L’Open d’Australia e le sue stranezze. Il torneo dei dubbi: su Federer, Nadal, Murray

Editoriali del Direttore

L’Open d’Australia e le sue stranezze. Il torneo dei dubbi: su Federer, Nadal, Murray

MELBOURNE – La prima settimana del primo Slam non li ha ancora sciolti. Federer-Nishikori ci proverà. Il gran match Nadal-Zverev sottolinea i progressi di Rafa, ma bastano per vincere l’Open?

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L’open d’Australia è sempre stato un torneo… strano. Quello che pone più interrogativi. Accade perché c’è la pausa natalizia, i richiami atletici di questo e quello, il ritorno all’attività di giocatori che nel finale dell’anno precedente si erano infortunati, la spinta reattiva di chi vuole reagire ad un’annata deludente, l’ansia di chi ha pesanti cambiali da pagare per i risultati di un anno prima e teme di non riuscire a confermarsi (questo è vero tutto l’anno… però all’inizio di un anno sembrano avere un peso diverso, chi ben comincia…), in taluni casi nuovi sponsor, nuove racchette, nuovi allenatori e consiglieri. In aggiunta a tutto ciò un torneo nel quale si gioca spesso in condizioni totalmente diverse, un giorno a 40 gradi con il sole che martella, un altro con un freddo da piumino, un altro con un vento che gira a mulinello, un altro con il torneo che da outdoor diventa indoor. Insomma non è mai un torneo semplice, per nessuno. Mai un torneo senza tante incognite e, di conseguenza appunto, tante domande cui non è facile rispondere. In più quest’anno sembra anche più diverso di altri recenti perché dei famosi Fab Four non ce n’è uno che presenti una situazione davvero consolidata.

Federer ci è arrivato con sei mesi di stop, ha giocato tre match di semi-esibizione nella Hopman Cup con il massimo della tranquillità, poi due match abbastanza incolori con due qualificati e uno assolutamente straordinario contro Berdych che è sembrato perfino troppo bello per essere vero e riproducibile. Di Djokovic si era capito da Wimbledon in poi che la sua testa non era del tutto sul tennis, che i problemi personali cui lui stesso ha accennato in più d’una occasione lo avevano abbastanza destabilizzato ed erano – sono – stati la causa dei suoi risultati assolutamente diversi da quelli spettacolari del primo semestre del 2016 e dell’ultimo semestre del 2015, con quattro Slam vinti consecutivamente più, a cavallo fra le due felici annate,  anche  l’ennesimo successo nelle finali ATP all’O2 Arena londinese. Per Murray si è registrato lo stupore di un po’ tutto il mondo del tennis per l’incredibile gap di punti rimontato a Djokovic e la non meno incredibile continuità di risultati quando ben pochi lo credevano capace di poter chiudere il 2016 da n.1. Quindi, soprattutto dopo l’inciampo di Doha contro un Djokovic che pareva essersi finalmente ritrovato, mille dubbi anche sullo scozzese, sulle sue possibilità di affermarsi in questo torneo che lo aveva visto raggiungere cinque finali ma anche perderle tutte. In particolare le prime tre che aveva perso senza vincere un set parevano a quei tempi avergli affibbiato l’etichetta di grande perdente. Etichetta strappata dal suo successo olimpico a Londra 2012, riconfermata dal trionfo a Wimbledon l’anno successivo, poi dall’US Open, fino a che l’anno scorso sono atterrati in bacheca anche il secondo trofeo di Wimbledon, la seconda medaglia d’oro olimpica, il Masters di fine anno.

Insomma un Murray certo tutt’altro che un grande perdente, però pur sempre il meno vincente –ad oggi – dei Fab Four, con i suoi tre soli Slam all’attivo, di fronte ai 17 di Roger, ai 14 di Rafa, ai 12 di Novak. Quindi un Murray in cerca di conferme nel 2017 per dimostrare di non essere poi così da meno degli altri. Ho lasciato volutamente per ultimo, dei Fab Four, quel Rafa Nadal che insieme a Federer per aver dato vita alla più grande  rivalità del terzo millennio – dopo quelle storiche Borg-McEnroe (più Connors),  Lendl-Wilander, Becker-Edberg, Sampras-Agassi (con contorno di Chang e Courier)- è sembrato appartenere anche per via di qualche infortunio di troppo, di una diversa generazione rispetto a Djokovic e Murray. In effetti Nadal ha solo un anno in più rispetto al duo Djokovic-Murray, e cinque in meno rispetto a Federer, ma è stato talmente precoce rispetto a tutti, già fortissimo a 18-19 anni, che è come se avesse cinque anni di più: ce li ha sulle spalle e soprattutto sulle ginocchia, infatti. Per non parlare del polso costretto a patire quelle mostruose sollecitazioni richieste dal suo bicipite mancino. Insomma anche nei confronti di Nadal, sceso a n.9 così come Federer a n.17 ma con meno mesi di assenza, ci sono da tempo ormai parecchi dubbi: non è più lui? È in sicuro declino? Non potrà più tornare quello che era? Più o meno, con vari distinguo legati alla diversa età (argomento a favore di Nadal), alla diversa usura atletica (a favore di Federer), gli stessi interrogativi che gran parte degli appassionati si fanno… riguardano  sia Federer sia Nadal. Così in questi giorni il leit-motiv del ritorno del Re – ma sarà il nuovo Federer? – ha campeggiato su tutte le pagine sportive del mondo. Oggi, dopo la stupefacente lezione di tennis a Berdych, era la volta di Nadal che doveva affrontare Sascha Zverev, il talento emergente sul cui futuro da n.1 del mondo sembrano scommettere un po’ tutti, a cominciare dallo stesso Rafa Nadal, da Roger Federer (che ci ha già perso due volte, a Halle e in Hopman Cup), da Brad Gilbert, ex coach di Agassi e Murray.

La partita non ha deluso, anzi. É stata avvincente sin dal primo game, subito un break conquistato dal tedesco con una smorzata straordinaria che ha lasciato di sasso Nadal. La cronaca puntuale del match l’ha fatta Luca Baldissera, ma in poche righe riassumo quanto segue: Nadal non ha più subito break nel secondo e nel terzo set, anche se quel terzo set “che credo di aver giocato meglio di lui” l’ha perso al tiebreak. Poi però Nadal, sempre senza subire più break ha vinto il quarto set. E nel quinto, avanti 2-0, ripreso sul 2 a 2 (ecco il secondo break patito nel match) c’è stato quello scambio massacrante di 37 palleggi che ha fatto venire i crampi al giovane tedesco e lo ha praticamente costretto alla resa. Insomma, come ai bei tempi Nadal è tornato a vincere di fisico, lui che aveva perso le ultime tre battaglie consecutive al quinto set, compresa la rimonta patita con Fognini all’US Open 2015, compresa la partita persa all’US Open 2016 con il francese Pouille quando ho ancora negli occhi il dritto facilissimo che Rafa sbagliò sull’avant-matchpoint. Ma ha convinto appieno? Non saprei rispondere con assoluta certezza. Zverev gioca davvero bene, ha un rovescio straordinario per anticipo ed angoli. E un servizio considerevole con il quale prende grandi rischi: 19 aces è tanta roba, ma 11 doppi falli non è poca. Sono tanti anche 58 vincenti contro uno che difende bene come Nadal, ma se si fanno 74 errori non si vincono troppe partite. Ciò detto il ragazzo c’è e si può scommettere – se la TIU non ci arresta – che Zverev sfonderà nell’Olimpo del tennis.

Ma su Nadal, che subisce ancora un po’ troppo, qualche dubbio permane. È parso in progresso, certo, rispetto a molte esibizioni ma un Nadal così può vincere per la seconda volta questo torneo? Ha battuto 12 volte su 14 il suo prossimo avversario, Gael Monfils (l’ultima a Montecarlo 6-0 al terzo) che ha battuto in Kohlschreiber il secondo dei tre tedeschi che erano ancora in lizza. Il terzo ed unico superstite ora è Mischa Zverev che deve giocare contro Andy Murray. Ma se Rafa batterà anche Monfils, n.6 del mondo che a mio avviso non vale Rafa, poi al maiorchino toccherebbe il vincente di Raonic-Bautista Agut. Se supera entrambi i test si può… sciogliere la prognosi e visto chi è rimasto laggiù in basso, nell’ultimo “quarto” dopo la fuoriuscita di Djokovic, con Istomin che ha superato la prova del nove battendo anche Carreno Busta, la chance di raggiungere la finale l’avrebbe tutta. Mentre Zverev ha fatto quasi tanti rovesci vincenti quanti i dritti (15 contro 16… è come farne molti di più perché da metà campo tutti i giocatori chiudono il punto con il dritto), il divario dei vincenti per Nadal fra dritto e rovescio è, come sempre, abissale: 19 a 4. Non è una novità. Ma il problema di Nadal negli ultimi anni era stato proprio nel dritto: non era più vincente come una volta, la terribile frustata si era trasformata in un controllabilissimo affondo. Non una morbida carezza, certo, ma nemmeno il colpo irresistibile d’un tempo. Quella è la chiave di cui Rafa deve assolutamente ritornare in possesso se vuole tornare ad essere il Nadal dei migliori anni anti-Federer.

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