Verso le ATP Finals: Kevin Anderson, l'anno della consacrazione

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Verso le ATP Finals: Kevin Anderson, l’anno della consacrazione

Il tennis sudafricano acclama il suo beniamino che giocherà (da quarta testa di serie) il Masters di Londra. Prima di lui ci riuscì il solo Wayne Ferreira nel ’95

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Domenica 11 novembre partiranno le ATP Finals di Londra e sarà un giorno storico per il tennis sudafricano. Kevin Anderson, quest’anno finalista a Wimbledon, è infatti il secondo giocatore del Sudafrica a partecipare al Masters nel torneo di singolare, il primo dall’edizione 1995. Nella sua prima avventura alle Finals sarà protagonista nel gruppo Lleyton Hewitt – assieme a Roger Federer, Kei Nishikori e Dominic Thiem – da testa di serie n.4 (farà il suo esordio proprio domenica alle 15 italiane, contro Dominic Thiem).

L’ANNO DI KEVIN – Il sesto posto conquistato da Anderson nella classifica “Race” 2018 racconta già tanto della miglior stagione della sua carriera, arrivata nell’anno delle sue 32 primavere. Che il sudafricano avrebbe potuto raggiungere risultati importanti lo si era capito già nei primi mesi della stagione. Nonostante il brutto stop al primo turno dell’Australian Open contro Kyle Edmund (poi semifinalista), Kevin raggiunge la finale nei restanti tornei giocati in gennaio e febbraio, vincendo il quarto titolo della sua carriera nell’ATP di New York. Dopo due quarti di finale nel Sunshine Double, centra anche discreti risultati sulla terra rossa (semifinale a Madrid e ottavi al Roland Garros), prima del grande exploit su erba. A Wimbledon Anderson si conquista più volte la prima pagina, prima battendo Roger Federer nei quarti e poi vincendo la storica semifinale con John Isner 26-24 al quinto set. Non trova fortuna nemmeno nella sua seconda finale Slam della carriera, ma il risultato a Church Road gli permette di piazzarsi tra i primi cinque giocatori del mondo (best ranking). Nonostante qualche difficoltà a cavallo tra la stagione sul cemento americano e i tornei dell’Est, si guadagna il pass per il Masters con buon anticipo e festeggia nel migliore dei modi con il secondo titolo del 2018 a Vienna.

IL PRECEDENTE – Il gigante sudafricano si presenta alla O2 Arena con un bilancio stagionale di 45 vittorie a fronte di 17 sconfitte e le condizioni di gioco suggeriscono che nel gruppo Hewitt, dopo Federer, sia lui il favorito per superare la fase a gruppi. Sarebbe un’altra prima volta per il tennis sudafricano, dal momento che l’ultimo giocatore del Sudafrica a disputare un Masters si fermò al Round Robin. Si tratta di Wayne Ferreira, nativo di Johannesburg – come Anderson -, protagonista delle allora chiamate ATP Tour World Championships del 1995 a Francoforte. Ferreira quell’anno riuscì a vincere ben quattro tornei per il secondo anno di fila (ne ha 15 in bacheca, tra cui due Masters Series) e in maggio festeggiò il best ranking di numero 6 ATP, lo stesso destino del suo connazionale Kevin tredici anni dopo. Tuttavia non fu sufficiente per essere tra gli otto di Francoforte. Ci arrivò da ripescato – come avvenuto a John Isner quest’anno – grazie all’infortunio di Andre Agassi. Ferreira giocò una buona fase a gironi, batté Sampras e Kafelnikov, ma perse contro Boris Becker, che passò il girone come secondo, eliminando il sudafricano.

IL VOLTO DEL SUDAFRICA – Anderson (due finali Slam) e Ferreira (due semi Slam) sono i due principali esponenti della storia recente del tennis in Sudafrica assieme ad Amanda Coetzer (tre volte semifinalista Slam), una storia che ha raggiunto diversi picchi, ma che è fatta soprattutto di periodi bui e di qualche rimpianto di troppo. Tornando più indietro nel tempo, un decennio prima dell’avvento di Ferreira, Johan Kriek era il tennista sudafricano più vincente con i suoi due trionfi all’Australian Open (1981 e ’82), il quale decise poi di prendere il passaporto statunitense. Anche Kevin Curren fece segnare risultati importanti, due finali Slam (AO 1984 e Wimbledon 1985), ma non vinse mai un torneo Major. Stesso destino di Cliff Drysdale (finale all’US Open 1965), Sandra Reynolds (finale persa a Wimbledon ’60) ed Eric Sturgess, sconfitto in tre finali Slam tra gli anni Quaranta e Cinquanta.

Risultati buoni, ma mai eccezionali (eccetto che per Kriek), che rispecchiano a pieno titolo la “rivoluzione a metà” del tennis sudafricano. Il periodo segnato dalla segregazione razziale ha condizionato ampiamente le vicende sportive del Sudafrica. Dopo l’esclusione dalla maggiore parte delle competizioni sportive internazionali negli anni Settanta (periodo in cui Arthur Ashe denunciò apertamente la gravità dell’apartheid), all’inizio degli anni Novanta il paese ha tentato una ripresa in tal senso. Tuttavia il tennis aveva ormai assunto i tratti dello sport elitario e rivolto essenzialmente ai bianchi, lontano dalla popolazione, e non si vide nella disciplina quel potenziale universale dello sport, cioè quello di riuscire a unire persone, città e interi paesi. Il carattere essenzialmente “bianco” del tennis sudafricano è ancora oggi presente, ma la Federazione Internazionale si è già mobilitata con un fondo per aiutare i tennisti dei paesi in via di sviluppo e di conseguenza rompere definitivamente la barriera che spezza in due il movimento tennistico (e sportivo) del Sudafrica.

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