Djokovic senza limiti. Record di slam e numero 1: "Il viaggio non è finito" (Cocchi). Le roi Djokovic (Ercoli). FenomeNole (Semeraro). Nole, Parigi si inchina, è lui il re del tennis (Martucci). La rincorsa di Djokovic si completa a Parigi, ora è sul tetto del tennis (Piccardi)

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Djokovic senza limiti. Record di slam e numero 1: “Il viaggio non è finito” (Cocchi). Le roi Djokovic (Ercoli). FenomeNole (Semeraro). Nole, Parigi si inchina, è lui il re del tennis (Martucci). La rincorsa di Djokovic si completa a Parigi, ora è sul tetto del tennis (Piccardi)

Il 23esimo slam di Novak Djokovic nella rassegna stampa di lunedì 12 giugno 2023

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Djokovic senza limiti. Record di slam e numero 1: “Il viaggio non è finito” (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Mesdames e Messieurs, benvenuti nella storia del tennis. Benvenuti al gran ballo dell’imperatore Nole, padrone di 23 Slam, più di chiunque altro tennista nella storia, e di nuovo sul trono, al numero 1. Pensare che Casper Ruud, pur protagonista di un ottimo Roland Garros, potesse fermare la sua corsa proprio in finale è sembrata da subito un’ipotesi bizzarra. Quando Djokovic inquadra un obiettivo è ben difficile che possa fallire. Ieri Casper è partito forte, capace di passare subito in vantaggio di un break ma di farsi rimontare e infine superare al tie break dopo un’ora e 22 di battaglia nel primo set. Dopo la botta, il norvegese non è stato più in grado di opporre resistenza allo strapotere del serbo in missione. Tre set e via, secondo copione. Recentemente in una sola occasione si è visto il Djoker vacillare e poi cadere, solo di fronte all’impresa più grande per un tennista, quel Grande Slam che dal 1969 è ancora saldamente nelle mani di Rod Laver. Nel settembre dei 2021, nella finale dello Us Open contro Medvedev, Nole si era rivelato umano, crollando sotto la pressione di un risultato atteso da tutto il mondo. Quasi come Carlos Alcaraz contro di lui in semifinale a Parigi. Divorato dall’ansia e dai crampi: «Per la prima volta sentiva il dovere di vincere, e si è lasciato sopraffare», commentava il serbo in un ricordo dal sapore autobiografico.

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Il più grande, adesso. O il “Goat” come si usa dire con un acronimo che significa “greatest of all times”, ovvero il più grande di tutti i tempi. Perché guardando i numeri non può che essere così, 23 titoli Slam, uno più di Rafa Nadal a casa con le stampelle per l’operazione all’ileopsoas, tre più di Roger Federer, addirittura nove più di Pete Sampras, e se dovesse trionfare a Wimbledon aggancerebbe anche Margaret Court fino a ora imprendibile con 24. Serena Williams si è fermata a 23 senza mai riuscire a salire l’ultimo gradino, Nole è affamatissimo e non vuole fermarsi. Sono numeri che fanno impressione, come le 388 settimane da numero 1 al mondo che per lui iniziano oggi: mai nessuno come lui tra chi maneggia la racchetta per professione. La porta è ancora aperta per l’operazione Grande Slam e intanto si «accontenta» di essere il primo ad aver conquistato almeno tre volte tutti i Major: «Ovviamente il viaggio non è ancora finito. Se sto vincendo uno Slam, perché pensare di chiudere la carriera che va avanti da 20 anni? Perché non pensare al 24 o al 25?». Lezione di umiltà L’ultimo punto e quel tuffo a terra, le lacrime per la tensione, la corsa nel box ad abbracciare moglie, figli, genitori. I ringraziamenti di rito, le parole gentili verso Casper Ruud, alla terza finale fallita su tre. Ma cosa ci vuoi fare Casper? Dall’altra parte della rete ti sono capitati Nadal, Alcaraz e Djokovic, tutte tessere che hanno composto e continueranno a comporre il puzzle della storia del tennis: «Noie può vincere su qualunque superficie, i 23 Slam sono probabilmente il record più significativo del tennis. È una delle più grandi leggende del nostro sport, e un giorno spero di batterlo». Ma quel giorno non era ieri, e così il primo a complimentarsi è stato l’arcinemico detronizzato, Rafa Nadal: «Congratulazioni Novak per questo grande risultato. Il 23 è un numero che fino a qualche anno fa non avremmo mai potuto immaginare». E anche Alacaraz ha voluto partecipare alla festa via social. Sui rivali storici, Novak ha un pensiero chiaro: «Federer e Nadal hanno segnato il mio percorso, la nostra rivalità mi ha aiutato a crescere, mi ha definito come giocatore. Hanno occupato una parte della mia mente per 15 anni. Professionalmente. Goat? Ma no, chiamatemi semplicemente Nole, sarebbe irrispettoso per tutti i grandi campioni che hanno attraversato la storia del nostro sport. Certo, io ho una incrollabile fiducia in me stesso». Il messaggio che vuole lanciare è importante, come le sue vittorie e i record: «A 7 anni sognavo di vincere Wimbledon e diventare numero 1 al mondo. Ho avuto la forza di creare il mio destino. Per questo voglio mandare un messaggio a tutti i bambini: pensate al presente e non al passato. Ma se volete un grande futuro, lavorate sul quotidiano e andatevelo a prendere». E non vale solo per i bambini, è una spinta a non arrendersi alle difficoltà, che nel suo caso sono state guerra e povertà, a non ascoltare i detrattori («I fischi? Non li ascolto e continuo a vincere») e andare avanti per la propria strada nel bene e nel male.

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Le roi Djokovic (Lorenzo Ercoli, Corriere dello Sport)

L’ha sognato, l’ha dichiarato e ha portato a termine la missione1 Novak Djokovic è più grande di Roger Federer e Rafael Nadal, o almeno cosl dicono i numeri. Il trentaseienne di Belgrado ha domato Casper Ruud per 7-6(1) 6-3 7-5 ed è uscito dal Philippe Chattier con il terzo Roland Garros, lo scettro di numero 1 ATP e il tanto agognato ventitreesimo Slam. L’infortunio al gomito intercorso tra Montecarlo e Banja Luka aveva messo a repentaglio lo swing sul rosso ripartito poi dalle incertezze di Roma. Dopo il ko dei quarti di finale contro Holger Rime la domanda gli era stata posta senza fare giri lunghi «Sei ancora fiducioso per il Roland Garros?». La risposta e stata altrettanto perentoria, un “SÌ” secco.

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Superato in semifinale l’ostacolo Alcaraz che, prima dei crampi, gli aveva chiesto di interpretare una partita più fantasiosa del solito. II serbo nella finale contro Ruud è potuto tornare sul terreno di caccia a lui più caro, quello che nei momenti cruciali gli ha permesso di fare la differenza. Più intensità e meno invenzioni contro un rivale che nel primo set ha preso im break di vantaggio e si è lanciato avanti. tinizio del tie-break cambia tutto, Nole lascia lo scandinavo sul posto e da quel momento ha iniziato la fuga verso il successo. Nel terzo set è stata inutile la reazione del numero 4 del mondo, che alla terza finale Slam in due anni si è dovuto nuovamente arrendere. «23 è un numero che qualche anno fa era impossibile da pensare e tu ce l’hai fatta. Complimenti Nole», il messaggio lanciato tramite social da Rafael Nadal, adesso da solo alla seconda piazza con i suoi 22 major. Se erano numeri difficili da immaginare pochi anni fa, nel 2008, epoca del primo Australian Open di Djokovic, si trattava di pura utopia. Dopo quel trionfo sono serviti tre anni di assestamento per irrompere nel dualismo Federer-Nadal, altro scenario reputato impossibile. II secondo Slam arriva poco prima dei 24 anni, dato utile anche per calibrare le aspettative su chi adesso popola le posizioni nobili del tennis mondiale. Determinare il più grande di tutti i tempi resta un compito ingrato e forse inutile, ma per un Djokovic costretto a inseguire solo i numeri potevano spezzare quella che in alcuni casi è stata retorica. Il record di Slam è accompagnato dal maggior numero di settimane dal numero 1 del mondo (387), il record di Masters 1000 vinti (38) e quello di ATP Finals (6, pari merito con Federer). All’appuntamento con la storia si sono presentate stelle di ogni tipo, anche quelle del calcio e del football americano. Ibrahimovic, Mbappé, Giroud e Tom Brady quelli che si sono guadagnati una menzione nel discorso del serbo. «Non voglio dire che sono il più grande di tutti tempi, sarebbe irrispettoso verso i campioni di tutte le altre ere – ha spiegato Nole dopo il match – Come mi sento ad avere più titoli Slam di Rafa e Roger? In carriera mi sono paragonato sempre a loro, hanno avuto un posto nella mia mente per 15 anni e mi hanno aiutato a diventare ciò che sono. È fantastico sapere di averli superati, ma allo stesso tempo ognuno ha ìl suo percorso. Ora non vedo perché dovrei chiudere la carriera, penso già a Wimbledon».

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FenomeNole (Stefano Semeraro, La Stampa)

Corne lui nessuno, mai. Novak Djokovic è arrivato dove sognava di arrivare fin da quando aveva sette anni, e nella sua cameretta di Kapaonic, dintorni di Belgrado, si ritagliava coppe di cartone e un futuro da Number One. Ha vinto il terzo Roland Garros e soprattutto il 23esimo Slam, uno in più di Rafa Nadal – che da hidalgo vero gli ha subito mandato le congratulazioni… – tre più di Federer. È il numero uno dei numeri uno, l’Uomo dei record, il solo ad essersi preso tutti gli Slam almeno tre volte. Al netto di considerazioni estetiche, soggettive, generazionali – si possono shakerare le epoche, confrontare destini lontani? – il tennista che ha vinto più nella storia. Da oggi comincia la 388esima settimana in cima al ranking, a Wimbledon può pareggiare gli 8 titoli di Federer, agli Us Open chiudere il Grande Slam cancellando la delusione atroce del 2021. Ha divorato gli ultimi tre Slam a cui ha partecipato; da Wimbledon 2018 in poi negli Slam ha vinto 104 partite su 110: fa il 94,5 per cento. A 23 anni aveva vinto 1 major, a 31 anni «appena» 12, una remuntada fantastica remando contro Federer e Nadal. Ne hai fatto di strada, Nole.

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E ora, sul Philippe Chatrier, accanto al monumento Noah («ammiro il tuo pensiero positivo, quello che hai fatto nella musica dopo il tennis») e sotto uno di quei cieli grandi di Parigi che fanno pensare all’eternità, vuole parlare (a lungo) da filosofo, da guru, da motivatore. «Non è un caso che abbia ottenuto il record proprio nel torneo che per me è stato più difficile. A tutti i giovani, qui ci sono anche i miei figli, dico non pensate al passato, vivete nel presente. Il futuro deve ancora accadere e voi potete costruirlo».

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Ed è impressionante come a 36 anni, con un gomito malandato e la forma da ritrovare, Djokovic abbia spolverato il suo colpo più sottovalutato, il servizio, per accorciarsi le fatiche e avvicinare il traguardo. Ha triturato fisicamente e mentalmente, la concorrenza, soprattutto quella più giovane (leggasi: Alcaraz). Davanti gli restano avanzi di statistiche da sbranare: i 24 Slam di Margaret Court, i 109 tornei molto gonfiati di Connors. E se Federer è andato, e Nadal in officina, Djokovic si sente molto bene. «Il mio corpo non risponde più come cinque o dieci anni fa, è vero, a volte devo allenarmi meno e riposarmi di più. Ma se continuo a vincere Slam, perché dovrei pensare al ritiro?», dice davanti a Stefan e Tara, i suoi due figli, che se lo divorano con gli occhi in conferenza stampa. «Io il più Grande? Non voglio dirlo, perché sarebbe poco rispettoso nei confronti dei campioni che hanno giocato in epoche passate un tennis molto diverso, è grazie a loro se noi siamo qui. Sono discussioni divertenti, e utili al nostro sport. Ma le lascio ad altri». Ringrazia Jelena Gencic e Niki Pilic, «le due persone hanno scolpito la mia mente», i genitori «che hanno creduto in me anche quando non c’erano soldi e tutti ridevano dei miei sogni».

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Nole, Parigi si inchina, è lui il re del tennis (Vincenzo Martucci, Il Messaggero Sport)

Chissà che cosa pensano davvero i mitici rivali Rafa Nadal e Roger Federer mentre Novak Djokovic si accascia felice ed estasiato sulla sacra terra rossa del Roland Garros dopo il terzo urrà sulla superficie che meno ama, che più gli ha resistito e che pero gli consegna il record maschile di 23 Majors – uno più di Rafa -, a pari merito assoluto con Serena Williams, a una tacca dalla vetta ormai vicinissima di Margaret Smith Court. Chissà, al di là del tweet di congratulazioni che arriva da Maiorca quasi in tempo reale, come commentano col parentado mentre il primo tennista uomo ad aggiudicarsi tutti i Majors almeno 3 volte, che oggi toccherà le 388 settimane da numero 1 del mondo (7 anni e 4 mesi…), il campione di gomma con una volontà e una concentrazione di ferro, a 36 anni e 30 giorni, più anziano campione Slam (meglio anche in questo di Nadal), abbraccia i suoi cari in tribuna, compreso l’ospite Tom Brady, l’amico Tipsarevic e Guga Kuerten. Beandosi poi – finalmente – dei cori della gente, dei complimenti dell’ultimo avversario, Casper Ruud da Oslo, che ha smantellato come fa lui, dalle gambe, alle braccia, al tennis, al cuore, e si inchina: «Difficile spiegare quanto sei forte e fenomenale, e che ispirazione sei per tutti al mondo». Chissà che rimpianti frullano per la testa ai mostri “Fedal” mentre lo vedono lanciato più che mai verso il Grande Slam,

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CAMPIONE MODERNO Ruud, allevato a Maiorca alla scuola da zio Toni Nadal, dà come sempre tutto. Che è tanto e l’anno scorso l’ha portato a due finali Slam più al Masters e al numero 2 mondiale, ma manca di grandissima qualità e di punti facili.

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Per evitare la quinta sconfitta diretta non gli basta mezz’ora alla grandissima, alzando palle alte saponetta e spingendo negli angoli («Lo smash che ho sbagliato sul 4-2 è stato devastante») e non gli bastano altri 40 minuti alla grande fino al 6-6. Il primo set se lo prende comunque di forza volando (7-1) il padrone dei tie-break 6/6 a Parigi. Ruud entra nella statistica col match Slam numero 100 vinto da Djokovic dopo aver firmato il primo set. Lo sprint del 6-3, intoccabile al servizio, è impressionante anche per l’esemplare 24enne. Ma, a pochi metri dal traguardo con la storia, nessuno potrebbe fermare quell’iradiddio che quand’è nella “zona” chiude ogni varco e s’infila in ogni spiraglio asfissiando chiunque. Infatti, strappa il break sul 5-5 e firma il 7-5 decisivo dopo 3 ore 13 minuti. Inarrestabile.

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Nole recita umiltà: «Lascio dire ad altri che sono il più grande, per me sarebbe irrispettoso per tutti i grandi campioni di altre epoche che hanno costruito la strada». Ringrazia soprattutto Federer, Nadal e Murray: «Mi sono sempre confrontato con loro, come batterli ha occupato gran parte dei miei pensieri negli ultimi 15 anni». Rivela che la fiducia in se stesso gli viene dai genitori, da una mamma “roccia”, da un papà “trascinatore”, dalla prima maestra di tennis e di vita, Jelena Gencic, e dal maestro Niki Pilic: «Sono stato fortunato, mi hanno fatto realizzare i miei sogni. Il 95% della gente rideva di noi». Ora ride lui.

La rincorsa di Djokovic si completa a Parigi, ora è sul tetto del tennis (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

I numeri sono freddi però hanno l’onestà di non mentire. Ventitré titoli Slam sono la cifra di un primato assoluto che Novak Djokovic ha seminato in Australia nel 2008 (primo Major) e poi ha innaffiato con pazienza certosina per quindici anni spesi a inseguire le molecole dell’acqua, l’ossigeno Federer (congelato dalla pensione a 20) e l’idrogeno Nadal (fermo a 22, in bacino di carenaggio, il primo a complimentarsi con il recordman), una rincorsa a perdifiato che avrebbe sfiancato chiunque ma non lui, l’uomo di Belgrado che inneggia al Kosovo libero, l’ex bambino cresciuto sotto le bombe della Nato e legittimato, dopo quel furto brutale dell’infanzia, a pretendere un risarcimento. Eccolo. Il tenero Casper Ruud, terza finale Slam, la seconda di fila a Parigi, è il magnifico perdente di questa storia dominata dall’eroe, è il migliore degli altri (anche ercolino Alcaraz, paralizzato dai crampi, 16 anni meno del Djoker, è stato schiantato dalla furia del satanasso): Casper è sopravvissuto alla selezione naturale, però non alla forza del più forte. «II Roland Garros è il torneo più difficile da vincere per me — ammette Djokovic completata l’impresa (è l’unico ad essersi annesso tutti e quattro i Major almeno tre volte) —, e non è un caso che il 23° titolo arrivi proprio qui». Non gli è servita la miglior versione di se stesso per vincere, come a gennaio in Australia.

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Basta un piccolo Djokovic, alla disperata ricerca del suo tennis, dimenticato durante lo swing americano, al quale non ha partecipato per le solite questioni di (non) vaccino. I liftoni al cloroformio di Ruud lo spingono indietro ma, vinto il primo (7-6 in 1.21′), il Djoker può inserire la velocità di crociera (6-3, 7-5), salire in tribuna ad abbracciare il clan e la famiglia («A 7 anni sognavo di vincere Wimbledon, sono andato oltre ogni mia più rosea aspettativa, spero di essere motivo d’ispirazione per i miei figli»), recuperare una bandiera della Serbia, dare il cinque alle altre leggende che lo applaudono con devozione (Tyson, Brady, Ibra, Mbappé), come piace a lui. Il plotoncino di giovinastri aspiranti campioni è respinto al mittente: da oggi il Djoker torna n.1 del mondo scalzando Alcaraz, a 36 anni può esercitare il pensiero creativo di un Grande Slam — quello vero — che sfugge agli umani dal ’69 (bis di Laver), la Cassazione che certificherebbe la sua superiorità sulla specie tennista, un’enormità sfuggita persino a Serena Williams, partner a quota 23.

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