2022, l'anno dei grandi ritiri. Serena Williams, Ash Barty e non solo: tutti gli addii al tennis femminile - Pagina 4 di 5

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2022, l’anno dei grandi ritiri. Serena Williams, Ash Barty e non solo: tutti gli addii al tennis femminile

Storie, racconti, aneddoti, vittorie, delle donne del tennis – più o meno famose – che hanno salutato nell’anno che si sta per chiudere lasciando un chiaro segno del loro cammino. Stosur, Puig, Flipkens… La lista non è breve

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Serena Williams - US Open 2022 (foto Twitter @wta)
 

Kim Clijsters 12/04/2022 – La medaglia dell’originalità se la prende senza dubbio Kim. Primogenita del calciatore belga Lei Clijsters, che vestì la maglia dei Diavoli Rossi negli anni ottanta oltre a vincere con il Malines la Coppa delle Coppe del 1988 e all’inizio della stagione successiva la Supercoppa Europea ai danni dei campioni d’Europa in carica del PSV di Koeman e Romario, guidati in panchina da Guus Hiddink. Si laureò, sempre nell’88, anche giocatore belga dell’anno. Lei scomparse prematuramente all’età di 52 anni nel 2009 a causa di un melanoma. Lo scettro sportivo del padre difensore non è stato però lasciato nel dimenticatoio, dato che Kim ha conquistato ben quattro Slam durante la sua “frammentata” carriera: a Melbourne si impose nel 2011, prima realizzò una tripletta a New York tra il 2005, il 2009 e il 2010. In apertura abbiamo però parlato di un qualcosa di speciale che lega la protagonista al momento in cui un atleta dice basta. Ebbene, il ritiro dello scorso aprile è stato “solamente” il terzo della sua carriera. Di certo non una consuetudine: il primo addio alla racchetta fu nel 2007 per via di una serie incessante di infortuni da un lato, ma dall’altro anche per il desiderio di creare una famiglia con il neo marito Bryan Lynch. Infatti nel giugno del 2008, venne alla luce la piccola Jada. Tuttavia la lontananza dal campo si fa sentire, e il rientro è formidabilmente dirompente: vince il suo secondo Open degli Stati Uniti divenendo la prima campionessa Slam “mamma” dal 1980, non sazia si mette anche in cascina il double newyorchese e il suo unico Happy Slam. A distanza di cinque anni, dopo che il primo comeback aveva fruttato tre allori Majors, annuncia la seconda fine della sua vita da tennista alla conclusione dello US Open 2012. In questo caso, rispetto alla vicenda Barty, il richiamo della racchetta è un sentimento nostalgicamente presente nel cuore di Kim che afferma sì di amare il ruolo di mamma ma allo stesso modo di provare le medesime vibrazioni per il tennis. Dunque terzo atto che inizia a 36 anni nel 2020, con il chiaro monito di essere una sfida da affrontare, e con altri due figli al seguito (Jack 5 anni, Blake 2). La voglia di rimettersi in gioco c’era tutta, purtroppo per lei però si è abbattuta sull’umanità la piaga del Covid che le ha impedito di realizzare il suo intento facendole disputare soltanto cinque partite in due anni. Così fisiologicamente il tennis è passato in secondo piano, con la famiglia a reclamare sempre più tempo e spazio, e questa volta la racchetta nel cassetto ci è finita per davvero. Si chiude così in maniera definitiva la carriera di una grandissima campionessa, capace di ergersi a numero uno del mondo nella stessa stagione sia in singolare che in doppio (2003) e di trascinare la propria nazionale alla conquista della Fed Cup. Quattro mesi fa, poco dopo il suo ritiro, è stata nominata nuovo Presidente Onorario della Hall of Fame sostituendo Stan Smith.

Kim Clijsters – US Open 2020 (photo by Rhea Nall/USTA)

Laura Robson 16/05/2022 – Mentre in altri casi è stato lo sgualcirsi della carta d’identità a fare il proprio corso, a porre fine ai sogni della nativa di Melbourne ci hanno pensato svariati interventi chirurgici. Così a 28 anni, Laura, è costretta a lasciare il tennis. Britannica di origini australiane ma cresciuta nei primi anni d’età a Singapore, si fece notare sin da giovanissima quando nel luglio del 2008, a soli 14 anni, si aggiudicò il torneo Junior di Church Road. La scia di ottimi risultati tra cui anche altre due finali Majors Down Under tra il 2009 e il 2010, sublimati dal trionfo londinese, la portarono fino alla conquista della cima del ranking juniores. Nel 2012, poi, si aggiudicò il riconoscimento come Newcomer of the Year dopo aver raggiunto gli ottavi a Flushing Meadows grazie a due eccellenti eliminazioni: la campionessa in carica del torneo Kim Clijsters e la vincitrice del Roland Garros 2011 Li Na. Sempre in quella stagione, indubbiamente la migliore della sua risicata carriera, vinse anche l’unico titolo WTA a Guangzhou diventando la prima britannica a giocare una finale nel circuito maggiore dopo ben 22 anni: l’ultima era stata Jo Durie nel 1990. Dulcis in fundo, a porre la ciliegina su un’annata per lei straordinaria: il cammino olimpico sui sacri prati di SW19, con la medaglia d’argento conquistata in doppio misto al fianco di Andy Murray. Solo i bielorussi Azarenka e Mirnyi impedirono al duo di Sua Maestà di poter festeggiare il titolo a cinque cerchi davanti ai propri connazionali. Qui, tuttavia, finiscono le gioie e iniziano le piaghe fisiche. Si sa perfettamente che il tennis sia uno sport che metta a dura prova il fisico degli atleti, e quando un grande talento non è supportato da una struttura fisica in grado di reggere la lunghezza e il logorio di una stagione agonistica sempre più ricca di appuntamenti clou, vien da sé che la conseguenza è una ricorrente e preoccupante tendenza agli infortuni. Da aprile 2014 è stato un calvario senza ritorno – anche fuori dal campo visto che fu, per fortuna illesa, tra i sopravvissuti della strage di Las Vegas: una delle più gravi sparatorie della storia americana, nella quale l’omicida sparò con 32 diverse armi da fuoco dal Mandalay Bay Hotel di Paradise, sobborgo di Las Vegas, verso la folla di circa 22.000 persone che stava seguendo un concerto country assasinandone 60 e ferendone quasi 900 – prima si è sottoposta ad un’operazione al polso sinistro; poi la mancina britannica è dovuta andare sotto i ferri per tre volte a causa di un’anca malconcia, l’ultima delle quali a gennaio 2021. E così, dopo aver vagliato qualsiasi possibilità – tutte improduttive – in termini di riabilitazioni, non ha potuto fare altro che arrendersi. Ora si prospetta una nuova vita da commentatrice.

Monica Puig 13/06/2022 – Nell’anno di stelle cadenti a profusione, è stato il momento di prendere coscienza che ormai il massimo del proprio bagliore era alle spalle anche per un’isolana del Centro America. L’attimo di massima luminosità rimane quel fulgido istante di Rio, quando nell’estate di sei anni fa risuonò in Brasile l’inno di Porto Rico. Una medaglia d’oro olimpica, che l’ha resa immortale per il suo Paese ed eretta ad indiscussa icona dell’isola caraibica, in una Nazione dove il basket e ancor di più il baseball sono una religione. La settimana perfetta, dove sconfisse nell’ultimo atto la seconda favorita di quell’edizione dei Giochi Olimpici Angelique Kerber, regalando a Porto Rico il suo primo storico oro ad un’Olimpiade. Tutto ciò, nonostante non fosse mai andata oltre il quarto turno in uno Slam. Vinse squarciando ogni tipo di pronostico, ed imponendosi pur non essendo teste di serie: la prima a riuscirci dal 1988, ovvero sia da quando il tennis è tornato ad essere sport olimpico. Dopo la grande favola, però, nelle ultime tre stagioni sono stati troppi gli infortuni a cui ha dovuto far fronte la 29enne portoricana: ultimi in ordine cronologico, un intervento alla cuffia dei rotatori della spalla destra ed uno al tendine del bicipite. Stop fisici che di fatto l’hanno impossibilitata a difendere il titolo a Tokyo.

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