un gran individualista e non un uomo squadra come il suo “nemico” McEnroe).

Gli ricordai che l’ATP era nata sulla protesta e il boicottaggio di Wimbledon 1973 da parte di un’ottantina di tennisti per il “caso” di Nikki Pilic che era stata squalificato dalla federazione jugoslava perché aveva scelto di giocare il “mondiale” di doppio a Montreal anziché la Coppa Davis.

Ricordai che non solo ai tennisti USA veniva chiesta all’inizio di ogni anno una disponibilità “contrattualizzata” a giocare la Davis.

Ricordai come l’Argentina non fu quasi mai in grado di schierare contemporaneamente le sue due star top-5, Vilas e Clerc perchè un anno non accettava di giocarla l’uno e un altro anno l’altro…e via dicendo….-e del resto ben più recentemente, nel 2014, Juan Martin del Potro scatenò una guerra contro la federazione argentina e il proprio capitano di Coppa Davis Martin Jaite dicendo che non avrebbe difeso i colori albiceleste “Ho deciso che non giocherò la Coppa Davis quest’anno

Fatto sta che Bolelli rimase talmente sconvolto da tutte le sanzioni e le polemiche che seguirono al suo presunto “oltraggio alla bandiera” che la sua tournee asiatica si risolse in un disastro. Perse al secondo turno a Bangkok e al primo (da Suzuki n.593 ATP) a Tokyo.

Ma la FIT proseguì sulla sua strada. Due anni dopo Andreas Seppi fu costretto a fare il giro del mondo per presentarsi a capo chino a Castellaneta Marina (non la località più semplice da raggiungere) alla vigilia di Italia-Bielorussia che schierava il solo (e già vecchio) Mirnyi. Un’inutile costrizione alle forche caudine. 

Lì i rapporti fra chi scrive e Binaghi si incrinarono pesantemente. Successivamente le mie forti critiche alle modifiche statutarie che lui apportò nell’autunno 2009 e che gli hanno astutamente consentito di non avere più candidature alternative alla sua presidenza FIT per quasi tutte le elezioni successive dal 2008 in poi, dettero il colpo di grazia ai nostri rapporti.

Per me Binaghi era il miglior dirigente possibile per quegli anni, e magari anche per quelli successivi, ma non trovavo giustificabile che un dirigente, per quanto bravo, potesse brevettare statutariamente un sistema per diventare “imperatore” a vita. E lo scrissi chiaramente inimicandomelo per sempre. (n.b. per sempre perchè quello è il suo carattere). Scrissi che aveva trovato modo di restare presidente fino al 2016. Mi ero sbagliato per difetto. Ciò detto, però, pur restando io critico su diverse metodologie comportamentali, non ho alcuna difficoltà a riconoscergli diversi meriti gestionali che in questa sede non è il caso di approfondire.

Riguardo alla Davis e alla Fed Cup, però ed infatti, l’atteggiamento federale è poi mutato nel tempo. E nella stessa direzione che avevo indicato.  Francesca Schiavone chiese di “saltare” una convocazione di FED CUP in cui avrebbe dovuto far da riserva alle più giovani Pennetta, Errani e Vinci. Le fu concesso “per meriti sportivi acquisiti”. Fabio Fognini giocò un torneo a Belgrado nella stessa settimana in cui disse di non sentirsi in grado di giocare la Davis (dopo una pesante sconfitta a Roma 2010, 6-0,6-3 con Seppi). Nove anni dopo Fognini non rimase in Australia per andare con il resto del team in India per la Davis 2019, ma – sconfitto per la sesta volta di fila dalla sua bestia nera Carreno Busta (6-2,6-4,2-6,6-2) – chiese e ottenne di poter tornare in Italia.

Capisco bene quindi che oggi Binaghi, e lo stesso Volandri, non si sentano di mettere in discussione le scelte professionali del nostro miglior giocatore, di colui che più di ogni altro potrebbe rappresentare il nostro tennis ai massimi livelli per i prossimi 10 anni.

Non mi sarei messo contro Volandri, Bolelli, Seppi, Fognini, Schiavone, professionisti liberi di fare le proprie scelte, anche perché sono loro stessi i soli a conoscere davvero le proprie situazioni fisiche e i propri calendari spesso collegati a tante variabili, superfici, continenti, classifiche, periodi stagionali….

Quindi trovo abbastanza normale che Binaghi abbia detto stavolta di “condividere” le scelte di Sinner e del suo team, “tenendo conto degli altri obiettivi di carriera di un tennista che è n.4 nella Race e che mira a vincere uno Slam”.

E Sinner conosce il suo corpo (ad oggi un corpo…non straordinario se paragonato a quello di un Djokovic, ma anche di un Alcaraz, di uno Tsitsipas i suoi primi e più forti rivali) meglio di chiunque altro.

Sinner ha spesso sofferto di problemi fisici, perfino nel suo ultimo match con Evans, ma anche di stress psicofisici, all’indomani di una sconfitta pesante o perfino di una vittoria importante.

Quando lo scorso anno in Davis a Bologna perse dallo svedese Mikael Ymer, n.98 del mondo scrissi in un mio editoriale.

“Confesso che sono rimasto un po’ disorientato per la sconfitta patita da Sinner con Mikael Ymer. E’ chiaro che Jannik non aveva recuperato appieno dal trauma della partita (persa nei quarti all’US Open 2022) con il matchpoint con Alcaraz (poi vittorioso nel suo primo Slam)”. Eppure era trascorsa una decina di giorni. Più o meno gli stessi giorni che sarebbero intercorsi fra la maratona di 4 ore e 40 persa quest’anno a New York con Zverev e l’incontro che avrebbe potuto giocare a Bologna contro il Canada.

Quella negativa esperienza “Ymer-after Alcaraz”  ha probabilmente portato consiglio al team Sinner.

Quando Jannik ha vinto il suo primo Masters 1000 quest’estate in Canada, poi ha giocato subito dopo Cincinnati e ha perso al suo primo ostacolo con Lajovic.

Simile storia era accaduta quando in Australia Jannik vinse un ATP 250 a Melbourne ma poi pochi giorni dopo perse al primo turno con Shapovalov all’Australian Open.

Insomma è legittimo, alla fine, che Jannik prenda le sue precauzioni. Anche se sembrano egoistiche, individualiste come lo sport che pratica da campione – un top 4 dell’anno lo è – poco simpatiche, apparentemente poco permeate di spirito di squadra.

Berrettini, infortunato, si è fatto vedere a bordocampo a Bologna, a sostenere la squadra. E tutti lo hanno apprezzato. Ma Matteo non doveva prepararsi per giocare i tornei cinesi che invece Jannik sta disputando.

Quindi chi ha sottolineato i diversi comportamenti di Jannik e Matteo avrebbe dovuto rendersi conto anche delle loro diverse situazioni. Che in buona parte sono state riprese e argomentate nei due articoli che sono usciti su Ubitennis, scritti da Michelangelo Sottili (“per me Sinner è colpevole”) e Federico Bertelli (“per me Sinner è innocente“), per fotografare la realtà, una situazione di un “caso” su cui sono “saltati sopra” Gazzetta dello Sport in primis, ma anche tanti campioni di altre epoche (Pietrangeli, Panatta), di altre Davis, di altri sport ben diversi da quello che è oggi il tennis professionistico.

Ecco perchè ho trovato pretestuose le pesanti critiche che sono state scagliate come frecce avvelenate sul corpo di Jannik Sinner, un patrimonio tennistico da proteggere. Ecco perchè non vedo perchè Volandri dovrebbe rinunciare tafazzianamente a convocare il nostro tennista più forte a Malaga quando avremmo le possibilità per rivincere finalmente quella Coppa Davis che ci è sempre sfuggita dal 1976 a oggi, anche se questa Coppa Davis non è davvero quella che era una volta. Ma tutto cambia e magari – spero -cambierà ancora. E se si dovesse vincere la Coppa Davis quest’anno, come io credo sia possibile, tutte le polemiche suscitate dalla Gazzetta e da altri verranno offuscate e dimenticate.

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Coppa Davis

Coppa Davis – La festa italiana è più gioiosa perché poteva essere un funerale. Ora non si esclude di poter vincere la Coppa Davis n.2

Il sorteggio delle finali martedì. A Malaga Italia fra le squadre più forti. Subito Olanda o Gran Bretagna.
Binaghi sogna una Davis con 4 singolaristi diversi, come aveva invocato Rino Tommasi. Meno male non siamo nella condizione della Svezia

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Italia – Coppa Davis 2023 (foto di Roberto dell'Olivo, Bologna 2023)
Italia – Coppa Davis 2023 (foto di Roberto dell'Olivo, Bologna 2023)

Dalle stalle alle stelle, dall’Inferno al Paradiso? Sembrano luoghi comuni, ma in 72 ore, quando sono state rovesciate in modo rocambolesco non una ma tre partite con il Cile, siamo passati da una quasi certa bruciante eliminazione ad una qualificazione per le finali a 8 nazioni di Malaga dove – assenti Spagna, Stati Uniti e Russia – potremmo teoricamente conquistare addirittura la seconda Coppa Davis della nostra storia.

Il sorteggio sarà fatto martedì. Al momento non sappiamo in quale metà del tabellone capiterà l’Italia, ma sappiamo che nei quarti ci può capitare l’Olanda di Griekspoor e Van de Zandschulp o la Gran Bretagna di Murray ed Evans.

Squadre battibilissime per raggiungere le semifinali se saremo in grado di schierare i nostri migliori tennisti, il “figliol prodigo” Sinner in primis, Berrettini in secundis. Poi, certo, ci sarebbe la Serbia di Novak Djokovic in semifinale.

 

Insomma, credo che a due mesi di distanza da Malaga, se la Davis la si giocasse oggi, credo che la Serbia sarebbe la favorita per via del “mostro” Djokovic e della “bestia nera” dei nostri Djere (senza dimenticare Lajovic che, anche lui ama darci dispiaceri quando può).

Ma… insomma, quando si ascoltano le telecronache tennistiche di questi tempi i vocaboli più abusati sono “incredibile” e “pazzesco”…(insieme all’espressione “spesso e volentieri” anche quando il volentieri non ha alcun senso, ma viene detto comunque), ma devo confessare che qui a Bologna l’uso anche da parte mia di quei vocaboli mi sembra abbastanza giustificato.

Il giorno più…banale è stato certamente l’ultimo, non quello dello 0-3 con il Canada, non quello del 3-0 con il Cile. La Svezia era davvero poca cosa. Perderci una, due, tre partite non era possibile neppure in questa settimana…incredibile e pazzesca!

Leo Borg non ha demeritato contro Arnaldi, ma alla fine ha perso così come aveva perso le altre partite. E’ migliore del suo ranking, 334, ma del padre ha solo il cognome e il passaporto. E Matteo Arnaldi non poteva bagnare meglio il suo esordio che vincendo i due singolari in cui è stato impegnato, rimontando Garin e tenendo a bada Borg junior pur subendo un break nel terzo gioco che tradiva la sua comprensibile tensione.

Noi italiani siamo passionali per antonomasia, così come gli scandinavi – sarà pure uno stereotipo – vengono definiti …freddi.

E allora io mi chiedo come avremmo reagito noi con la nostra passionalità se ci fosse capitato quel che è accaduto al tennis svedese negli ultimi 25 anni.

Prima del ‘98 ultima finale vinta e ultima giocata dagli svedesi, 25 anni fa, la Svezia aveva vinto 7 Coppe Davis (1975, 1984,1985,1987,1994,1997,1998), non una come noi!

E fra l’83 e l’89 aveva giocato sette finali consecutive, vincendone quattro.

La loro ultima Davis l’hanno vinta per l’appunto a Milano 1998 contro l’Italia di Gaudenzi (che si fece male, malissimo, contro Magnus Norman nel set decisivo).

Credo di averle viste tutte, diverse anche commentandole in tv seppur non quella del ’96 a Malmoe quando Stefan Edberg fece il canto del cigno, chiudendo sfortunatamente con un infortunio la sua ultima finale con la Francia. Doppia sfortuna perché quella volta la Svezia ebbe tre matchpoint nel singolare decisivo con la Francia sul 2-2, ma Niklas Kulti finì per perdere con Arnaud Boetsch.

Il contrasto fra i successi svedesi e quelli italiani è stridente.

 Non solo per 7 Coppe Davis a 1, ma per 25 Slam a 3Borg ne vinse 11 (e chissà quanti ne avrebbe vinti se a 26 anni non si fosse stufato dei dirigenti della federtennis internazionale che lo volevano obbligare a giocare troppi tornei quando lui, antesignano dei tempi moderni, avrebbe voluto fare Federer, Nadal e Djokovic e giocare solo i tornei cui teneva, i Majors, qualche Masters 1000…che non si chiamava così), Wilander 7, Edberg 6, Johannson 1. 25 titoli colti in tutti gli Slam, tutte le superfici.

E L’Italia invece solo due di Pietrangeli e uno di Panatta tutti al Roland Garros.

E vogliamo misurare i top-10 svedesi contro quelli italiani?

Beh, 13 svedesi contro 5 italiani nell’Era Open (Più Pietrangeli prima di quell’Era…che sennò si arrabbia! Ma meritava di starci).

E della qualità di quei top-ten vogliamo parlare?

L’Italia ha avuto Panatta, best ranking n.4, Berrettini e Sinner best ranking n.6, Barazzutti n.7, Fognini n.9), la Svezia tre n.1 (Borg, Wilander e Edberg), un n.2 (Norman), tre n.4 (Soderling, Bjorkman e Enqvist, che era qui a Bologna), un n.5 (Jarryd), due n.6 (Sundstrom e Carlsson), due n.7  (Johansson e Nystrom), quattro n.10 (Larsson, Gustafsson, Pernfors e Svensson).

Ma da più di un ventennio  (dal 2002 quando Thomas Johansson vinse l’Australian Open) gli svedesi non hanno praticamente più raccattato pallino.

Vi immaginate le polemiche che sarebbero sorte in Italia se fossimo stati vittime di tali continue debacle?

Se ci fossimo trovati a giocare in Davis con giocatori mezzo etiopi e mezzo italiani, così come i due Ymer sono mezzo etiopi e mezzo svedesi, salvo lanciare in squadra un…figlio di Panatta che fosse classificato n.334 del mondo.

Vabbè dai, allora non lamentiamoci. Stiamo molto meglio degli svedesi. Da un quarto di secolo, più o meno.

 Ho raccolto, e ne parleremo diffusamente, 37 minuti di conferenza stampa di Angelo Binaghi, che abbiamo registrato sia in video sia in audio, e ne faremo sintesi anche testuale dopo che ne ho accennato sommi capi anche nel video che avete sul sito e su You Tube.

Sono d’accordo con Binaghi– udite udite! – sul fatto che se la Davis deve essere assimilata a un campionato del mondo non si possono usare per essa gli stessi parametri di quanto Dwight Davis andò a far coniare la Coppa che ha preso il suo nome nella celebre gioielleria di Boston Shreve&Low&Crump, anno del Signore 1900.

Se la Davis dovrebbe esaltare la profondità del movimento non può farlo basandosi su uno o due giocatori che da soli possono vincerla. Nel ’75 Borg la vinse praticamente da solo, due singolari ogni volta e il doppio con il gigante Ove Bengtson che era appena n.100 del mondo in singolare (quando il 100 di allora giocava come il 250 di oggi).

Binaghi ha ricordato che Rino Tommasi, come al solito ante litteram, aveva suggerito che ogni duello avrebbe dovuto consistere in 4 singolari e un doppio, ma che quei 4 singolari avrebbero dovuto essere giocati da 4 giocatori diversi. In altre occasioni Rino si era spinto più in là: sei singolari e 3 doppi, impegnando quindi 6-7-8 tennisti diversi.

Però Luca Marianantoni ha trovato dove Rino parlò di come sarebbe dovuta cabiare la Coppa Davis. Non l’ha scritto su uno dei suoi libri, ma sul mio Blog Servizi Vincenti, il padre di Ubitennis!

http://www.blogquotidiani.net/tennis/index574f.html?p=2446

Io sono d’accordo in linea di principio…con Tommasi e Binaghi (mai avrei detto che ci saremmo trovati tutti e tre sulla stessa linea!).

Ma aggiungo che si sarebbe dovuto studiare un regolamento diverso soltanto da applicare per le nazioni facenti parte del World Group.

 Perché solo le prime 16 nazioni del mondo –e come abbiamo visto soltanto qui a Bologna con i casi del Canada, del Cile e della Svezia, e senza esaminare le squadre degli altri 3 gironi, purtroppo neppure tutte – possono avere 4 singolaristi “presentabili” televisivamente  per una “Davis-WorldCup” che per conquistare sponsor milionari deve poter garantire audience di primissimo livello.

Se si mostrassero partite tipo Galarneau-Ymer (che erano i n.2, non i n.4 delle loro squadre!), ma anche Garin-Borg…ve l’immaginate l’audience televisiva mondiale? Le guarderebbero a fatica anche in Canada, Svezia e Cile!

Le tv vogliono mostrare solo le star, i n.1. Faticano a mostrare i n.2 che giocano fra loro. Figurarsi i n.3 e i n.4 di squadre deboli. Ma anche di quelle forti se …non hanno nomi reboanti.

Però è vero che qualcosa vada fatto. Le federazioni più ricche – l’Italia è fra queste come quelle che sono proprietarie di Slam o Masters 1000 – possono investire per allargare sempre di più la base, ma la Davis la giocano 170 Paesi e 160 fanno fatica a tirar su un giocatore, due giocatori.

Allestire squadre da 6 o 7 tennisti di buon livello teleguardabile per la stragrande maggioranza dei Paesi è dura, durissima, impossibile.

Ma la stessa ATP dovrebbe avere tutto l’interesse – anziché combattere la Davis come hanno tentato di fare anni fa con la creazione del doppione ATP Cup – a creare più “posti di lavoro” e introiti per singolaristi e doppisti.

Avremo modo di riparlarne. Dal 24 al 26 ci sono le elezioni dell’ITF e vedremo se David Haggerty verrà rieletto o prevarrà l’opposizione filo…tedesca (per la quale è schierata l’Italia).

Nel secondo caso è più facile che qualche riforma passi. Anche se alla base ci vogliono, più che le federazioni, i soldi degli sponsor e delle tv.

Intanto rallegriamoci per lo scampato pericolo. E chissà che a Malaga (21-26 novembre), quando la Davis verrà messa in palio e l’Italia sarà fra le squadre favorite, non venga annunciata qualche grossa novità e qualche importante modifica.

La Davis ha bisogno di una nuova cera che le restituisca il prestigio che aveva. E che ha in buona parte purtroppo perso. Fra i giocatori che la disertano, fra i media, fra gli addetti ai lavori che non hanno a cuore la tradizione del nostro sport.

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